
di Antonio Cipriani
Mi sono riletto un’intervista a Limes di Francesco Cossiga, datata 1995. Non me la ricordavo così interessante. Me l’ha fatta tornare in mente un amico e collega che mi ha fatto notare che in questa intervista cita me e mio fratello Gianni, affermando: “Leggono tutto in chiave di teoria del complotto, la dietrologia come storiografia”. Una frase che detta così vuol dir poco, ma che è interessante se l’affermazione viene allargata alla frase completa di Cossiga: “Le stragi restano avvolte nel mistero. Io non mi meraviglierei però se un giorno si scoprisse che anche spezzoni di servizi di paesi alleati o neutrali, non solo nemici, avessero potuto avere interesse a mantenere alta la tensione in Italia tra il fronte comunista e quello anticomunista. E quindi a tenere basso il profilo geopolitico dell’Italia. Sulle stragi ci sono due concezioni estreme, entrambe sbagliate. Quelli che, come i fratelli Cipriani, leggono tutto in chiave di teoria del complotto – la dietrologia come storiografia. E quelli che rifiutano qualsiasi ipotesi di strategia internazionale nello stragismo. Fra i due estremi passa la verità che ancora nessuno conosce”.
Complottisti noi? Cossiga, che nell’intervista mostra di conoscere cose che noi umani, compresi buona parte dei politici che ci hanno governato, non conoscono, lascia intendere un interesse straniero sulle stragi e segna due estremi, sposando di fatto quello complottista e affermando che la verità ancora non si conosce. Ma la risposta alla domanda successiva è ancora più bella: “Spesso si è parlato di collegamenti fra stragismo, terrorismo e mafia. Secondo lei il fatto che Cosa Nostra controllasse e controlli un’ampia fetta del territorio nazionale ci penalizzava nell’ambito alleato?” E Cossiga, magistrale, replica: “Ci penalizzava come immagine, certo. Ma la mafia non ha mai costituito un pericolo per l’Alleanza Atlantica. Anzi, tendo a pensare il contrario… Ma certamente era e resta un pericolo per lo Stato italiano”. Che grande risposta: la mafia non era un pericolo per l’Alleanza Atlantica, ma il contrario. E il contrario qual è? Un aiuto? Un sollievo?
E poi dietrologi saremmo stati noi? Mi sembra invece che Cossiga fosse consapevole dell’uso strategico dell’eversione che potesse destabilizzare per stabilizzare. Basta intendersi e capire destabilizzare che cosa e a vantaggio di chi. E lui lo dice con chiarezza in tutta l’intervista che va letta con attenzione. E spiega bene alcuni passaggi della nostra storia recente di sovranità limitata e di doppia, tripla e quadrupla fedeltà di chi ci ha governato. Vi pare poco?
Evidente il cambio di prospettiva. Prima non si fidavano dell’Italia e quindi era necessaria una “cura speciale” all’interno di un equilibrio strategico internazionale. Ora non contiamo più niente. Già si coglie questa sensazione nel 1995, figuriamoci che cosa avrebbe detto Cossiga di quest’ultima generazione di governanti che hanno avuto il pregio di scegliere, quindi di poggiare gli interessi nazionali dietro ad altri interessi finanziari e militari che sicuramente non sono quelli che volgono verso il bene comune del Paese. Anzi.
Detto questo, rivendicando un giornalismo critico e di approfondimento, ancora possibile in una fase storica di mutazioni come quella tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, non penso di essere mai stato biecamente complottista, né ciecamente dietrologo. Direi che non mi sono mai fatto convincere dalle verità ufficiali e dalla grancassa mediatica che accompagna da sempre le grandi finzioni di politica, economia, potere. E per questo essere inadeguato al sistema che deve filtrare, vedere e non vedere, scegliere di vedere e sostenere solo le tesi che non disturbano, ho pagato un prezzo. E va bene così.
Non amo il complottismo che rende tutto grottesco, ma non credo al diritto divino mediatico delle verità ufficiali. Perché se i complottisti vedono coincidenze significative in ogni ombra, le verità ufficiali che intossicano la narrazione del tempo sono figlie dell’ombra, di qualcosa che sfugge alla nostra conoscenza per scivolare verso ciò che potremmo definire interesse superiore. Che poi è un insieme di interessi più o meno privati, che incastonati rappresentano una ragione del potere. Conservatrice per sua essenza. Quindi arroccata in difesa, laddove noi tutti dovremmo esercitare il dubbio perché si sgretoli. Perché possa diradarsi l’ombra.
Non esiste una sola vicenda, negli ultimi decenni, che non si basi mediaticamente su questa ragione del potere: su interessi di pochi a scapito di tutti gli altri, e sul segreto di questo aspetto lampante. Oltre che su un sistema, drammatico, di perdita di memoria storica. Che tende alla semplificazione dei fatti, alla loro banalizzazione, alla devastazione di ogni senso critico attraverso l’abolizione delle sfumature, delle mille ragioni che innervano ogni passaggio del percorso della nostra vita, della nostra epoca. Solo bianco o nero. In una libertà codificata sul principio della guerra, invisibile talvolta, dichiarata, umanitaria, chirurgica e di civiltà in altri casi.
Non amo il complottismo con le sue semplificazioni arroganti.Con le elucubrazioni spiritate, con i suoi “non è per un caso” capaci di uccidere qualunque possibile verità storica, di fare terra bruciata su dubbi e punti oscuri che evidentemente costellano la nostra storia reale. Che è fatta anche di accordi e trame occulte, operazioni coperte, mafia, omicidi selettivi ; di ragion di Stato che non vengono rivelate neanche dopo decenni e di azioni vergognose segrete da non far mai giungere all’opinione pubblica. Se non depotenziate, sgonfiate da paradossali tritature del pensiero che minano ogni credibilità, rendendo ogni sciocchezza paritaria con ogni intelligenza, quindi privando l’intelligenza di tutto il suo potenziale rivoluzionario.
Prima parlavo di storia reale. Del tempo che percorriamo passo dopo passo, forti delle conoscenze e della memoria, del costruire sottili fili e del pensare qui e ora. Una storia reale che dipende dalle strutture sociali, dalle dinamiche del Capitale, dai rapporti di classe, da quelli di genere, dallo sfruttamento di una parte del mondo sull’altra, dall’apoteosi dell’oscurantismo delle religioni. Da condizioni di vita falsificate nella narrazione di ogni giorno: non dai complotti, ma dalla normalità accettata del mondo in cui viviamo che si basa su eleganti intoccabili rapporti di forza, tra il sistema di potere e i cittadini, declinabili in ogni segmento della realtà. Tra chi ha informazioni e sapere e chi non le ha. E ignorandole è privo di anticorpi, non può combattere la battaglia della vita, quindi della conoscenza, ma soccombere a qualunque scia chimica della mentalità del tempo.
Non amo il complottismo che appiattisce ogni visione del mondo. Che polarizza ogni conversazione abituando il pensiero nello stretto passaggio del bianco e nero, del vero o falso, del dover per forza dire, anche quando sarebbe meglio tacere. O ascoltare. O affilare il pensiero in una prospettiva diversa dello sguardo. A usare voce bassa laddove le urla sono alte. Non amo quindi questa mistificazione del tempo che ci costringe a essere sicuri di sé, che combatte l’insicurezza e il dubbio, che affossa il senso critico e la lentezza del pensiero a vantaggio della velocità dell’assoluto. Qualunque sia purché netto, da difendere come un sol uomo.
Mertzig. “Nell’epoca delle atrocità profuse a piene mani dal capitalismo neoliberista mondializzato che ignorano ogni istanza democratica, travalicano ogni frontiera e sembrano impalpabili eppure inesorabili, non sorprende che qualcuno, oggi come ieri, si affanni a voler percepire il mondo solo attraverso una griglia cospirazionista… Quello che è nuovo, invece, in un mondo dove i modi di comunicazione, le reti sociali, i media privatizzati e trash rendono indifferenziate tutte le narrazioni, è che le speculazioni complottiste incontrano sempre più successo fra coloro che sono pronti ad affidarsi ciecamente a credenze semplificatrici. In luogo della necessaria critica implacabile dei rapporti sociali, si afferma così un’ideologia retrograda che dubita permanentemente delle realtà socioeconomiche. Le teorie complottiste non sono dunque in nessun modo teorie, ma sono un corpus ideologico adatto a occultare e non a rivelare”, scrive Robert Mertzig.
Appiattire, occultare e rendere senza domande il viaggio.Come in guerra, tra nemico e amico. Senza alcun senso critico di chi intende percorrere a occhi spalancati proprio l’avventura del viaggio. Senza dover dire e senza dover negare. Aggiungendo al dono della conoscenza il segreto della cura e del coraggio. Fuori dalla mentalità che, come una marea sotto la luna, si sta gonfiando.
CLICCATE PER LEGGERE L’INTERA INTERVISTA A COSSIGA DEL 1995.