inevitable - new republicRobert Reich ha elencato i 6 principi del nuovo populismo (incubo dell’establishment) in un recente post sul suo blog.

The Six Principles of the New Populism (and the Establishment’s Nightmare) http://robertreich.org/post/84984296635

La concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi sta portando molti americani al convincimento che il gioco sia truccato a favore di Wall Street: 5 anni di cosiddetta ripresa economica hanno prodotto grandi guadagni per pochi ricchi, ma per la classe media si è trattato di un disastro.

In questo malcontento diffuso, si alimentano Populismi di destra e di sinistra, che – osserva Reich – si ritrovano attorno a 6 principi:

1. Tagliare le più grandi Banche di Wall Street per portarle a dimensioni tali che non sia più valido il principio del «troppo grande per fallire». Repubblicani e democratici convergono: «Non c’è niente di prudente nel salvataggio di Wall Street».

2. Reintrodurre il Glass-Steagall Act, la separazione bancaria.

Come ricorderete la Sen. Warren (democratica) presentò insieme al repubblicano McCain un disegno di legge per il 21st century Glass-Steagall Act  – rimandiamo alla lettura di http://nobigbanks.it/2013/07/16/il-glass-steagall-act-del-21-secolo/  – Anche il Tea Party lo sostiene, fortemente.

3. Mettere la parole fine ai sussidi alle grandi imprese, alle aziende petrolifere, alle aziende farmaceutiche, a Wall Street.

4. Stop all’attività di spionaggio della National Security Agency – NSA.

5. Ridurre gli interventi americani oltreoceano.

6. Opporsi agli accordi commerciali costruiti su misura per le grandi corporation. Due decenni fa democratici e repubblicani introdussero gli accordi del Nafta – North American Free Trade Agreement.

Reich - six principlesDa quel momento i populisti di entrambi i partiti hanno fatto opposizione a trattati del genere, così come il Trans-Pacific Partnership, condotto in segreto da un pugno delle più grandi corporation.

Anche qui ritorna lo scontro tra il grande business – che tratta per i propri interessi – e il popolo americano, che è tenuto all’oscuro delle trattative.

Reich analizza come queste posizioni stiano influenzando il dibattito politico e la formazione del consenso in vista delle presidenziali del 2016: il Tea Party battaglia contro l’establishment repubblicano:

Ted Cruz e Rand Paul sono impegnati a sfidare Jeb Bush o Chris Christie, i favoriti dell’establishment repubblicano.

Elizabeth Warren afferma che non correrà per le primarie democratiche, presumibilmente contro Hillary Clinton, ma abbondano le voci che la vogliono in corsa.

Rispetto a quei 6 punti – indicati da Reich- che uniscono i populismi, c’è che la Clinton ne rimane alla larga, mentre la Sen. Warren li appoggia.

Ecco, se la Warren sfidasse la Clinton (ce ne siamo occupati in passato su NoBigBanks), per i democratici si aprirebbe una questione vitale: su quali fonti di finanziamento possono far affidamento i democratici per vincere le elezioni presidenziali?

Con la Clinton i soldi arriverebbero da donazioni da Wall Street, così da sconfiggere qualsivoglia candidato repubblicano; con la Warren sarebbe necessario lavorare dalla base, per davvero.

Clinton vs. Warren Problem or OpportunityClinton vs. Warren: Problem or Opportunity? http://www.huffingtonpost.com/bob-burnett/clinton-vs-warren-problem_b_5491523.html

Il profondo malessere che alimenta posizioni populiste, secondo Politico, potrebbe spingere i repubblicani di Wall Street a convergere sul sostegno a Hillary Clinton, ritenuta una candidata più affidabile di altre.

La Clinton presenta un volto familiare a Wall Street per le posizioni moderate sulla tassazione e la regolazione finanziaria. Non che non abbia sperimentato posizioni più serie in passato, ma l’opportunismo è duro a morire.

Stando così le cose, la questione è che cosa si intenda per Populismo.

Certo, vi è un solco profondo che divide i populisti di sinistra e di destra, ed è segnato dal ruolo dello Stato.

Ciononostante, la linea di demarcazione della politica appare sempre meno segnata dal tradizionale  dualismo democratici-repubblicani, sostituita dallo scontro tra Populisti ed Establishment.

In altre parole, da una parte c’è chi pensa che il gioco sia truccato, dall’altra, vi sono coloro che truccano il gioco.

A pensarci bene è la stessa etichetta che si utilizza in Europa per bollare chi critica il sistema dell’Euro.

Si legga questa intervista rilasciata da Fausto Bertinotti, che riflette circa il superamento del tradizionale conflitto tra destra e sinistra, dopo i risultati delle recenti elezioni europee: “Ha ragione Marine Le Pen. Oggi lo scontro è tra alto e basso della società”.

Ed alla giornalista che gli domanda: Da una parte i populismi dall’altra la democrazia?

warren clintonRisponde: «Questa contrapposizione è fasulla. Chi dice, per opporsi ai populismi, di stare dalla parte delle democrazia, non fa una affermazione vera. Perché i populismi e la contrapposizione alto/basso nascono dallo strangolamento della democrazia. Contrapposto ai populismi c’è una sorta di neobonapartismo, un potere delle élites che hanno smesso la redistribuzione del reddito alle classi più deboli.» http://www.glialtrionline.it/2014/03/27/bertinotti-sulla-francia-ha-ragione-marine-le-pen-oggi-lo-scontro-e-tra-alto-e-basso-della-societa/

E così, mentre negli States il significato del Populismo è People’s Party, «Partito del popolo, delle persone, della gente», da noi quel termine ha assunto un’accezione del tutto negativa. Spiega l’Accademia della Crusca:

‘All’inizio del Novecento i due termini passarono dall’inglese all’italiano, diventando populismo e populista; si diffusero, in particolare, dopo la seconda guerra mondiale, quando furono adoperati per qualificare il tipo di politica attuata da Juan Domingo Peron in Argentina dal 1946 al 1955: da allora in poi le due parole hanno indicato in senso spregiativo l’atteggiamento di chi da una parte esalta in modo velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi, dall’altra cerca di conquistarne il favore con proposte irrealizzabili ma di facile presa: cioè, come si dice, demagogiche.’ http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/proposito-populismo

Pertanto, non si deve aver timore di affrontare di petto questioni fondamentali per la vita democratica, siamo ancora una volta alla riedizione dello scontro tra oligarchia e repubblica.

In alto l’1%, i pochi che intendono difendere lo status quo; in basso il 99% che lotta per arrestare l’impoverimento generalizzato.

La questione è: quanti sono disposti ad uscire da questa divisione “classista”?

Chi sono i politici che prenderanno sul serio i problemi del paese piuttosto che darne un’adesione puramente strumentale solo per i fini elettorali?

Si è creata un élite che gode dei finanziamenti dei signori della finanza e della sponsorizzazione della grande stampa, che presenta i problemi seri in modo tale da farli sembrare impossibili da risolvere, ma in questo modo si alimenta solo il malcontento sociale.

Assottigliandosi la classe media e aumentando la disuguaglianza, assisteremo sempre più frequentemente allo scontro tra “Alto” e “Basso”.

Per evitare nuove folli avventure che possono minare le istituzioni democratiche occorre rompere questo schema, costringere le istituzioni a rispondere alle istanze genuine della popolazione, com’è successo tante volte in passato con politici come Franklin Delano Roosevelt.

In questa direzione si dibatte negli Stati Uniti sul profilo di Hillary Clinton.

Il magazine The New Republic, che riflette il pensiero dell’ala progressive, le ha dedicato la copertina titolando: Inevitabile.

E proprio sul tema della disuguaglianza economica, argomento centrale per i democratici, Scheiber delinea i termini della questione – lo scriveva il 2 luglio http://www.newrepublic.com/article/118540/hillary-clintons-inequality-strategy – sottolineando le non poche difficoltà dei Clinton,  che a partire dagli anni Novanta hanno raccolto più di 1 miliardo di dollari  per le campagne politiche dal settore privato, di cui il 12% dal settore finanziario, tra cui Goldman Sachs e Citigroup; ricordiamo inoltre che nel ’99 fu suo marito Bill Clinton a firmare l’atto per  il superamento del Glass-Steagall Act.

Senza imbrigliare il settore finanziario che ha generato la crisi ma è riuscito a salvarsi a spese degli altri, cristallizzando il potere nelle mani delle elite del paese, come si può immaginare di rimettere in moto l’economia reale?

La strategia della Clinton è presto detta: non inimicarsi gli sponsor della grande finanza, preferendo affidarsi alla retorica ‘la disuguaglianza mina la nostra democrazia’; ha buon gioco nell’evitare di schierarsi per una maggiore regolamentazione di Wall Street, preferendo concentrarsi sull’altra issue – quand’anche con slogan non molto chiari – invocando la ripresa economica che rimetta al lavoro gli americani.

Hillary Has a Plan to Attack Inequality—Without Attacking Her Corporate DonorsDel resto, la Clinton si rafforza nella base democratica proprio perchè affronta di petto il tema dell’impoverimento della classe media, trascurando l’altra faccia della medaglia: l’arricchimento eccessivo dell’elite.

http://www.newrepublic.com/article/118432/hillary-clinton-2016-how-she-won-over-left-become-invincible

Naturalmente i progressisti appoggerebbero la Sen. Warren perché lei porta avanti istanze più serie e giuste. Anch’ella prende posizioni anti-establishment, come Obama nel 2007-2008, lo ricordiamo:

– anti-guerra in Iraq (a differenza di Hillary che seguiva il solito copione dei democratici che dovevano fare i falchi per parare le critiche dei repubblicani)

– anti finanza (anche se purtroppo quasi solo a parole, ndr)

– di grande respiro, cioè puntando a cambiamenti grossi, epocali, per cambiare il discorso politico.

Oggi però, tutti i progressisti che avevano creduto in Obama – e che dovrebbero credere e spingere per la Sen. Warren – sono disillusi. Hanno visto che non è stato possibile fare i grandi cambiamenti. Non sono diventati anti-Obama, ma si sono resi conto di quanto sia difficile cambiare le cose. Vedono in Obama uno che è arrivato con grandi aspirazioni, ma che poi ha dovuto piegarsi di fronte alla realtà politica: trattare con i repubblicani, subire i blocchi del Congresso, tener conto della protesta popolare manipolata da lobby importanti (armi, sanità).

Dunque non è che non vogliano più il cambiamento vero, è che non credono sia possibile arrivarci velocemente. Pensano che ci voglia il pragmatismo, un po’ di furbizia, la capacità di trattare con il nemico, ecc. E queste sono cose che Hillary rappresenta.

Certo, con Hillary i dubbi si concentrano anche su chi entrerà a far parte del team economico: la stessa Sen. Warren ad aprile su Politico di suo pugno vergava un pezzo dal titolo sferzante: Il Gruppo esclusivo (ma anche la cricca) di Citigroup in cui si domandava come mai Obama nominasse tutta gente che proviene da una grand sbanca di Wall Street.

The Citigroup CliqueE parlando di Robert Rubin – ex CEO di Citi – notava che tre degli ultimi quattro Segretari al Tesoro durante le Presidenze democratiche hanno prestato servizio in Citigroup.

Rimandiamo a Politico.com http://www.politico.com/magazine/story/2014/04/the-citigroup-clique-106125.html#ixzz37dhYsKan

Concludeva così la Warren su Politico:

‘If the big banks can seize (cogliere) both parties, then the Democrats—and the country—lose the central economic argument that government should work for the people, not just for the rich and powerful’.

Se le grandi banche posso impadronirsi di entrambi i partiti, allora i Democratici – e la nazione – perdono l’argomento economico centrale: il Governo deve operare per la gente, non a favore dei ricchi e dei potenti.

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