Di Gianni Petrosillo
Conflitti e Strategie
Dice Caracciolo: “La sfera semantica della parola ‘Europa’ s’è allargata fino a perdere ogni contorno. Si offre dunque come strumento di politiche le più varie, spesso opposte, quasi mai coerenti, sempre vaghe…Non un progetto, il suo contrario: lo schiacciamento dell’orizzonte che corrode l’obiettivo della politica, cioè costruire una comunità. E la noia di ripetere all’infinito lo stesso frasario apotropaico”.
Siamo, dunque, ben lontani da un perimetro politico d’intenti concreti, persino fuori dai confini evenemenziali della realtà, per questo fragilmente agganciati a formule magiche ed illusioni evidenti che metamorfosano il programma politico della fondazione unitaria in un dogma religioso col quale scomunicare gli scettici e gli eretici, denigratori di ciò che ormai è per molti diventato, inequivocabilmente, un vero incubo di sudditanza. Qual è il vulnus originario che impedisce all’Europa di darsi una vita propria e un percorso autonomo nelle direzioni strategiche di questa fase? Perché al posto di questi elementi abbiamo messo solidaristiche menzogne brussellesi e riti procedurali di vestali europeiste che non portano a nulla se non ad un maggiore asservimento delle collettività europee alle logiche mercantilistiche globali (mai neutrali) e a quelle militari di organismi orientati da Washington (come la Nato)?
In questo passaggio Caracciolo è, finalmente, dissacrante come pochi. Del resto, non se ne può fare a meno considerato che si tratta di stracciare un mito dell’origine europeista che fa mitologicamente pietà come tutto il resto dell’UE: Schuman, De Gasperi, Monnet, Spinelli, Spaak, Adenauer…Macchè, questi sarebbero stati padri impotenti senza lo zio Sam: “A Roma nel 1957”, prosegue Caracciolo, “si battezza una comunità che è la faccia economico-europea di una strategia americana avviata con il piano Marshall (1947) e strutturata militarmente nella Nato, braccio armato del patto Atlantico (1949)”. Il nostro mito dell’origine, quello discendente dai “numi spirituali” sopracitati, nasconde in verità qualcosa che ha ben poco di narrativo e troppo d’impositivo. In quel preciso istante abbiamo smesso di essere europei per diventare Occidentali, in contrapposizione all’altro mondo sovietico, il blocco Est che occorreva battere ed isolare, come deciso dai nuovi padroni egemonici dell’Ovest. Per tali ragioni “lo spazio CEE è scavato in quello della Nato, tanto che nel tempo i due insiemi finiranno quasi per condividere gli stessi confini. La ratio comunitaria è la crescita economica ed il benessere comune di ciò che residua delle potenze continentali, incardinandole nel campo delle democrazie alleate, protette e largamente eterodirette dagli Stati Uniti”.
Fin qui Caracciolo ha ogni ragione ma si sbaglia quando afferma che con la caduta dell’URSS e la conclusione della Guerra Fredda gli statunitensi si disinteressano dell’Europa. Non è così, anzi proprio perché “meno importante” nella disfida geopolitica del XXI secolo l’Europa diventa maggiormente sacrificabile, essendo costretta anche pagare il prezzo più alto della crisi economica e delle manovre americane in tutta l’area eurasiatica. Da bastione di difesa contro il comunismo a zona cuscinetto dove scaricare le frizioni di specifiche e variegate azioni internazionali, il cui costo salirà mano a mano che aumenterà la potenza delle aree sfidanti l’egemonia yankee, Russia in primis. L’UE è stata così configurata proprio per svolgere al meglio questo ruolo passivo e arrendevole, per la preservazione d’interessi sovranazionali non suoi e persino in contrasto con la sua stessa sopravvivenza. Siamo, insomma, nati per soffrire e per perire in nome di un Occidente che ci ha sottomessi. Unicamente quando l’Europa si deciderà a rompere le sbarre occidentali che la tengono prigioniera si prefigurerà un nuovo destino, senza catene, di cui potrà sentirsi artefice.
Fonte: http://www.conflittiestrategie.it/lantieuropeismo-necessario