di Fulvio Grimaldi

Quanto si trova qui sotto l’ho iniziato a scrivere una settimana fa, giorno detto Della Memoria. Poi sono rimasto bloccato, abbattuto da un cattivissimo virus influenzale che mi ha ridotto quasi come la capoccia contro il muro qui sopra, nella drammatica vignetta di Apicella. Quindi leggerete delle cose un po’ passée, con una spruzzata di aggiornamento.
Torno in queste ore da una spedizione di alcune settimane in Iran, dove ho percorso il paese incontrando, ascoltando, vedendo e filmando, in vista di un nuovo docufilm su questa realtà del tutto ignota, ignorata, quando non rappresentata in termini grottescamente mistificatori. Una realtà che, nei piani annunciati da chi da decenni campa di guerre, devastazione, oppressione e dittature, dovrebbe costituire il prossimo obbiettivo da distruggere, dopo Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Yemen, Somalia e ora anche Mali e tutto il Sahel-Sahara. Racconterò questo viaggio in un prossimo post, visto che emergenze italo-arabo-africane incombono.
 
La memoria allo specchio
E’ il Giorno della Memoria. Israele, che se ne dichiara protagonista, l’ha celebrato alla maniera sua: colpendo la Siria, irrompendo in casa d’altri, distruggendo e uccidendo. Ne abbiamo tratto la conferma che l’imitazione dei carnefici, l’ampliamento e perfezionamento dei forni crematori su scala globale, è un lascito ai discendenti delle vittime di cui Himmler andrebbe fiero. O, chissà, ne sarebbe angosciato? Forse anche per un nazista emblema del “male assoluto” il troppo stroppia… Giorno della Memoria in cui la memoria di crimini passati, circoscritti nel tempo e nella dimensione, serve a coprire e occultare i crimini del presente proiettati nel futuro e nello spazio illimitati della “guerra infinita”. In particolare la nuova legge morale e giuridica  di coloro che si dichiarano vittime di un genocidio “senza confronti con qualsiasi altro” e che ne traggono il diritto all’impunità per qualcosa che all’idea del “male assoluto” è più vicina di qualsiasi nequizia commessa nel passato.
L’ipocrisia è infame. Oltre a lasciare nei fossi, a marcire nella trascuratezza dell’oblio, le sterminate schiere di vittime di allora che non vantavano la stella di Davide, stendono la coltre insanguinata della Shoah a nascondimento, se non giustificazione, dello sterminio presente, biologico, culturale e sociale, di masse innocenti quanto quelle di allora e del passato bellico e coloniale più lontano. Masse di bambini, donne, uomini, civiltà più preziose della nostra degenerata, ma che portano lo stigma, degno di esecuzione sommaria, di non condividere i nostri “valori” e di costituire un ostacolo alla marcia delle nequizie globalizzate messe in atto dalla sedicente “comunità internazionale”. Il “Mai più Auschwitz”, sancito da assordanti frastuoni autocompiaciuti, silenzia il grido di dolore e di morte di milioni e garantisce e promuove  il “Sempre più Auschwitz” di tutti coloro che da una memoria di genocidio, così mutilata e sfruttata, traggono l’alibi per proseguire l’opera su scala mondiale. Non solo: infieriscono in chiave morale sugli stessi morti dei campi. La giornata della memoria li trasforma in armi di distruzione di massa.
 
Antifascismo nel Paese dei campanelli
Lo stesso nonsenso assoluto del “male assoluto”, missile terminator dagli obiettivi alterni, tutti strumentali, che transita dal sinedrio a Gengis Khan, da Giordano Bruno a Napoleone, da Torquemada al terno vincente degli Alleati: Hitler-Mussolini-Stalin, e che oggi il Pericolo Pubblico Numero Uno, Netaniahu, scarica sull’innocente Ahmadinejad, è riscaturito, tronfio e gonfio di ipocrisia,  dai tromboni dell’indignazione napolitan-planetaria sulle affermazioni del guitto mannaro. Del quale lo zuccherino lanciato ai pitbullini addestrati da Storace con l’astuta frasetta del Mussolini che, a parte le leggi razziali, “ha pure fatto cose buone” (subito scaltramente modificata dai media in un ben più comprensivo “ha fatto bene”), ha suscitato uno tsunami di riprovazione “antifascista”. Ovviamente Berlusconi ha detto una verità dalla banalità assoluta. Anche il peggiore dei tiranni non può evitare di fare qualcosa di buono. Il “male assoluto” esiste solo nelle discariche storiche riempite dalle psicopatie occidentali e sioniste. Se questa canea di finti scandalizzati, dal Capo dello Stato (con elmetto e grembiulino in campo anche per serrare le fila massoniche attorno al MPS) all’ultimo scribacchino del “manifesto”, ha fatto tutto quel casino su quattro ovvietà storiche e logiche da strapazzo, è perché per cucire una foglia di fico adeguata a coprire le loro nequizie ci vuole ago puntuto e filo grosso.
E se il fascismo non ha potuto non “fare cose buone”, anzi, diciamo pure che ne ha volute, perché senza consenso non si galleggia, questi “antifascisti” portatori di un progetto che non si sa bene ancora come definirlo ideologicamente, quanto meno si esita terrorizzati, del fascismo storico rilancia, promuove, potenzia, esclusivamente le cose brutte, aggiungendovene altre, peggiori. Se lì si facevano leggi contro una razza (e magari si faceva di peggio con le foibe in cui finivano gli antifascisti veri), qui si è eretto un intero sistema giuridico-poliziesco-culturale per il sociocidio di classi e popolazioni. Se lì, si è imperversato per qualche anno in Africa, qui, da oltre vent’anni, si partecipa a guerre ed embarghi genocidi, presidenti fedifraghi e premier felloni in testa. Se, lì, gerarchi sottobraccio a capitalisti rosicchiavano il formaggio dello Stato, qui lo Stato, con tutto quello che c’è dentro, lo hanno bell’e mangiato, quando non appaltato a mafie, banchieri e Benetton (e piuttosto che dei cliché “Bonifica Pontina” e “Maternità e Infanzia”, sarebbe opportuno ricordare “cose buone” come l’IRI, o la legge del 1936 che tagliava gli artigli alle banche). Ma, dice, Mussolini ci ha rovinato con la guerra!. Corretto. Ma gli psicodittatori che ci hanno preso in carico dopo il Puzzone sono decenni che ci cacciano in guerre. Solo che le vittime visibili, di sangue e ossa, milioni, sono tutte dall’altra parte, da noi, per ora, ci si può limitare all’ultimo buco della cintura. E allora chissenefrega. Eppoi, a quella guerra hanno risposto masse, operai, partigiani. A quelle di oggi, infinite e contro l’umanità, pianeta compreso, nessuno. Deploriamo a scoppio ritardato quanto il macellaio Graziani ha fatto agli abissini e assistiamo inerti, nell’aura gratificante della nostra opposizione alle “dittature” e del nostro indefesso impegno per i “diritti umani”, che milioni di fratelli umani si sacrifichino per noi in resistenza ai licantropi scatenati.
Anzi, più si è lontani dal guitto mannaro, più si è “antifascisti” è più le si sottoscrive, quelle guerre. Cosa vuol dire, caro Ingroia, capofila di fasulloni maleodoranti come Favia, Lotti, Grassi, che non vuoi comprare gli F-35 e mandare armate a smacellare in giro, ma poi piazzi in cima alla tua classifica di santoni, insieme al compromissorio e filo-Nato cagasotto Berlinguer, nientemeno che il puttaniere mafioso che ha iniziato lo sterminio del Vietnam, John Kennedy e, peggio, Obama? Colui che si è posto l’obiettivo di superare tutti i presidenti genocidi di nativi e schiavi e poveri che hanno “innervato” la “narrazione” americana (compreso il Lincoln testè celebrato dal goebbelsiano Spielberg e dai cretini che ne hanno applaudito il soffietto cinematografico a Obama), a forza di sette guerre in corso, assassini seriali mirati, carceri segrete, tortura, liquidazione delle libertà civili, campi d’internamento, sorveglianza totale, macelleria sociale, terrorismo?  E così è “svampato” anche Ingroia. Sapete chi ci salva il culo, oltreché coscienza, speranza, futuro? 15 ragazzi eletti deputati col Movimento Cinque Stelle in Sicilia che hanno bloccato l’isola finchè non sia cacciato dal patrio suolo la banda criminale del MUOS di Niscemi. Cioè Obama, cioè gli Usa. Antifascisti, questi sì. Ribadendo che per fascismo oggi s’intenda qualcosa di molto peggio di quanto passatoci nel Ventennio e come ripigolato dai pulcini neri di Casa Pound. Il male assoluto, se proprio volete.
Contraccolpo in Egitto
Alla faccia volpina dei furbi che della rivoluzione tentata in Egitto dalla parte migliore dell’umanità hanno voluto fare l’astuta operazione di un imperialismo inesorabilmente vincente, gestita con la collaudata perizia dai manovratori delle destabilizzazioni di velluto o colorate, la rivoluzione è ripartita. Costituisce a tutt’oggi il più esteso e duraturo empito rivoluzionario della presente generazione planetaria di antagonisti al Nuovo Ordine Mondiale. Il provvisorio successo delle manipolazioni e infiltrazioni messe in opera dai soliti centri del regime change a fini di dominio imperialista (National Endowment for Democracy, Freedom House, International Republican Institute, National Democratic Institute, Cia, Mossad, USAID  ed enti subalterni europei), ha dovuto constatare che mandanti e mercenari hanno finito col rappresentare la secchiata d’acqua su un incendio. L’indebolimento della genuinità e della determinazione rivoluzionarie, perseguito con  la messa in campo di traditori e, come forza risolutiva, con l’attivazione dei rigurgiti integralisti, non ha impedito la rimozione di un tirannico fantoccio Usa, ma ha permesso di sostituirlo con un despota fantoccio islamista che si è autoperpetuato gli stessi poteri assoluti del predecessore in divisa. Operazione in linea con l’islamizzazione in chiave estremista dei popoli arabi e l’eliminazione dei residui istituzionali di un panarabismo laico, nazionalista, progressista, da schiacciare sotto satrapie dittatoriali, nel segno di un’omologazione politica e culturale oscurantista e reazionaria.
A volte, come dimostra Il Monte dei Paschi di Siena, i giochi sui derivati non pagano. Il creditore che accetta di oscurare il debito di un suo compare bancario fa male a fidarsi del debitore che gli promette  di ricambiare il favore restituendogli, non quanto dovuto, ma addirittura il doppio, non appena avrà vinto la scommessa future che Monti introdurrà una patrimoniale del 75% e appenderà la Fornero in una gabbia fuori le mura.  Qui c’era un fratellone musulmano debitore storico (la confraternita fu inventata dagli anglosionisti e da allora manovra in sintonia con quelli) che al creditore Usa compiacente assicurava coma sociale e autocrazia guardiana dell’ordine occidentale. Transizione della nazione dalla padella alla brace, non dissimile dalla nostra dopo Berlusconi, blindata dalle armi Usa, dalle forze armate mercenarie, dal consenso della “comunità internazionale”, dalla dittatura e, nel caso, dalla Gladio salafita-Al Qaida.
E’ durata pochi mesi. Poi un replay della primavera di Tahrir, un altro, un altro ancora, di nuovo decine di morti, di nuovo i pretoriani e sguatteri armati del regime, stavolta con turbante e barbone. Di nuovo, in tutte le città, battaglie.Traballa il palazzo di Heliopolis, con quel Morsi che dai massacri di Mubaraq e dal loro esito non ha imparato proprio nulla. Come del popolo egiziano nulla avevano capito coloro che pensavano, con qualche blogger alla Sanchez, con qualche maestrino serbo di Otpor, di imbozzolarlo in “governi di unità nazionale”, in mediazione, in moderazione, in partecipazione con guiderdone. Come Monti e come quei vanesi saltimbanchi dell’élite che il mutante scaturito da un sotterraneo bancario, si è messo a ghirlanda elettorale, i presunti grandi manovratori delle cose egiziane stanno alla realtà come il mio bassotto Ernesto sta a uno stormo di oche selvatiche. Questa gente delle cose fuori dalla loro piscina nell’attico, o estranee ai diagrammi dei Chicago Boys e ai rapporti di forza come razionalizzati dal Pentagono, ha una percezione filtrata da maggiordomi e comunicatori a cottimo. La rivoluzione di Tahrir non era per la “democrazia” come si definisce dalle nostre parti. Era per qualcosa di meglio, a partire dalla sovranità e dal rifiuto dell’oppressore. Di fuori e di dentro. Mi sa tanto che in Egitto non finisce qui. Pare il classico caso, alla venezuelana, alla boliviana, all’ecuadoriana, dove si è pronti a morire, ma dove non si possono ammazzare tutti. Con la migliore volontà dell’assassino numero uno. Quello di Washington. Greci ed egiziani: ci sarebbe tutto da imparare.
Colpaccio in Mali
Fantastico, il “manifesto” e così anche molti altri virgulti, vessilliferi, o detriti, della sinistra che si proclama “società civile”. Dalla prima pagina, con giubilante titolo addirittura dallo charme francese (“oui, lo voglio”), all’intera, straripante di baci intra-gender, quinta pagina, il trionfo parigino del matrimonio gay. La marcia nuziale si trascina dietro altre nemesi culturali e politiche, come le donne soldato da prima linea e i marines gay di Obama, le adozioni di coppie uni-gender qua e là dove si progredisce, la donna-autista in Arabia Saudita (peraltro subito carcerata e frustrata, cosa inconcepibile in Iran), il cocco gay del Vaticano Vendola, i droga-party consentiti dalla Cassazione. Belle cose, diritti civili. Invece, a pagina 6, due colonnine, pure festanti, seppure con moderazione: il vindice dei gay in fregola di matrimonio, Hollande, nella Timbuctu polverizzata dai suoi bombardieri (altro che islamisti che devastano spoglie di antiche civiltà) e nel Mali ridotto in mattatoio dai suoi legionari, con ascari del Mali e della MISMA a rosicchiare le ossa frantumate dai missili tricolori, facendo fuori quanto di civiltà tuareg e sufi e dei suoi portatori era sopravvissuto. Diritti civili domestici salvaguardati alla grande dal laico socialista; diritti umani, sovranità, leggi internazionali, convenzioni di Ginevra, autodeterminazione dei popoli,  là dove la gente porta in giro una pelle poco bianca. Nel senso delle proporzioni siamo dei grandi.
Il Mali come kiplinghiano fardello dell’uomo bianco da caricarsi sulle spalle insieme a tutta l’Africa, a cominciare dal Nord, con quanto nel fardello si riesce a far entrare: uranio, oro, gas, petrolio, metalli, schiavi. Con Gheddafi, postosi a chiavistello morale, politico, economico, contro il Nord predatore, l’Africa aveva saputo evitare di farsi trascinare da quattro tirannelli, sguatteri dei colonialisti di ritorno, allo sbraco generale, non certo ostacolato dal guru sorridente, Nelson Mandela. Caduta la poderosa sentinella della Jamahiriya, affidati Egitto,Tunisia e Maghreb alle due varianti della mattanza collaborazionista degli ultrà islamisti, Fratellanza e Al Qaida, seminati, dove occorrevano normalizzazioni e pretesti d’intervento, un po’ di inferociti lanzichenecchi AQMI (Al Qaida nel Maghreb Islamico), ben rintronati e ben teleguidati, sparigliati con un golpe militare a Bamako i giochi tra un antico e legittimo movimento di liberazione nazionale nel Nord Mali (i Tuareg arabi dell’Azawad), attivate le milizie ascare dei lavapiatti a capo di Ciad, Repubblica Centro Africana e Niger, perché l’ONU le potesse presentare come forza di intervento umanitario e anti-terrorista, l’ammiraglio in capo Usa poteva cedere un attimo il timone al mozzo francese.
Obama, che ha fatto rotolare la pietra nel marzo scorso, facendo fare a un suo fido mozzateste, il capitano Ahmadu Sanogo, a lungo formato alla bisogna negli Usa, un colpo di Stato per evitare elezioni presidenziali che avrebbero potuto andar male, e poi gli ha messo sopra un presidente-fantoccio, altrettanto fidato, chiamato Traoré, a quel punto ha dato via libera al socialista della Senna. Vai tu, gli ha detto, fatti vedere; a te ti coprono i coglionazzi sinistri che ti hanno eletto, Front de Gauche di Malenchon e suoi conventicolari europei compresi; vedi se riesci a farti far dare un Nobel della Pace anche tu. Io, con le mie sette guerre e Guantanamo aperta in perpetuo, devo starmene un po’ sulle mie. Non ti bastano vettovaglie e trasporti? Ci pensiamo noi. Anzi, prima di noi ci pensano i camerati tedeschi e gli antifascisti italiani.
Tuareg dell’Azawad
Con la scomparsa di Gheddafi e della Libia, la situazione nel Sahara-Sahel rischiava di sfuggire al controllo. Il milione e mezzo di Tuareg di tutta l’immensa regione transfrontaliera (che, già solo per avere nei millenni creato e difeso vita umana e civiltà in una delle zone più ostiche del mondo, meritavano territorio, diritti, nazione) da Gheddafi era stato protetto e promosso, a scorno della bulimia degli avvoltoi che, dal Nord, ne ambivano il posto e i pozzi. In cambio i Tuareg erano tutti gheddafiani, con Gheddafi hanno combattuto contro le orde barbare, dopo Gheddafi hanno insistito al limite del possibile a difendere la sua creatura. Poi sono dilagati nelle loro terre, con bagagli e armi. E con rinnovato vigore hanno reclamato il loro Azawad. Fu una questione di ore prima che si riprendessero il Nord del Mali.
Urgeva Al Qaida. E al Qaida è arrivata puntuale, come l’11 settembre, a far schiamazzare di terrorismo l’universo mondo, prima a contaminare la rivolta dei Tuareg nel Mali, poi a mettere in imbarazzo l’Algeria con il sequestro degli internazionali del megaimpianto di gas di In Amenas (25% della produzione algerina!). Un mini 11 settembre che al garzoncello del Pentagono Hollande e ai suoi reggicoda italiani e tedeschi risultava occasione più che sufficiente per partecipare da majorette  di prima fila  alla “riconquista”.
 
Dagli all’Algeria!
Abbattuto due anni fa, con la Legion e il burattino FMI Ouattara, il vincitore delle presidenziali in Costa d’Avorio, Gbagbo, renitente a un’Africa francofona ricolonizzata, fatto da apripista per la rimozione della serratura nord del continente, la Jamahiriya, affiancatosi  con centinaia di militari agli “istruttori” Usa di recente arrivo in tutte la regione subsahariana, la Francia, che a Gibuti ospita l’equivalente africano della piattaforma di guerra Usa di Sigonella e Niscemi, con l’operazione del Mali punta al bersaglio grosso: l’Algeria. Sono ancora vive le sacche del mercenariato islamista che negli anni’90 aveva scatenato una guerra civile che avrebbe dovuto mettere in ginocchio il grande e ricco paese, tanto che spezzoni ne sono stati impiegati per giustificare l’assalto al Mali. La storica quinta colonna mercantile berbera dei Francesi, lusingata da prospettive di mercato ben oltre quanto si è spinta finora la classe dirigente nazionalista con Bouteflika, non aspetta che il segnale per tornare a destabilizzare il paese sotto il vessillo, agitato con tanta passione da giornalisti come Giuliana Sgrena, della “democrazia” e dei “diritti umani”. Per essere uno snodo geopolitico e geostrategico cruciale del mondo afro-arabo, l’Algeria ha accumulato grossi debiti nei confronti dell’Occidente.
Nella mobilitazione di clienti e pupazzi regionali per il disfacimento di Iraq, Somalia, Sudan, Libia, Siria, Iran, è rimasta alla finestra, scuotendo il capo in segno di disapprovazione, quando non ha accolto,  non solo i dirigenti in fuga della Jamahiriya, ma addirittura i famigliari di Gheddafi. La sua risposta repentina e brutale al colossale sequestro di cittadini occidentali nel Sud, costato una mattanza di rapiti e rapitori, ha stroncato la programmata ipotesi di sbarco di “teste di cuoio” degli Stati coinvolti che, nel nome della “guerra al terrorismo”, avrebbe messo un’ipoteca militare Nato sulla giugulare economica del paese.
Ma un’Algeria, pur accomodante sul piano economico, pur generosa nell’apertura dei suoi spazi aerei, pur partecipe di qualcuna delle esercitazioni militari che gli Usa e la Nato allestiscono nella regione, resta fuori dai giochi. Fermamente laica e nazionalista, con una maggioranza della popolazione che dei francesi ricorda soprattutto le spoliazioni e le orrende pratiche di tortura e di eccidi dei tempi della “battaglia di Algeri”, l’Algeria impedisce che l’alleanza reazionaria Occidente-petrodittature possa far chiudere la morsa islamista di Fratelli Musulmani, salafiti e Al Qaida su Nord Africa e Medio Oriente. Con tanto di beneficio per Siria e Iran. Inaccettabile.
 
Spiragli siriani
E, a proposito di Siria, solo un’osservazione. La falsariga sul terreno è ormai la stessa da oltre un anno: l’esercito nazionale, sostenuto dalla popolazione, resta saldo e continua a tamponare, quando non eliminare, le infiltrazioni dei tagliagole di ventura rastrellati da Nato-Qatar-Saudìa in mezzo mondo; costoro rispondono con lo stereotipo, ormai smascherato da mezza stampa mondiale, della strage di donne, bambini civili, fatta, filmata e… attribuita ad Assad. Il gioco è logoro e apre falle. Mentre i mandanti di prima fila, Nato, Israele, Usa, insistono ad accanirsi sull’opzione militare, Patriot e Wehrmacht sul confine turco, missili nazisionisti su strutture siriane, in vista dell’agognata “striscia di sicurezza” con “zona di interdizione aerea”, sbandano i mandanti di seconda fila. Incapace di mettere sotto controllo quella che è ormai la forza terroristica egemone nel cosiddetto “Libero Esercito Siriano”, il Fronte Al Nusrah, costituito dalla migliore e anche meno controllabile feccia del fanatismo salafita, il leader della coalizione delle opposizioni creata da Hillary in Qatar, Moaz al Khatib, avanza profferte di dialogo nientemeno che agli iraniani, oltre che ai russi. E non ripete la cantilena del “prima se ne deve andare Assad”. Su tale iniziativa, che pare avere l’appoggio del satrapo qatariota El Thani, dissentirebbero invece  i sauditi, favorevoli all’intransigenza e ad Al Nusrah.
Sono ipotesi che, comunque, verranno verificate dagli sviluppi ma, intanto, confermano l’impasse in cui si trovano gli aggressori, stretti nella tenaglia tra la necessità di abbattere l’ultimo bastione arabo e il primo alleato dell’Iran, e la prospettiva di una Siria finita nelle mani, non degli affidabili mercatisti della Fratellanza Musulmana, ma della congerie incontrollabile di chi con gli “infedeli” vuole risolvere i conti una volta per tutti. Sciti, cristiani, o ebrei che siano.
Da questa schiuma di sangue e nequizie spunta però un elemento umoristico. A seguito delle incursioni dello Stato Delinquente sionista in Siria, il macellaio turco di arabi e curdi, Erdogan, in coro con i sodali di Israele nel Golfo, ha elevato alti strepiti di indignazione contro Bashar el Assad che avrebbe tradito la causa sacra della resistenza ai sionisti non rispondendo adeguatamene alla pirateria bombarola di Netaniahu sulla Siria. Che ridere! Già, Assad avrebbe dovuto far fuori un asilo di bimbetti a Tel Aviv, in modo che poi l’orco padre di questi avrebbe avuto il consenso internazionale a fare finalmente il lavoro sporco che turchi, qatarioti, sauditi, Ue e Usa non ce la fanno proprio a finire. Non è detto, però, che quell’asilo gli specialisti di 11 settembri non se lo spappolino da soli. Si chiama “pistola fumante”.
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