Questo è Cefis 4
La fiera delle vanità, anno XVIII dell’Eni
di Giorgio Steimetz

Il discorso sulla spietata immunità che avvolge e struttura la leadership all’ENI, in una con la larghezza quasi demagogica delle imprese sovvenzionate, è lungi dal concludersi, perché forme disinvolte di quello che in configurazione giuridica si suol definire « peculato per distrazione » arricchiscono l’inchiesta esemplificativa. Distrazione di fondi (dell’Ente, cioè del privato cittadino) per delle forme di pubblicità a carattere politico o di aggiotaggio della stampa; distrazione di personale addetto a misteriose mansioni in altrettanto nebulose ed elastiche destinazioni, per fini strumentali o per esplicite funzioni personali del Presidente.
La pubblicità è un hobby tra i più intelligenti e curati di Eugenio Cefis. E convinto che tale merce di scambio sia insostituibile, predominante, produttiva; attraverso il richiamo visivo, egli pensa che si debba comunque raccogliere, anche se il materiale in vendita non si garantisce da solo, anche se la vendemmia diventa sempre più laboriosa e problematica. Compassato com’è per natura, sul tema della pubblicità riesce ad infervorarsi.
Il suo tallone d’Achille è forse individuato: a tutti pretende dettar legge, fornire suggerimenti e direttive, sottoporre spunti, tracce, iniziative incontestabili, anche se l’argomento sconfina in economia, in politica, perfino nell’edilizia. Ma quando si tratta del messaggio pubblicitario, allora si arrende ai tecnici, ascolta e rispetta certe teorie filosofiche sulla comunicabilità dei veicoli e delle masse; ammira gli arabeschi grafici che precedono il lancio di un manifesto, come si trattasse di prove d’un Picasso, segue i dettagli di una manifestazione con l’attento ossequio d’uno scolaretto.

Il raptus messianico della pubblicità

Della pubblicità è un fanatico: residuo d’una mancata vocazione, inconscia alterità quello che si vorrebbe essere, e non si è, forma di relax? Forse niente di tutto questo. Semplice conoscenza di un mezzo di conquista, la cui disponibilità, in millimetri e in giornate, è una sorta di bene di rifugio, un lasciapassare per ogni soglia. C’è gente che ha fede negli oroscopi, altra nelle dottrine sociali, altri nel sistema applicato al Totocalcio e alle Lotterie Nazionali. Eugenio Cefis non nasconde la simpatia per questo moderno strumento di seduzione: così corretto, asettico, standardizzato, qualcosa tra la scienza e la religione (economica).
A pochi passi da Via Chiossetto, precisamente al n. 2 di Galleria Passerella, sorge la sede della L.S.P.N. Linea S.P.N. Pubblicità e Marketing , con capitale di centinaia di milioni (i soliti grappoli di zeri che allietano le gestioni, dirette o no, dell’ENI). Di chi sia questa L.S.P.N. non sappiamo dirlo; forse non proprio dell’ENI. Quello che sappiamo è che lì Cefis si sente di casa, è riverito e trattato come un ospite regolare e come un padrone in incognito; commissiona ed adopera la S.P.N. per le esigenze del Gruppo ENI e di altri Enti di cui è protettore.
Sorta nel ’61, con filiale a Torino, ha subìto poi diverse variazioni di cariche e di capitali. Vi passarono Olcese, Guerrieri, Gray De Cristoforis, Cutelli, sino al ’64. Vi approdò con Manlio Magini e Renato Marnetto, tra il ’67 e il ’69, quell’Antonio Padellaro che godeva sino a qualche anno fa dell’ubiquità in pressoché tutte le unità del Gruppo ENI. Dal 1969 Padellaro è uscito, lasciando il posto a Gianluigi Brignone e con Roberto Ciccarelli, Direttore. I1 Consiglio di Amministrazione, con il Presidente Magini, è costituito da Brignone, Marnetto e Ciccarelli. Nel ’70 si è compiuta la fusione con la « Linea Pubblicità e Marketing », quanto a dire l’assorbimento della stessa nella S.P.N., di qui la nuova sigla: L.S.P.N.
Teorico e nume della LSPN che ha tanto di filiale a Roma in via Po e un certo Righi. Curiosa, in ogni caso, l’omonimia col cognome della signora Cefis. O fausta coincidenza, sulla quale sarebbe gradevole saperne di più. Direttore il Ciccarelli, già della staff alla Tecnica Direzionale dell’ENI, mentre il Marnetto a sua volta è un capo amministrativo dell’Ente Idrocarburi. I1 tipico e stranamente consortile apparato in distacco, ambiente di famiglia. Il mistero aleggia qui come altrove. Come, diciamo per inciso, al 14-16 di via Borgonuovo (mentre al 15 Cefis conserva una formale residenza): dove non si sa bene se identificare l’ufficio personale di Eugenio Cefis (vedi via Chiossetto) o la sede di rappresentanza dell’ENI in Milano. Certo vi sono assegnate due signorine, segretarie alle dipendenze dell’ENI.
Non andiamo distraendoci dal tema: il tema pubblicità è passaggio obbligato per giungere a conclusioni coerenti. Accompagnando il Presidente nel breve tratto tra le vie Chiossetto e Passerella un modo di mantenersi giovani, l’andar a piedi per Milano non c’è il caso di ammirare qualche particolare architettonico, perché il monologo tiene avvinti, anzi si corre il rischio di insubordinazione se appena si perde il filo del discorso (di Cefis).

Danaro allegro per allegre comari

Appena un interrogativo, nell’interlocutore reverente: si può applicare il canone pubblicitario anche ad una idea morale o religiosa, ad un prodotto spirituale? Come potrebbe metterlo in dubbio un patito del messaggio sociale della reclame, oggi scienza esatta? Potrebbe invece spazientirsi, come sempre gli accade, e guardare in tralice l’incauto: dice che in ogni campo, senza distinzioni retoriche, occorre una terapia d’urto, una strategia offensiva; se un prodotto qualsiasi non è popolare, con la pubblicità lo diventa, e incontra, e sfonda. Trionfalmente, si direbbe, se la cosa è affidata alla L.S.P.N. e suggerita o condotta da Cefis o dal suo luogotenente generale del quale ci occuperemo diffusamente.
Di pubblicità, la L.S.P.N. ne lavora naturalmente parecchia. In milioni di famiglie, lungo migliaia di chilometri di strade, il messaggio del petrolio italiano, la potente benzina Supercortemaggiore; del gas di stato (italo-afro-sovietico-olandese); degli inarrivabili concimi ANIC, approda puntualmente e con una intensità che non esitiamo a definire insuperata. Ma rimane del tempo libero ai molti dipendenti dopo la routine (non sima né eccezionale) dei prodotti casalinghi. L’inventiva del duo Righi-Ciccarelli si sfoga riempiendo di grafici le (molte) stanze dell’agenzia che occupa il quarto e il quinto piano dell’edificio.
Un lavoro extra, saldato con tanto di parcelle onorate da Cefis. Spese che però non entreranno mai nei bilanci dell’ENI, in quanto si tratta di esercitazioni del tutto estranee all’ENI stesso: studi, ricerche, laboriose progettazioni, ideogrammi sovente grotteschi, stampa di manifesti; a migliaia, plancie sui filobus, cartelli sui tram, inserzioni sui giornali per decine di milioni (secondo l’apposito Piano). Le fatture della L.S.P.N., di editori e tipografici, dell’Azienda Trasporti Milanesi e dell’Ufficio Comunale delle Pubbliche Affissioni, ecc. non vengono intestate all’ENI né a Cefis, ma direttamente all’ENTE (non di Stato), il quale una sovvenzione finanziaria assai cospicua dello stesso Cefis può coprire così le spese, liquidando le fatture.
In altre parole, meno astruse: l’ENI adopera quattrini, personale e impianti (anche sussidiari) per finanziare campagne e lanci di merce assolutamente estranea alle catene di produzione ENI. Imprese che comportano tetti di cinquanta, cento milioni, sulla parola del Capo. Evidentemente se lui ne risponde, lui paga. In qualche modo: o sui bilanci aziendali o sulla propria Vanoni.
Il paradosso è trasparente, oltre gli schemi di paglia e le altissime Finalità di certe sovvenzioni esiste il crudo malcostume. Sul quale una volta di più dovrebbe appuntarsi lo sguardo di quel cane d’Argo che è il Fisco, acutissimo coi probi e onesti cittadini, assonnato e facile con i grossi evasori.
All’occorrenza sapremmo dettagliare il contenuto di questa asserzione, con tutte le strutture portanti di un episodio edificante che dura da tempo. Limitiamoci ad assicurare che la più recente e splendida trovata di Cefis in questo settore è sfociata nella campagna pubblicitaria del novembre 1970 e dell’aprile 1971 a favore di certe componenti sociali a sfondo religioso (!) e riservate a Milano. Per quanto fallimentare in fase d’avvio, la cosa ha entusiasmato il Presidente dell’ENI, colpito dal «messaggio brillante sia in termini formali che contenutistici, ispirati ad una tematica giovane e attuale».
Il fallimento dell’iniziativa pubblicitaria è legato a fattori umani e ambientali che neppure l’ENI e le sue scuderie da corsa possono evitare. Ma questo è scontato, anzi, sta a dimostrare che bisogna puntare sui ronzini che gli scommettitori danno per finiti se si vuol vincere trionfalmente, magari quell’unica volta che la corsa riesce (al ronzino). Diamogli biada, allora; l’occhio del padrone ingrassa il cavallo.

La cappella gentilizia di Eugenio Cefis

Dunque Cefis dedica favore e simpatia tanto a questo fantomatico Ente quanto alle ideologie reclamistiche. Ma mentre le pensose realizzazioni della L.S.P.N. si affrancano da un giudizio di merito, richiedendo soltanto quesiti di ordine estetico e funzionale e brillando di luce riflessa quanto a corresponsabilità finanziaria, l’astro segreto di Eugenio Cefis e sua aureola, costituisce una specie di assicurazione (spirituale, anche) sulla vita e sulle fortune dell’Ente di Stato.
In primo luogo esso consente ad un personaggio come Mattei o come il suo successore di iscrivere il proprio nome, con tutti i vantaggi materiali allegati, tra i grandi benefattori della società. Coloro che infatti con discrezione, tatto e lungimiranza disprezzano le luci violente della notorietà, ma affidano ad anni di (quasi) completo silenzio operativo un’azione tonificante, in sè egregia e ammirevole, per uno dei tanti bisogni comunitari d’una metropoli come Milano, col suo ampio hinterland. In secondo luogo si acquistano- così le credenziali più efficaci e rispettate in ogni epoca di cesaropapismo (o di repubbliche conciliari: mutano gli addendi, non il risultato).
Inoltre si applica alla lettera il dettame evangelico di Mammona e si guadagnano indulgenze non indif3erenti: per questa vita, soprattutto; per questo regime, in particolare. Imporsi nel nucleo di un tale centro di potere non sicuramente politico, ma che garantisce viatici, coperture, benedizioni ai gagliardetti, appoggi morali, alte protezioni, è infine l’ultima pregevole perla d’una collana d’opere d’interventi così congeniali ai signori Presidenti dell’Ente Nazionale Idrocarburi.
L’ENI quindi partecipa in maniera vistosa e determinante ad un’opera di cui saremo i primi ad esaltare le finalità e il contenuto, ma assolutamente fuori rotta rispetto ai canoni istituzionali dell’Ente stesso . Tali provvidenze avvengono attraverso canali ben definiti: più unità le dita di una mano non bastano per contarle vengono distaccate (configurando così la più lampante distrazione di personale) e segretamente comandate in attività esulanti dai compiti d’istituto dell’ENI.
Altre forze regolarmente inquadrate si aggiungono a questi reparti secondo le necessità, consulenti, ispettori, dirigenti, per integrare il lavoro a tempo pieno e in sede riservata della staff principale; l’ENI poi aggiunge cospicue e ricorrenti elargizioni a titolo di contributo e nell’ordine di milioni per l’incremento patrimoniale, meglio dovrebbe definirsi immobiliare dell’opera che gode di favori particolari da un Presidente a capo d’uno dei più colossali enti di Stato. Senza dimenticare, come abbiamo detto più sopra, la disponibilità della L.S.P.N., l’azienda pubblicitaria ENI. Un boccone che manderebbe la sinistra politica italiana in bestia, se non rientrasse tra le clausole riservate o sottintese di quel Piano ’80 nel quale confluiscono, come negli alambicchi del Mago Merlino, tutte le specie di ingredienti per facilitarne 1’ingestione. Un tempo, però, le opere pie usavano servirsi dell’apporto di donazioni, fattorie e campagne per sostenere le spese d’esercizio di ospedali e collegi. Oggi con l’ENI e con Eugenio Cefis, lo Stato si serve invece delle opere pie per far quadrare i bilanci (morali) delle sue cooperative…
La tecnica del ribaltamento, con milioni buttati al vento, ma ogni creditore tacitato dal fiduciario. Dietro c’è lo Stato: come può tremare Cefis? Ad un tempo è il beneficiario morale dell’operazione, saprà rifarsi in seguito o su altro fronte, arruolando per nuovi compiti specifici, a tempo pieno, altri dipendenti dell’ENI distaccati presso centri d’azione che nemmeno lontanamente rientrano tra i mestieri d’istituto dell’Ente Idrocarburi. La solita danza di attribuzioni, di trasferimenti, di vocazioni distratte, di venialità organizzative, di scompensi aziendali.
Normale amministrazione per un baraccone che tutt’al più avrà a che fare, in linea ipotetica, con il Consiglio di Stato, mulino a vento per il quale non si scomoda neppure un Sancho Panza, in Italia. Dati e riferimenti potrebbero essere da noi ulteriormente chiosati e istruiti con piena rispondenza al filo logico del discorso.

Sempre nero l’oro per un silenzio d’oro

Più precise, perché facilmente riscontrabili, le direttive pubblicitarie seguite dall’ENI, attraverso la L.S.P.N. (Righi) Ciccarelli & C. per la propaganda dei prodotti genuini della casa. Ciccarelli & C. non significa evidentemente che vi sia sottinteso il cognome del Presidente, in questo caso appena compagno.
Il petrolio in Italia non c’è, ma non esiste cittadino del Bel Paese che non sia a conoscenza della potente benzina italiana. Occorre vendere almeno il petrolio che importiamo e lavoriamo, così come il gas afro-sovietico. Per vendere, bisogna battere la concorrenza: reclamizzando la Supercortemaggiore con la sua rete eccellente, diciamolo pure, di servizi e attrezzature ricettive si argina il mercato già larghissimo della Esso, Shell, BP.
All’AGIP comunque domina il concetto del Kolossal. Epater les bourgeois: lustrini, fronzoli, vetro-cemento; il Texas nella Valle Padana o nel profondo Sud. Ora ha lanciato, cogliendo l’amabile ortofonia del Big Ben di Londra, le boutiques per l’altro pieno. Il felice consumatore della potente italica benzina troverà altre temibili seduzioni ogni qualvolta arresterà il motore presso le stazioni di servizio Agip: al Big Bòn tutti i generi di conforto per l’umanità su quattro ruote, dalla bomboletta spray contro i cattivi odori della combustione sino al rossetto per la signora, dalle stoviglie ai biscotti, dai pupazzi ai cosmetici, dai palloni alle catene per la neve.
Il simbolo del cane a sei zampe onora questa merce esclusiva. Nuovo e sfacciato pretesto per servire l’automobilista servendo la causa, cioè monopolizzando altri settori della produzione italiana, colorando di giallo sole la catena dei desideri per l’uomo medio al volante. Con qualche altro nome sociale da aggiungere al lungo elenco dell’ENI e qualche serviti in aggiunta alle tante del famelico cane a sei zampe. Come per la Fiat, avremo anche il cachet contro il mal di denti made in Metanopoli?
Quello che troviamo scandaloso non è dunque né il prodotto in sé, né la rete di distribuzione, né il richiamo pubblicitario con tutti i suoi pretesti psicologici venato di sciovinismo. È l’ammontare del budget pubblicitario, cifre da capogiro; sono i veicoli, quotidiani, rotocalchi, giornaletti, bollettini, purché allineati.
Se non andiamo errati, il totale di tali spese non è indicato nei bilanci ufficiali, rientrando esse probabilmente nella voce uscite di gestione, a meno che le abbiano confinate tra le partite di giro. Meglio gettare un velo su questo allegro capitolo che sarebbe interessante conoscere sotto il profilo dell’unità degli investimenti, della resa in tonnellate di benzina assicurata ai massicci sperperi di denaro.

Le conferenze parlamentari del Presidente

Stendere un velo, abbiamo detto. Cefis lo sbandiera magari davanti alla Commissione Bilancio della Camera, quando precisa che gli investimenti, dal 1971 al 1975, sono di quasi millecinquecento miliardi per l’industria petrolifera integrata; di 520 per il trasporto e la distribuzione di gas naturale (afro-russo-olandesepadano); di 57 miliardi per l’industria nucleare e di oltre mille miliardi per l’industria chimica e settori manifatturieri.
Cifre rispettabili. Ma il Presidente ha dimenticato di precisare quanti miliardi inghiotte in produttivi investimenti il budget pubblicitario dell’ENI e quanti ne divora il pareggio per il deficit dei suoi giornali. Sarebbe tempo che qualcuno gliene chiedesse ragione ed estremi con tutta chiarezza.
Cefis per la circostanza ha adottato il solito idioma populista. Le compagnie internazionali non rappresentano, a suo dire, alcuna altra potenza se non i propri individuali interessi petroliferi; si dovrà pertanto guardare ad una evoluzione sostanziale nelle strutture del mercato petrolifero, promuovendo i Paesi produttori. Ragionamento sano, se non trasparisse l’astio verso le Sette Sorelle che lo hanno di recente snobbato se non ridicolizzato al cospetto di Rehza Pahlevi.
Il cavalier Cefis vorrebbe quindi farsi promotore, come Mussolini a Monaco, d’una Conferenza tra Paesi produttori e Paesi consumatori di petrolio, nell’ambito della CEE. Ma se vuol fare il mediatore e il cliente al tempo stesso, delimitando aree e interessi, cerchi di smobilitare le sonde che mantiene all’estero, ristabilendo quell’equilibrio territoriale che onestamente dovrebbe andar riveduto se proprio l’ENI intende emarginare le Sette Sorelle che nella Cee non ci sono.
Il funambolismo di Eugenio Cefis non s’arresta a queste grandi manovre di corridoio (coi fucili di legno e i tamburi di latta). Quando afferma al Parlamento che l’ENI dall’inizio della sua attività ha scoperto idrocarburi liquidi e gassosi per 289 milioni di tonnellate di greggio, delle quali 139 già consumati, egli ricorda che all’estero l’ENI ha riserve scoperte che arrivano a quasi mezzo miliardo di tonnellate di greggio, di cui l’80% ancora da estrarre. Da questa massa si ricaveranno i 25 milioni di tonnellate di benzina l’anno, corrispondenti alla quota di mercato Agip in Italia, quindi a livello di piena autonomia.
L’arrosto dell’ENI è sempre avvolto nella nebbia e nella cortina fumogena della fedeltà, tonico consueto alla terapia interna dell’ENI, al quale interessa anzitutto e in ogni circostanza apparire e saper dimostrare che fa la politica dello Stato, che lavora e si muove per lo Stato, che agisce sempre (bene) per lo Stato.
Le cifre incantano gli sprovveduti, ma lasciano la bocca cattiva. Infatti bisogna ammettere che l’ENI non procura alcun avanzo di gestione, non assicura né contanti né credito allo Stato; anzi, chiede in continuità denaro (pubblico) per incrementare il fondo di dotazione o turare le falle delle sue disinvolte operazioni, sperperando, in un segreto abbastanza trasparente, i soldi dello Stato. Altro che un «più aperto e meno drammatico confronto tra iniziativa privata e pubblica», come ha affermato ai padri della Patria Eugenio Cefis, rincuorandoli alla Commissione della Camera: basterebbe ricordare la prassi adottata con la Montecatini, ieri come oggi, per smentirlo sonoramente. Necessaria senz’altro la partecipazione statale: ma con altri metodi, con diverso spirito, rifiutando compromessi, intrighi, beghe, ricatti, parzialità. Un uomo dai molti calcoli e dai pochi scrupoli come Cefis non garantisce proprio nulla di buono con la sua testimonianza. Oltre che teste mendace, da imputato in potenza diventa pubblico accusatore, invece.
Il Ministro dovrebbe realmente sbalzarlo di sella, conducendo le indagini necessarie e facendo luce su troppe zone d’ombra, inquietanti, al di là delle affermazioni false e sfacciate e sulla base di tanti elementi che proprio tra queste righe emergono clamorosamente.

Le sette (e più) mogli di Barbablù

Paginoni – per tornare a noi – con le sorridenti fanciulle-sprint allietano il panorama della stampa italiana; il cane a sei zampe sul fondo giallo occupa palco Esso nelle quarte di copertina dei settimanali; i fertilizzanti ANIC si impongono su tutti i giornali di categoria; i bilanci ENI, edulcorati, appaiono su fogli non sempre qualificati, voci di poco conto, inoffensivi; nei caroselli televisivi Raffaella Carrà esalta le virtù della benzina più cara d’Europa; l’olio dai sette pregi (che naturalmente non possiedono le Sette Sorelle) deturpano il paesaggio su tutte le autostrade d’Italia.
Gli stranieri che giungono in questo Eden per la prima volta devono immaginare che il sottosuolo italiano trasudi petrolio da tutti i pori. A noi basterebbe sapere quanti soldi lo Stato, attraverso l’ENI, butta dalla finestra per reclamizzare olio, metano, benzina d’importazione.
Con una delle sue tante diavolerie, il dottor Cefis farà dire al suo Ufficio Stampa che l’ENI paga la pubblicità con una riduzione del 30% sulle tariffe usuali, che molti giornali addirittura l’accettano gratis. Giungerà ad assicurare, visti i suoi pallini in materia, che con la pubblicità si riesce a vendere tutto, a ribaltare qualsiasi monopolio di forza, a sottrarre clienti. La sua filosofia del messaggio non può tradirlo.
Certo l’eloquenza d’un contratto pubblicitario e la sagra di presenze ENI su tutti i veicoli del ramo, conquistano i lontani, sovente allergici ad accogliere, col messaggio, il sottinteso avallo alla politica che lo involge; avvicina e conserva le amicizie – organi di stampa allineati o sull’orlo di divenirlo –; smonta gli avversari, li intimidisce e arreca fastidio, anche se sono in parecchi, ieri come oggi.
Cefis adopera l’etere, li addormenta come può, elimina resistenza, smobilita caposaldi, zittisce voci autorevoli e intemerate. I partiti che si riforniscono alla fonte ENI, non sollevano grandi eccezioni, non presentano interpellanze, non chiedono inchieste. Bisogna, prima di tutto, vivere. Che il carburante sia Shell o Supercortemaggiore, importa avviare il motore e viaggiare col serbatoio pieno: a caval donato non si guarda in bocca.
La pubblicità, così configurata, perde molto mordente come presa di mercato, rende probabilmente quanto basta per far tornare il conto, non è produttiva secondo le buone regole degli investimenti accessori. Si tratta più esattamente di un affare ottimo senza dubbio di natura politica. L’ENI paga con la pubblicità una quota altissima del costo grezzo di un prodotto chiamato silenzio.
Un gioco pericoloso, per l’uomo della strada, per un’azienda seria, per un marchio industriale; assolutamente compatibile invece con i criteri di gestione di una società dello Stato. Neppure le Sette Sorelle investono tanti miliardi in pubblicità, preferendo un budget ragionato, coerente con la realtà e le meditate prospettive del mercato. Il fine è commerciale, senza contropartite d’ordine politico. In altri Paesi non è detto che si possa comprare il silenzio con altrettanta facilità.
La filosofia del messaggio, edificante concezione di economia politica, tra Machiavelli e il gioco d’azzardo. Che poi ci siano di mezzo i cavalli di Troia della L.S.P.N. con l’ideologo Righi e il direttore Ciccarelli non ha molta importanza: c’è qualcuno che risponde con tutto il peso della carica e delle garanzie. Il Ministro Preti è alle prese con il problema di grattare il fondo del barile per salvare la nostra economia. Già che c’è, perché non tentare il recupero) magari all’80 to, delle spese folli di pubblicità ENI? Sarebbe un affare moralmente geniale e produttivo.
Così come sarebbe onesto recuperare altre spese pazze, parallele a quelle di pubblicità. Ci riferiamo ad esempio all’esposizione che l’ANIC ha tenuto a Mosca quest’anno, prima al mondo sulla piazza sovietica (nessuno evidentemente ama buttare i soldi dalla finestra in imprese di questo genere). Agli esperti moscoviti l’azienda dell’ENI ha presentato le applicazioni delle materie plastiche di propria produzione nel settore della cosiddetta Art Ménagère, ossia della casa, arredamento, comunità in genere, nell’ambito del progetto denominato (forse su ingegnoso suggerimento psicologico della L.S.P.N.) «Kastilia».
Perché poi l’ANIC non presenta in America i suoi ritrovati plastici per la scuola, la casa, gli ospedali? Farebbe ridere i polli o lascerebbe perfettamente indifferenti i tecnici d’oltre Atlantico. Meglio toccare in terra di Russia, visto che da lì ci arriva (o arriverà) metano; visto che la luce viene dall’Oriente anche per il Piano messianico degli anni ’80 di Eugenio Cefis, artefice involontario di una Nuova Italia (come quella cara al fascismo, di cui si copiano megalomania e ardimenti).

L’amico dei passi perduti

Per razzolare simpatie, ogni canale è buono. Anzi taluni godono addirittura dei privilegi, benché la manna sia assicurata un po’ a tutti. Caste susanne nell’industria giornalistica del Paese entrano tra le favorite di uno dei più potenti ras della pubblicità italiana; fra tutte fa spicco una testata tradizionalmente cattolica, anche se decisamente spostata verso i nuovi orizzonti politici del cristianesimo impegnato della Chiesa dei poveri. Edito dalla Nuova Editoriale Italiana S.p.A., «L’Avvenire» esce regolarmente a Milano ed è nato, come tutti sanno, dalla fusione tra il quotidiano cattolico bolognese e il confratello ambrosiano, entrambi illustri ascendenti d’un pargolo tanto spaesato e dispettoso.
In esso prevalgono un linguaggio populista che sposa le cause più nobili del momento; una prospettiva progressista che talvolta lascia interdetti i benpensanti più dotati d’apertura e di credito; toni minacciosi, da comizio; passivi abbastanza paurosi se ci vogliono alcuni vescovi a centinaia di milioni l’anno ciascheduno per contenerli: perché così si vuole.
Non è compito nostro, e sarebbe presunzione il contrario, entrare in merito alle scelte di questo giornale cattolico. Rileviamo soltanto che l’indirizzo, per quanto affumicato, punta alla repubblica conciliare; che certa ortodossia finisce dal robivecchi come tabù o pretesto; che steccati famosi ne risentono polemicamente, mentre si rilanciano tesi e contenuto della dottrina bandita dai teologi del dissenso e dai gruppi spontanei.
Comunque sia, il quotidiano gode di particolare simpatia pubblicitaria ENI, è un po’ la Maintenon, la bellissima del Serraglio. Le ragioni di tanta predilezione meritano un cenno diffuso.
Basterà riandare alla fase di lancio del nuovo quotidiano (para) cattolico. Gli stipendi, rispetto alle tabelle e alle medie dell’ambiente, risultano eccellenti, abbastanza da far schiattare d’invidia sottile il cast del « Corriere » dei Crespi. Non si è badato a spese per l’aumento delle pagine, delle rubriche, dei servizi, con una invasione di corrispondenti, di notiziari, di inviati speciali.

Il mezzadro alla gazzetta del cuore

Come un industriale ridotto al lumicino, si son trovati crediti per tentare un’inversione di rotta, un orizzonte nuovo, più vasto. Si sono ingaggiati per un organo in precedenza clericale e codino — giornalisti del « Corriere » (Vice redattore capo dei servizi sportivi); grafici-impaginatori de «Il Giorno»; redattori dell’ANSA e di « Panorama » (rispettivamente promossi dai servizi scientifici a inviati speciali); l’ex direttore della giovanile e leggera rivista «Ciao Big»; alla cronaca nera, nientemeno che l’ex direttore di « Kent », l’elegantissimo e frivolo mensile per uomini (soli); ancora, l’ex redattore capo di quello che fu per qualche tempo l’ignobile «ABC»; nonché l’ex direttore di «Sì», rampollo di «ABC».
Un rastrellamento in campo laico che è abbastanza significativo e può ricordare, per analogia non forzata, il rastrellamento di azioni Montedison operato da Cefis per salire la Montagnola.
Il riferimento non è ambiguo. Presidente della nuova Editoriale Italiana S.p.A. (editrice de «Avvenire») è quel Giuseppe Restelli, già massimo dirigente dell’ENI e uomo di fiducia di Cefis, tuttora in missione a full-time per conto della popolosa brigata nel sottobosco del cane a sei zampe.
Il nome di Restelli ci impone un ribaltamento, una sorta di parentesi a ritroso, per non dimenticare il suo successore al « Giorno », benché la qualifica di Direttore Amministrativo sia rimasta – a quanto pare – sulle spalle di Restelli in forma onorifica quanto inalienabile. Il Vice al quotidiano dell’ENI è dunque un certo Angelo Morandi, un galantuomo, per quanto saccente e allineato, che probabilmente non ha dirette responsabilità se nel calderone dell’ENI si possono scalare le vette in ascensore, e gratis.
Il giovanotto ha alle sue spalle una carriera fortunata, fulminea e invidiabile. Entrato giovanissimo nel giro era alla SNAM quando, vivente Mattei, questa sigla voleva dire ancora « Società Nazionale Metanodotti»: oggi Cefis l’ha posta in liquidazione, rilanciando un’altra SNAM che però vuol dire SNAM e basta. Addetto a funzioni di segreteria, il Morandi (oggi f.f. Direttore Generale della Divisione SEGISA, della Editrice SNAM S.p.A., che tiene in piedi alla meglio «Il Giorno»), si era distinto per meriti particolari.
Essendo infatti il Presidente Mattei preso dalle sue mille attività sino al punto da non trovare nemmeno il tempo di firmare montagne di corrispondenza ordinaria e limitandosi a porre il sigillo autografo sulle missive e i testi di un certo impegno, il Morandi funzionava da negro per la firma siglando per esteso, con imitazione quasi perfetta dell’originale di Mattei e con fedeltà anastatica ammirevole, il corriere di poco conto, anche magari riferito alla posta di quell’Ente (non di Stato) che il Presidente proteggeva e di cui si occupa pienamente, oggi, lo stesso Cefis.
La capacità di amanuense e di esperto in sfragistica ha giovato molto al Morandi che infatti ha percorso dopo di allora, con passi da maratoneta, lunghe distanze. Dirigente Amministrativo della SNAM, in linea con Restelli nella devozione ai tre successivi Presidenti, fino ad entrare definitivamente nel clan di Cefis (del quale però non dovrebbe imitare la firma) fino alla carica massima in seno alla Divisione SEGISA, della SNAM-SNAM editrice del quotidiano petrolifero. Il segreto è inflazionabile: star sempre a galla servendo fedelmente la causa e il Capo.
A qualcuno, che vi si conforma per dovere di coscienza, va male: scomparso il vecchio padrone, il nuovo non ratifica la simpatia e si finisce nell’anonimato. Ad altri che sanno baciare il piedone (e scovare gli ex voto per il salottino d’attesa del Capo), va molto meglio. E durano. Anche trasferiti all’«Avvenire», tornando al quale bisognerà citare i miliardi provvidenziali che ne hanno potenziato gli impianti, ringiovanendo (o resa stravagante) la formula, consentito di ridurre in orizzontale gli articoli di fondo, per tradizione italiana sempre pubblicati in verticale.
Il confratello (morganatico) del «Giorno» doveva diventare l’organo di punta di tutte le osmosi cattoliche nazionali, tipo ACLI, Base, Forze Nuove e così via. Per sincerarsene con modica spesa, è sufficiente acquistare e leggerne (anche superficialmente) una copia.

II buon brodo della vecchia gallina

I risultati di questa politica aziendale di chiara ispirazione metanopolitana, sostenuta da benevole e larghe concessioni pubblicitarie o redazionali Agip, sono stati la contrazione notevolissima delle vendite, la faticosa ricerca di abbonamenti per rimpiazzare quelli disdettati, un progressivo distacco affettivo e sostanziale dei cattolici, l’emorragia di danaro e di crediti. L’accoppiata Restelli-Narducci, l’uno alfiere del «Piano ’80» di Cefis, l’altro corifeo piuttosto grigio del verbo, non si sgomenta.
Il veicolo «Avvenire» è troppo prezioso perché il Cavaliere (del Lavoro) Cefis non vi dovesse mettere le mani, con la pubblicità di Stato e personale dipendente dello Stato. Il quotidiano cattolico di Genova e quello di Como possono languire, chiudere, in prospettiva, i battenti. Nessuno ne risentirà: non sono allineati. La biada ENI non esalterà sulle loro pagine le virtù della potente benzina italiana; luogotenenti di spicco non verranno dirottati dalla staff dell’ENI al soccorso dei naufraghi irrecuperabili politicamente.
A guadagnarci dal new deal de «L’Avvenire», sono i progressisti del clericalismo laico italiano: i Nazareno Fabbretti, i padre Davide Turoldo, i Don Milani. Cefis conta ottime pedine in questo scacchiere. A1 suo aiuto generoso non si può opporre nessun rifiuto di fondo o negargli una compartecipazione nei criteri di conduzione del giornale.
Il gioco è trasparente: i comunisti non entreranno sul campo del Derby se i cattolici non sono d’accordo di mettere in palio il risultato. Sugli spalti applaudono le voci entusiaste, con la claque guidata dall’«Avvenire». E Restelli dirige i battimani. Con ordine di servizio interno, qualche anno addietro, il dirigente Restelli, capo del Personale dell’ENI, veniva messo a disposizione del Presidente e passava a diverso incarico, rifilato di peso in Piazzale Duca d’Aosta, 8/B. Dove rimane tutto il giorno e magari anche la notte.
Domanda (ingenua): è stato liquidato dall’ENI e assunto dal quotidiano cattolico? Non avendo il dono dell’ubiquità è evidente che non può svolgere proficuamente altro lavoro in altra sede; quindi non dovrebbe ricevere emolumenti da altre fonti che non siano l’amministrazione del foglio quotidiano di cui è Presidente. Oppure è stato collocato alla direzione di qualche Società del Gruppo ENI, per cui l’appannaggio fisso e precedente sostituisce quello che certamente il giornale non gli passa?
Fa parte di qualche azienda che esiste solo sulla carta (e sugli organigrammi) dell’ENI? È quanto si dovrebbe appurare: il reato di distrazione è ancora attuale. Se è uscito dalla stalla, si riporti il bove alla mangiatoia, dato che assai difficilmente si riuscirà a mettere dentro il bestiame trasferito e gli stallieri.
Ogni ronzino ha il suo palafreniere, una sorta di mediatore coi tratti somatici del fittavolo della Bassa, abbastanza incivile e insolente, quanto glielo consente il latifondista che governa e impera sulle terre dell’ENI. Ogni testone ha la sua testata. Restelli ha delle strane convergenze con Cefis: questi è freddo, il primo addirittura scostante, un autentico carrettiere.
Pazienza: Giove ci ha dato un paio di bisacce, ma noi vediamo solo quella leggera che abbiamo davanti. L’importante è che con un carattere poco malleabile e con modi decisamente sgraziati si riesca tuttavia a farsi strada in un Paese dove i furbi devono munirsi comunque di un sorriso e saper lisciare il prossimo. Eccezioni, i Restelli, che onorano la casa, uno stile e una dinastia con tanto di quarti in nobiltà e di stemmi con cani a sei zampe e gatti neri.
All’«Avvenire» si lavora sotto l’insegna del parlar chiaro e scrivere pulito (slogan e manifesto, dovuti alla L.S.P.N. pure, e chissà da chi pagati: ma anche alla «Pubblicità Nazionale» Restelli è di casa, si fa rispettare e temere; anzi trasmette commesse pubblicitarie a base di manifesti grotteschi e infantili e di slogan balordi).
Chissà chi onora queste commesse: l’«Avvenire», forse (o l’Ente pio, caro a Cefis). Ma chi dà i soldi per pagare al quotidiano cattolico, notoriamente al verde? Sempre lo stesso, oscuro (o notissimo) personaggio che a base di decine di milioni avalla le pendenze dell’ENI ?
Dovrebbe essere il marchio di fabbrica dell’ENI: agire chiaramente, rispondere esattamente. Ma la regola funziona sempre, a rovescio: nel carrozzone, come in tutte le sue roulottes.

Questo è Cefis, pp.47-63 (4 – continua)

Qui il primo capitolo, secondo capitolo, terzo capitolo, quinto capitolo, sesto capitolo, settimo capitolo, ottavo capitolo, nono capitolo, undicesimo capitolo, dodicesimo capitolo

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