L’Europa non ce la fa proprio a riprendersi. A marzo la produzione industriale nell’Eurozona è calata dello 0,8% e dello 0,5% in tutta l’Europa. È il secondo calo consecutivo dopo quello di febbraio quando erano stati rispettivamente dell’1,2 e dell’1%. Questo significa che si sono spenti i timidi segnali di ripresa che si erano avvertiti a gennaio con l’indice in ripresa del 2,4 e del 2%. In Italia la variazione di marzo è stata nulla nei confronti di febbraio e si è registrato un timido aumento dello 0,5% in ragione d’anno.
Chissà quanto ci metteranno i soloni di Bruxelles a capire che questa strada porta al burrone? Un anno di politica monetaria molto espansiva da parte della Bce non ha prodotto risultati apprezzabili. L’industria torna a calare, l’inflazione resta negativa e l’occupazione è stagnante. Ma di quali altre dimostrazioni hanno bisogno gli euro fanatici per comprendere che così non va? Sembra di viaggiare su un treno a tutta velocità di cui nessuno conosce bene i meccanismi. “Signori si scende” dovrebbe essere l’ordine perentorio. Invece stiamo ancora tutti a bordo senza capire dove andremo a finire.
L’Europa risulta ostaggio delle banche e dell’austerità. Delle banche perché, a ben guardare tutte le scelte fatte finora sono servite solo a salvare i grandi gruppi creditizi: dalla Grecia che venne tenuta in vita per consentire il pagamento dei debiti che aveva verso i colossi creditizi tedeschi e francesi fino al bazooka di Draghi. Tutto il resto non sembra avere molta importanza. Ma l’errore è proprio quello di inseguire l’austerità dei conti mentre l’economia cade in deflazione. Anziché migliorare il Pil scende più velocemente del debito così che il rapporto debito/Pil continua ad aumentare. L’abbiamo visto chiaramente in Grecia, il martire d’Europa. Eppure la storia dovrebbe insegnare qualcosa, soprattutto ai tedeschi che io frutti avvelenati dell’austerità li hanno già visti nel 1930 con la Repubblica di Weimar. I tagli alla spesa e la politica del rigore portarono nel 1934 Hitler al potere.
Fonte: Un’Europa diversa.