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Quattro bombe dell’ISIS contro le moschee di Sana’a

A poche ore dall’inizio del mese sacro di Rama­dan, ieri sera 4 auto­bomba hanno vio­lato di nuovo la capi­tale yeme­nita Sana’a. Almeno 31 i morti, secondo il bilan­cio a pochi minuti dall’attacco, desti­nato a salire. Kami­kaze hanno cen­trato tre moschee e il quar­tier gene­rale del movi­mento sciita Hou­thi, che da set­tem­bre ha occu­pato la capitale.
«Quat­tro auto­bomba hanno col­pito l’ufficio poli­tico di Ansa­rul­lah [il par­tito Hou­thi] e le moschee di Hashush, Kibsi e Qubat al-Khadra», ha detto un fun­zio­na­rio Hou­thi. In tarda serata è giunta la riven­di­ca­zione online di soste­ni­tori dell’ISIS che attri­bui­scono l’attacco allo Stato Isla­mico. Già prima gli Hou­thi ave­vano pun­tato il dito con­tro l’ISIS, respon­sa­bile del deva­stante attacco con­tro una moschea di Sana’a che il 20 marzo uccise quasi 150 per­sone: quel giorno il califfo mostrava di avere cel­lule attive nel paese dove ad avere il mono­po­lio dell’estremismo è al Qaeda.
Poche ore prima gli Hou­thi ave­vano fatto sal­tare in aria la casa del lea­der gover­na­tivo Abdel Aziz Jubari, impe­gnato a Gine­vra al nego­ziato ONU. Perché, men­tre lo Yemen esplode per la guerra civile e le bombe sau­dite, in Sviz­zera va in scena il silen­zio: le parti non si par­lano. Gli Hou­thi, che hanno pro­po­sto una tre­gua accet­tata dal governo uffi­ciale, rifiu­tano di discu­tere con il pre­si­dente Hadi «per­ché ille­git­timo» e chie­dono il nego­ziato diretto con l’Arabia Sau­dita, la mano che muove i fili della crisi. Hadi risponde insi­stendo con la sua pre­con­di­zione: il ritiro degli sciiti dai ter­ri­tori occupati.
Così muore il ces­sate il fuoco ane­lato da Ban Ki-moon per dare respiro alla popo­la­zione nei primi giorni di Ramadan.
Chiara Cruciati

Fonte

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