I 10 PUNTI DEL DOSSIER F-35
– F-35: inizio della storia. Chi decise di comprare …
– Perchè proprio gli F35 americani? Ecco i motivi dichiarati … – F35: Un progetto fallimentare e pieno di problemi … – L’Italia potrebbe sottrarsi all’acquisto degli F35? … – Gli sviluppi del governo Monti sugli F35: il gioco delle 3 carte … – 30.000 militari di carriera da riposizionare in 20 anni: F35 salvi … – Tutti i rischi dell’operazione F35: – lavoro, + armi … – I costi della difesa italiana: 23 miliardi di euro, F35 esclusi … – Partiti politici: la mappa dei pro e dei contro gli F35 … – Le reazioni di cittadini e società civile: il fronte del No F35 … |
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F-35: inizio della storia. Chi decise di comprare
La storia dei cacciabombardieri F-35 ha radici molto lontane, che risalgono addirittura al 1996: vediamo cosa accadde.
L’Inizio della Storia, era il 1993 e la guerra fredda era finita
La storia inizia nel 1993. A quell’epoca il mondo aveva visto definitivamente allontanarsi la guerra fredda, il muro di Berlino era crollato, e l’Unione Sovietica si stava dividendo in tanti pezzi. Si poteva dunque risparmiare sugli armamenti, e l’allora Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton
impose a tutti i servizi aerei americani di unificare nel programma JAST (Joint Advance Strike Tecnology), tutti gli studi e i progetti in corso per creare aerei da combattimento, con l’obiettivo di sostituire molti velivoli, mantenendo costi di sviluppo, di produzione e operativi che fossero bassi.
Dopo studi attenti il programma JAST arrivò alla conclusione che di questo super aereo d’attacco dovessero essere create tre versioni, tutte con una base di partenza uguale: una convenzionale per l’USAF (United States Air Force, l’attuale Aeronautica Militare degli Stati Uniti), una per essere imbarcata per la Navy (la Marina Militare degli Stati Uniti) e una STOVL, ovvero un aereo dal decollo corto e atterraggio verticale, per i Marines.
Tutto questo avrebbe significato, basando i tre prototipi su una sola base, una notevole riduzione dei costi di costruzione. Un po’ come fanno le industrie automobilistiche, dove ti ritrovi che la tua Lancia ha lo stesso pianale della Punto, per risparmiare.
Nel 1996 il programma JAST iniziò a richiedere proposte alle aziende costruttrici di aerei, trasformando il suo nome in JSF, ovvero Joint Strike Fighter; tra tutte le proposte presentate ne furono scelte due: una della Boeing che proponeva il modello chiamato x-32,

Entrambe le case costruttrici presentarono le tre versioni del cacciabombardiere richieste, e, dopo 4 anni, alla fine del 2000, furono effettuati i primi test di volo.
I prototipi furono vagliati e valutati attentamente per un anno e fu dichiarato vincitore della gara il progetto presentato dalla Lockheed, che avrebbe preso, nel modello definitivo, il nome di F-35.
Perchè l’Italia rientra in questo progetto?
Quanto esposto fino ad ora è la storia di come è nata l’idea e l’esigenza da parte degli Stati Uniti di creare questo modello di cacciabombardiere, e del perchè si è arrivati alla scelta dell’F-35.
Ma l’Italia in tutto questo cosa c’entra?
Il programma americano JSF aveva una fortissima caratteristica: quella di coinvolgere, in qualità di partner, altre nazioni sia in fase di studio e sviluppo del progetto (Fase1), sia poi in fase di produzione dello stesso (Fase 2).
Dagli Stati Uniti sono stati previsti 4 livelli di partnership.
Partner di livello 1 è soltanto l’Inghilterra, con un impegno economico di 2,5 miliardi di dollari, il 10% della spesa prevista per i costi della Fase 1, di sviluppo del progetto (stimati in 20 miliardi di $, ma lievitati successivamente), ed è la nazione che ha più voce in capitolo nelle varie scelte che riguardano lo sviluppo economico.
Partners di livello 2 sono Italia, con un impegno economico pari a 1 miliardo di dollari (circa il 5% del costo previsto dalla Fase 1) e Olanda con 800 milioni di $; al livello due le nazioni hanno una scelta significativa, ma non determinante, nelle scelte del progetto.
Partners di livello 3, con un impegno economico dell’1% sulla Fase 1 e con un modesto peso nelle varie scelte, sono Canada (440 milioni di $), Turchia (175 milioni di $), Australia (144 milioni di $), Norvegia (122 milioni di $) e Danimarca (110 milioni di $).
Dunque l’Italia è il secondo finanziatore in assoluto del progetto.
Un altro livello di Partnership è quello che prevede soltanto l’acquisizione di informazioni privilegiate in cambio di un impegno economico pari a decine di milioni di dollari; a questo livello hanno aderito soltanto Israele e Singapore.
La decisione dell’Italia di partecipare al progetto di realizzazione dell’F-35 è stata presa già nel 1996, quando Ministro della Difesa era Giulio Andreatta, sotto il primo Governo Prodi.

da una forte disinformazione, dovuta in larga parte all’assenza di informazioni dettagliate riguardo questa notizia.

Il 23 dicembre del 1998 fu firmato il primo memorandum, dallo stesso Massimo Da’Alema , allora Presidente del Consiglio, memorandum chiamato Memorandum of Agreement.
Il nostro Governo si impegnò del tutto nel progetto con la firma di un accordo da parte di Silvio

L’accordo fu siglato a Washington quando il sottosegretario alla difesa italiana Giovanni Lorenzo Forcieri, incontrò il collega americano Gordon England.
Così l’Italia prendeva l’impegno, dopo aver già pagato un miliardo di dollari per la Fase 1, di versarne quasi altrettanti per partecipare alla Fase 2, di costruzione dell’F-35, spalmati però sino al 2046.
Perchè proprio gli F35 americani? Ecco i motivi dichiarati
Le motivazioni data per la scelta di acquistare gli F-35 americani per sostituire il parco aerei italiano, motivazioni che però alla fine sembrano tanto scuse che non reggono.
Quali furono i motivi della scelta?
I motivi furono spiegati da colui che nel 2007 era sottosegretario alla Difesa, ovvero Giovanni Lorenzo Forcieri, sotto il Governo Prodi, nella seduta della Commissione della Difesa tenutasi il 16 gennaio 2007.

Forcieri, in quella occasione, fece un breve riassunto di come si era arrivati alla fase in cui si trovava il programma JSF, queste le sue parole: “Avviatosi nel 1996, quando ministro della difesa era l’onorevole Andreatta, esso (il programma JSF ovvero l’F35) rispondeva ai nostri indirizzi di politica estera e di difesa, nonchè alle nostre scelte strategiche in materia di industria della difesa e di alta tecnologia. Nel 1998 ci fu il primo parere favorevole delle Commissioni difesa della Camera e del Senato, mentre il secondo passaggio parlamentare, che diede il via al programma, si ebbe nel 2002, allorchè il programma stesso fu approvato per quanto riguardava sia la fase di ricerca sia la fase di sviluppo.”(per leggere l’intero resoconto stenografico della seduta si può visitare il seguente link http://www.nof35.org/doc/Pdf/001_INTERO.pdf).
Forcieri, nell’esporre il suo punto di vista alla Commissione, spiegò che la mossa dell’Italia di munirsi di entrambi i tipi di velivolo rispecchia scelte fatte anche da altri Paesi europei, come ad esempio l’Inghilterra, poichè i due velivoli rispondono a diverse esigenze: l’F35 è un cacciabombardiere, quindi un velivolo d’attacco, mentre l’Eurofighter è un velivolo da difesa.
Una condizione, che era stata posta dall’Italia nel 2002, era che almeno l’ultima fase di costruzione ed assemblaggio dei velivoli destinati all’Italia e all’Europa, avvenisse in una linea dislocata in Italia.
In effetti, all’inizio, l’assemblaggio del velivolo avveniva interamente negli USA, ma dopo la richiesta italiana del 2002, gli USA approvarono una linea in Italia, l’unica al di fuori del territorio americano, facendo così accrescere la credibilità del nostro Paese agli occhi delle altre Nazioni, riferisce orgoglioso Forcieri.
Per la verità Forcieri si spinse anche ben oltre, arrivando a dire che in fondo, visto che le ali dell’F-35, erano al 50% italiane, il caccia si poteva pensare italo-americano. Ad essere ironici verrebbe da dire che, in effetti, se non aveva le ali, era un carro armato.

C’erano alternative agli F35?
Le alternative europee c’erano, a partire proprio da quell’Eurofighter Typhoon appena citato, che la nostra aviazione già utilizza e che anzi è impegnata a far arrivare alla quota di 96 esemplari (ciascun esemplare costa 62 milioni di euro) per un esborso totale di 6 miliardi di euro, e che è un aereo di tipo “semi-stealth”.
Anche per la produzione dell’Eurofighter l’Italia è in prima fila: detiene il 20% del consorzio che lo produce (con Alenia Aermacchi), superata dal 37% dell’Inghilterra e dal 29% della Germania.
Dunque l’Italia, nonostante la sua Costituzione reciti testualmente all’Articolo 11 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”, è invece impegnata con ruoli di primissimo piano in programmi militari che portano alla creazione di cacciabombardieri.
Unica nota positiva la decisione italiana dello scorso luglio 2011, con cui Roma ha deliberato il taglio dell’intera ultima tranche composta da 25 caccia Eurofighter, portando il totale a 96 esemplari… era previsto che ne comprassimo ben 121. Abbiamo risparmiato 2 miliardi di euro.
Sostituzione parco cacciabombardieri italiani
Si è giustificato, nella riunione della commissione difesa della camera dei deputati dei 19 gennaio
2007, l’acquisto degli F35 con la necessità di sostutuire il parco aerei italiano. Si è parlato della sostituzione di 260 velivoli con 131 F35.
Non riusciamo a capire da dove arrivi il numero 260, in quanto ci risulta che i caccia che potremmo definire obsoleti in servizio in Italia siano, per l’Aviazione, 14 caccia F-16, 55 caccia AMX Ghibli, 76 caccia Tornado Panavia e, per la Marina, 16 caccia Harrier II.
Totale 161, non 260.
Alle preoccupazioni espresse dalla Commisione Difesa sul fatto che il programma JSF potesse danneggiare in qualche modo il progetto Eurofighter, Forcieri rassicurò che i due velivoli erano complementari tra loro, non uno la duplicazione dell’altro, e che non sarebbero entrati in competizione sul piano finanziario proprio per questo motivo.
Una serie di scuse che non reggono
Quello che il governo Prodi di allora, di cui Forcieri si faceva portavoce, volle far passare in quella seduta del 16 gennaio 2007 era l’importanza che il progetto JSF avrebbe avuto per l’economia italiana.
Infatti quello che si prevedeva prendendo parte a questo progetto, o almeno quello che la Difesa ha voluto far credere allora, era che ci sarebbe stato, oltre ad un aumento della crescita economica, anche un agognato sganciamento dal ruolo di subordinazione nei confronti degli Stati Uniti, nel fattore tecnologico; Forcieri arrivava a parlare di accrescimento di sovranità politica e di autonomia e indipendenza, ignorando totalmente il fatto che la manutenzione degli F35, pur assemblati in Italia, sarebbe stata sotto il controllo degli USA.
Viene da chiedersi quando mai gli USA hanno avuto interesse ad aumentare la nostra autonomia rispetto a loro, e con che logiche perverse si può pensare che questo avvenga proprio comprando caccia statunitensi, i cui pezzi di ricambio sono statunitensi, la cui tecnologia segreta rimarrà sempre statunitense (in quanto l’Italia è solo un partner di livello 2).
F35: Un progetto fallimentare e pieno di problemi
Il progetto JSF ha, fin da subito dato molti problemi, ritardi e aumento dei costi: si è rivelato fallimentare, e allora perchè non terminarlo?
Come abbiamo detto al punto precedente, nel 1996, negli USA, veniva firmato il contratto per lo sviluppo del progetto Joint Strike Fighter, che doveva portare a sostituire diversi modelli di cacciabombardiere dell’aviazione e della marina USA.
L’idea di Clinton era quella di creare un unico aereo che potesse soddisfare tutte le esigenze richieste da un velivolo durante una missione in attacco, visto che per la superiorità aerea erano già presenti velivoli come l’F22 Raptor ed il Super Hornet, cercando però, al tempo stesso, di rispondere ai seguenti requisiti di base: equiparare le prestazioni dei Falcon e degli Hornet, avere caratteristiche Stealth, poter trasportare armi e armamentari sia in stive interne che esternamente, avere elevata capacità di attacco ma allo stesso tempo una buona capacità di difesa, anche se quest’ultima fu messa in secondo piano.
Si pensava di raggiungere questo scopo costruendo tre varianti di un singolo velivolo, in modo da condividerne i componenti. Ecco le 3 varianti:
F-35A – variante a decollo ed atterraggio convenzionale (CTOL)
F-35B – variante a decollo corto e atterraggio verticale (STOVL)
F-35C – variante per portaerei (CV)

La commessa se l’aggiudicava il 26 ottobre 2001 un colosso USA, la Lockheed Martin (45 miliardi di fatturato nel 2009, 140.000 dipendentihttp://www.lockheedmartin.com/) con il suo prototipo X-35, battendo un altro colosso USA, ovvero la Boeing (60,9 miliardi di fatturato nel 2008 e 153.000 dipendenti) che aveva presentato il prototipo X-32. Una battaglia tutta americana.
La Lockheed Martin è il maggior contraente militare degli Stati Uniti: nel 2005, il 95% del proprio fatturato proveniva dai contratti con il ministero della difesa o con altre agenzie federali, oltre che da governi stranieri. Il 31 agosto 2006 la Lockheed Martin si è aggiudicata l’appalto per la costruzione del veicolo spaziale Orione, con il quale la NASA ha intenzione di riportare l’uomo sulla Luna.
Il primo prototipo di F35 veniva presentato nel 2000, e il 15 dicembre 2006 veniva compiuto il primo volo. L’F-35, lo ricordiamo, è un aereo di tipo “stealth”, ovvero difficilmente tracciabile dai radar.
Un progetto però fallimentare
Il progetto JFS si è però rivelato ben presto fallimentare. I ritardi ed i costi del programma si sono rivelati più alti del previsto e continuano ad aumentare giorno dopo giorno.
Sembra di essere di fronte ai nostri lavori pubblici: il costo medio ad aereo è aumentato dell’81%, passando da 62 milioni di dollari a 112,4 calcolando ricerca, sviluppo e produzione.
Ancor peggio per i costi di produzione del singolo aereo, aumentati dell’85% passando da 50 a 92,3 milioni. E la fase iniziale, quella finanziata con il miliardo dell’Italia, è passata dai 20 miliardi previsti ai 40 miliardi effettivi.
L’aumento è stato tale da sforare la legge Nunn McCurdy, che impone una riapprovazione politica dei programmi militari nel caso il loro costo superi del 25% quello previsto all’origine (ma gli USA sono ormai in ballo e la riapprovazione è data per certa).
Gli USA dovrebbero comprare ben 2.443 esemplari di F35, per un esborso che, al momento, si stima di 323 miliardi di dollari, ma come detto è un costo che continua ad aumentare.
L’Italia invece aveva dichiarato nel 2007 di volerne comprare 131, per una spesa stimata all’epoca in 7 miliardi di euro, ma che oggi, con i prezzi che sono lievitati, ha raggiunto la cifra di 15 miliardi di euro. Ma anche questa folle cifra sembra destinata ad aumentare.
Fallimento per fallimento: un aereo che fa “venire i sudori freddi”
L’F35 sembra essere un fallimento su tutto il fronte. La RAND Corporation, società di analisi strategiche che collabora col Dipartimento della Difesa USA, ha apertamente criticato l’F-35, che, secondo le proprie simulazioni non sarebbe in grado di competere con il cacciabombardiere russo Su-35 in un combattimento aereo, non essendo veloce nel virare, salire di quota e accelerare.
Vien da chiedersi “ma cosa sa fare allora?”.
Critiche simili da Pierre Sprey, il progettista dell’F-16, per il quale l’F35 è pesante e poco reattivo.
Ancora più pesante ci è andato il maggiore Richard Koch dell’United States Air Force (USAF), a capo dell’ufficio di superiorità aerea del “USAF Air Combat Command”, che

Altre critiche sono state sulla scarsa autonomia di volo, e soprattutto sui costi del progetto.
Quella che doveva essere una idea geniale, ovvero creare un unico aereo per 3 ruoli operativi, si è rivelata una vera catastrofe economica, tanto che la stessa Marina americana ha stimato che i costi di manutenzione degli F35 saranno del 30-40% superiori a quelli dei caccia attualmente in uso.
L’Italia viene colpita da questo ultimo dato: la manutenzione degli F35 che intende comprare sarà infatti più costosa, e nulla ci garantisce che tali costi non siano ancora superiori.
Evidentemente anche gli USA hanno le loro Salerno-Reggio Calabria, ma noi di un altro progetto fallimentare non ne sentivamo il bisogno.
L’intero programma rischia di essere “terminato”
Oltre ad un aumento enorme dei costi, gli F35 si stanno dimostrando pieni di problemi, tanto che il loro vero debutto è ormai slittato al 2018, ovvero con 7 anni di ritardo rispetto al previsto.
In un importante report redatto da Frank Kendall, del Pentagono, sono usciti fuori ben 13 gravi problemi, uno dei quali addirittura è connesso alla “invisibilità” dell’aereo ai radar, che invece pare non sia così invisibile come promesso dalla azienda costruttrice Lockheed Martin.
Ed ogni giorno si scoprono nuovi problemi, ed è necessario cambiare qualcosa: il totale dei cambiamenti richiesti sinora sull’aereo ha raggiunto una cifra vertiginosa: 725.
Ed ogni cambiamento richiede altri soldi. Un pozzo senza fondo, tanto che il Pentagono stesso, sta riducendo il numero degli aerei che sta acquistando.
A Gennaio, dunque poche settimane fa, il segretario della difesa Usa Robert Gates ha sentenziato: se Lockheed non risolverà i problemi sulla versione a decollo verticale entro due anni, cancelleremo l’acquisto.
E i membri del Congresso USA cominciano a non poterne davvero più, tanto che un Repubblicano come John McCain (contese ad Obama la presidenza 4 anni fa), ha dichiarato che se le cose non miglioreranno alla svelta, tutte le opzioni dovranno essere messe sul tavolo.
E tutte le opzioni significa cancellare il programma, perdere quello che si è speso, ma almeno non continuare a buttare i soldi in un progetto fallimentare.
L’Italia potrebbe sottrarsi all’acquisto degli F35?
La domanda che tutti si pongono è se l’Italia può sottrarsi a questo esorbitante acquisto.
Sicuramente nel breve periodo i ritorni industriali ci sono stati, ma si puntava ad impegni e progetti industriali a lungo termine che facessero rifiorire l’economia italiana, mentre in realtà lo Stato ha
pagato una ingente somma di denaro per partecipare ad un progetto, a mio avviso anticostituzionale, che è costato molto più di quello che alla fine è rientrato, ma non nelle tasche dello Stato, bensì come beneficio ad industrie che non avevano minimamente bisogno di aiuti per decollare.
Forcieri nel 2007 ha sottolineato quanto sia stato lungimirante da parte dell’Italia aderire già dal 1998 a questo progetto, presentandolo come un modo per contenere i costi e soprattutto di avvicinarsi alla tecnologia statunitense: infatti gli Stati Uniti avevano promesso ai loro partnership un apertura senza precedenti della tecnologia usata; peccato però che i veri segreti, che le cose più importanti sono state condivise soltanto con partnership di primo livello, ovvero l’Inghilterra.
Già nel 2007 si dubitava dell’effettiva veridicità della apertura tecnologica degli Stati Uniti, ma Forcieri sembrava molto ottimista in proposito.
Una cosa interessante che Forcieri dichiara in seduta è che “con la prevista quota di acquisizione, o eventualmente con una sua riduzione, sostituiremo circa 260 velivoli attualmente in uso. Avremo, dunque, un miglioramento ed un aumento delle capacità tecnologiche che ci consentirà di ridurre fortemente il numero dei velivoli attualmente a disposizione, con un conseguente risparmio di costi di
personale, di formazione e di manutenzione.”
Quello che è stato sottolineato, sempre nel gennaio 2007, è la partecipazione all’accordo di cooperazione internazionale che in termini governativi avrebbe prodotto il programma JSF: un accordo multilaterale tra i 9 Paesi partecipanti.
Forcieri inoltre informa che l’ala del velivolo sarà prodotta da una ditta italiana, l’Alenia aeronautica, cosa che secondo il sottosegretario alla Difesa dovrebbe far considerare l’F35 un aereo italoamericano, “Questo dovrebbe, dunque, essere considerato un aereo italoamericano, perchè le ali e tutta la parte della fusoliera ad esse collegata – che rappresentano una grande parte dell’aereo – vengono realizzate in Italia, su disegno e progettazione in parte sviluppati in Italia dai circa 150 ingegneri di Alenia aeronautica, i quali prima hanno lavorato negli Stati Uniti e adesso si trovano in provincia di Napoli, dove è stato realizzato questo centro di progettazione”
L’Italia produce e vende armi. Ne produce tante, e ne vende tante.
Le industrie belliche italiane nel 2008 hanno guadagnano 4,3 miliardi di euro, e l’Italia è 8° al mondo per spesa in armamenti.
L’ultima notizia, di pochi giorni fa, è che Finmeccanica venderà ad Israele, per circa 1 miliardo di dollari, 30 caccia M-346 Alenia Aermacchi. Torna dunque ancora una volta il nome di Alenia. (Finmeccanica: commessa in Israele, vola il titolo)
L’Italia dunque persegue una logica di costruzione e vendita di armi, e la sua presenza nei due consorzi dell’Eurofighter e dell’F35 ha una logica ed una motivazione precisa: migliorare la propria capacità di costruire armi da guerra per poi rivenderle.
Come si è visto dal documento parlamentare del 2007, gli F35 sono un possibile, sperato, affare economico: il miliardo di euro speso per la prima fase è stato recuperato attraverso commesse ricevute da aziende italiane come Alenia Aermacchi, Oto Melara (produce cannoni), Piaggio (oltre agli scooter produce motori per i cacciabombardieri), Avio, Aerea, Datamat, Galileo Avionica, Gemelli, Logic, Selex Communications, Selex-Marconi Sirio Panel, Mecaer, Moog, Oma, Secondo Mona, Sicamb, S3Log, Vitrociset. .
C’è un altro miliardo di euro che l’Italia spenderà da qui al 2047, per spese di “post produzione”, che che probabilmente si recupererà con il realizzare uno stabilimento in Italia per l’assemblaggio degli F35 destinati ai paesi europei. In Italia è stato scelto come sito per l’assemblaggio finale (che fornirà la maggior parte degli F-35 che saranno venduti in Europa) l’aeroporto militare di Cameri, che si trova a pochissimi chilometri da Novara. In totale vi saranno 40 siti industriali, che si trovano in 12 regioni italiane, nei quali si costruiranno diverse componenti del nuovo velivolo da guerra.
Sin qui sembrerebbe, cinicamente (ma è un cinismo che non ci appartiene), un affare per l’Italia, lavoro che si crea e soldi che entrano, ma è proprio così?
Cosa accadrebbe se l’Italia decidesse di non acquistare più i velivoli americani?
Ci sarebbero penali o ripercussioni?
A questa domanda risponde Luigi Bobba, Vice Presidente della Commissione Lavoro della Camera dei deputati “L’uscita del nostro Paese dal programma dei cacciabombardieri F-35 JSF (Joint Strike Fighter) non comporterebbe oneri ulteriori rispetto a quelli già stanziati e pagati per la fase di sviluppo e quella di pre-industrializzazione; infatti il Memorandum of Understanding, ovvero l’accordo fra i Paesi compartecipanti, non prevede il pagamento di alcuna penale in caso di rinuncia all’acquisto“)
Ed i miliardi di euro per comprare gli F35 veri e propri?
Qui l’Italia ha fatto male i suoi conti. Il 19 gennaio 2007, si stimava che il costo per velivolo sarebbe stato di 45-55 milioni di euro. In quel momento storico, 1 euro valeva esattamente 1,29 dollari, quindi la stima, in dollari, fu di 58- 71 milioni di dollari.
Una cifra che il potere economico in Italia, quello che fa capo innanzitutto a Finmeccanica, pensava di recuperare attraverso commesse varie, attraverso vendita di caccia italiani M-346 che Alenia costruisce integralmente in Italia, e (apparentemente, ma nei fatti non è così) con il tenersi aggiornata sulle tecnologie di guerra, nelle quali gli USA sono primi, per poi magari impiegarle in prodotti italiani, da vendere sui mercati minori.
Ecco il motivo degli F35, un motivo unicamente economico.
Ma, se lasciamo per un momento stare la nausea per un simile motivo, che calpesta la nostra costituzione e dunque calpesta la democrazia in Italia ed il potere del cittadino di decidere come deve comportarsi il proprio paese su questioni strategiche come la guerra e gli armamenti, e rimaniamo sulla fredda logica dei numeri, allora l’Italia ha fatto molto male i propri conti, e si sta imbarcando in una impresa fallimentare: i costi sono aumentati talmente tanto che l’Italia andrà complessivamente in perdita su questa operazione.
Ora infatti un singolo F35 è passato dai 55 milioni di euro previsti a 114 milioni: un aumento del 107%, e la cifra sta salendo ancora per i tanti problemi in fase di produzione di questo aereo.
I 7 miliardi stimati nel 2007 sono diventati 15.
Una perdita perchè tutti gli introiti che ne verranno, e che peraltro riguarderanno assai poco i normali cittadini, rimanendo nelle mani di gruppi come Finmeccanica, non basteranno a coprire i 15 miliardi di euro della lievitata torta degli F35.
Dunque lo stato italiano spende propri soldi (dunque nostri soldi), ma i benefici, che saranno minori delle spese, entreranno nelle casse di alcune aziende.
Un altro, gravissimo, difetto di questa scellerata operazione è che l’Italia, in quanto partner di secondo livello, non avrà neppure accesso ai veri segreti tecnologici delle armi che assembla. Non è un caso che Germania e Francia si siano tenute ben lontane dagli F35, preferendo programmi europei.
In conclusione
Ancora una volta dunque tutto questo si traduce nel solito gioco al massacro per i comuni cittadini: gli F35 li pagheremo noi, ma i benefici di questa antidemocratica manovra arriveranno nelle tasche di alcune grandi aziende, i soliti “amici degli amici”.
E’ come se noi italiani versassimo dei nostri soldi nelle tasche di Finmeccanica e delle sue controllate.
E non basta dire che quelle aziende impiegheranno lavoratori italiani, perchè sappiamo che la voce “lavoratori dipendenti” è di solito una delle ultime nei bilanci di certe aziende. La prima voce di solito è “azionisti”, la seconda “manager e consulenti”.
Con gli F35 si produrrà una scarsa occupazione lavorativa, spese pubbliche altissime, e enormi incassi per alcuni privati. Ed una servile dipendenza dagli Stati Uniti.
Gli sviluppi del governo Monti sugli F35: il gioco delle 3 carte
Un considerazione su quello che il Governo Monti sta facendo in merito al progetto JSF.
Si è sempre detto che le guerre sono le panacee delle crisi economiche, cinismo? Forse, pura constatazione probabile.

A fatti i conflitti bellici hanno una diretta conseguenza, la necessità di produrre, produrre, produrre, cosa ? Un po’ di tutto, chiaramente in primo piano armi, macchine per la guerra, seguiti da tutti quei prodotti che servono per far funzionare un esercito composto da macchine ma anche da forza umana.
Si capisce quindi perché una guerra ha sull’ economia un effetto “benefico”, diciamo che storicamente i conflitti sono serviti a risolvere due tipi di problemi politico – economici, la stagnazione economica e le intemperanze sociali.
Durante un conflitto, infatti ci si ritrova sotto la spinta emozionale dell’ unità nazionale, si serrano le file, si tralasciano gli odi e si serve al patria, questo lavorando o andando al fronte.
Ma anche, si aumentano gli stanziamenti militari a fronte delle spese sociali, si richiama il cittadino a fare il suo dovere per la patria, togliendogli il pane di bocca per nutrire gli eroi al fronte.
Proprio quello, che sta succedendo in questo periodo e non solo a noi italiani, che in guerra da quel che ne so non siamo.
Eppure, mentre ci ritroviamo a dover sostenere un economia rantolante, con manovre “lacrime e sangue” altri pensano che la priorità di un paese come il nostro, oggi sia quella di sperperare il denaro dei contribuenti acquistando armi.
La scandalosa vicenda dei 90 F35 è solo la punta dell’ iceberg, quella punta che però può far capire quanto si sbaglino quei pochi che ancora sono convinti che esistano gli eroi.
In questa vicenda e nel più ampio panorama internazionale, ci troviamo di fronte ad un cinico, assurdo gioco al massacro, dove cittadini inermi ed impotenti stanno subendo una delle beffe più atroci.
Ricordiamo, che le spese per mantenere la macchina bellica italiana, pesano realmente l’ 1,5% dell’ intero prodotto interno lordo. So che ufficialmente si parla dello 0,9% ma sono frottole, artifizi contabili in cui non si fa altro che il solito gioco a nascondino, suddividendo in più ministeri le spese.
Si parla di centinaia e centinaia di miliardi per il solo approvvigionamento, mantenimento di un esercito e di apparati che a fatti non servono a nulla.
Quando si parla di difesa nazionale, realmente di cosa si parla ? Riuscite forse ad immaginare paesi ostili pronti a depredare l’ Italia? Ma poi depredare de che?
Non prendiamoci in giro, vi sono organi, milizie internazionali che bastano e avanzano per mantenere sotto controllo le situazioni di criticità ancora presenti sul nostro pianeta, tutto il resto è un gioco teso a creare una catena di S. Antonio per non perdere privilegi, appalti, per tenere sotto pressione interi paesi con la scusa dell’ invasione barbara.
Due navi da guerra iraniane nel Mediterraneo, ed improvvisamente non si parla d’ altro, tutto scompare ai nostri occhi e i maneggioni sono liberi di fare tutte le porcate che più desiderano.

Due navi da guerra iraniane nel Mediterraneo, e come per miracolo, Gran Bretagna, Francia, Portogallo ecc ecc non acquistano più petrolio Iraniano.
Paesi eroici ? NO, solo cinici nel sfruttare le occasioni, non acquistare dall’ Iran vuol dire aumentare la produzione del Brent del Mare del Nord, guarda caso, di quello prodotto dagli Usa, guarda caso.
Soldi signori, soldi che piuttosto di finire all’ Iran, finiranno alla stessa Gran Bretagna agli Usa.
E noi ? Noi abbiamo lo Spread più basso, gli investitori statunitensi, inglesi stanno tornando ad acquistare i nostri titoli di stato.
Eravate forse convinti che lo spread Btp Bund stesse calando per il miracolo Monti? La favola di cappuccetto rosso e del lupo cattivo vi affascina ancora ?
Ma allora il viaggio di Monti? I colloqui con Merkel e Obama? Non è forse stato osannato da tutti ?
Vero, ma per cosa? Qualcuno riesce ancora a credere che Monti possa conversare sullo stesso piano con questi personaggi?
Ma dai, finiamola, cosa ha portato a casa Monti? L’ abbassamento dello spread, bravo Mario ben fatto Mario.
Cosa ha dato Mario? Centinaia di miliardi di euro alla Lockeed Martin U.S.A., casa produttrice del famigerato F35, aereo da guerra invincibile, per cui la spesa sostenuta dai contribuenti italiani è “necessaria e sostenibile” come da dichiarazione del ministro De Paola.
Peccato, che tali aerei sono talmente perfetti e la sua casa produttrice talmente organizzata, che per

tenerli operativi si sta costruendo uno stabilimento dalle parti di Novara, costo mezzo miliardo di euro o giù di lì.
Se tiriamo le somme, questi “necessari” velivoli ci costeranno come un intera finanziaria, qualcuno è convinto che domani mattina non ci sveglieremmo tranquilli se i benedetti F35 si evita di acquistarli?
Chiaramente uno c’è, alias ministro De Paola che ritiene indispensabile per la sicurezza nazionale ammodernare il parco aerei dell’ esercito, ma per difenderci da chi?
Ma chiaramente, cosa dobbiamo pretendere da uno che per aiutare l’ Italia, ad uscire dalla recessione economica è pronto a diminuire la popolazione militare di ben 30.000 unità più 10.000 civili nell’ arco di appena 10 anni?
Tra dieci anni si rischia che non ci sia più l’ Europa intera, non qualche ufficiale italiano !!!!!!!!
Ma quanto risparmieremmo se i 30.000 esuberi venissero ricollocati subito? Si parla di Graduati e neppure di basso livello, per cui di stipendi non certo al minimo sindacale, metteteli in cassa e risparmiamo qualche miliardo all’ anno, ma ci vuole un povero cristo come me per arrivarci?
Non abbiamo più neppure l’ anno di leva obbligatorio, ergo sum, caserme vuote, è da dieci anni che devono venderle, risultato = ZERO, però tra poco avremo 90 F35 nuovi, e qualche centinaio di euro tasse a testa in più da pagare…….
Ma dove bipppp………vive il caro ministro? Nella fattoria dello zio Tobia che ogni guaio se lo porta via?
Stiamo pagando tasse, stiamo lavorando 6 mesi l’ anno per pagare gente come questa, le loro manie di grandezza, il loro distacco dalle problematiche reali.
Non stiamo pagando tasse perché non abbiamo mai lavorato, le stiamo pagando per poter far continuare questi signori a giocare ai soldatini a muovere gli F 35 sulla scacchiera, qualcuno ricorda Ustica ?
Quanto saranno costati ai contribuenti, quei caccia che viaggiavano attorno ad un aereo civile e giocavano a nascondino? Di certo sappiamo solo a quanti quel giochino è costato la vita e a quanti non è costato neppure un giorno di galera, il tutto grazie al diritto di mantenere il segreto militare, davanti ad un omicidio di civili?
Ma di cosa stiamo parlando ? Di diritti ? Allora per quale diritto devo pagare per una cosa che non voglio ? Non voglio guerre, non voglio armi, non sono necessarie, non sono giustificabili mai, ancor meno oggi.
Perché la Grecia per ottenere un prestito e non fallire è stata costretta ad acquistar dalla Germania pochi giorni fa armamenti per centinaia di milioni di euro ?
VI rendete conto ? Quanto sono onesti, etici, logici i cari tedeschi ? Prestano denaro per far si che chi lo riceve acquisti i suoi prodotti, certo non è difficile far volare le esportazioni così.
Ma non basta, sono talmente bravi, da costringere una nazione a mettere metà della popolazione lavorativa su una strada, far ridurre all’ altra metà gli stipendi del 20 – 30 %, chiedere il taglio alle pensioni, il tutto per sanare un bilancio che deve una parte del suo deficit ad acquisto di armi tedesche.
Se questo non è essere bas….bipp…dentro non so cosa sia.
Noi non siamo da meno, solo siamo più stupidi, pensate un po’, firmiamo un protocollo d’ intesa con gli U.S.A. 15 anni or sono per tenere il piede in due scarpe, solita politica italiana.
Ci impegniamo ad acquistare centinaia di aerei da guerra per qualche miliardo di euro, conclusione, il nostro primo ministro, piuttosto di chiedere la sospensione del progetto, per evidenti problemi economici, si reca in America a ringraziare lo staff statunitense per averci sostenuto.
Ma chi ha sostenuto chi? Forse le case di Rating, guarda caso Statunitensi, tagliando i giudizi sul debito pubblico italiano e sulle sue nostre maggiori aziende una settimana si e l’ altra anche ? Marioooo…….finiscila di mischiare le carte e comincia a lavorare per noi non per l’ Europa o per gli Stati Uniti.
Settimana scorsa o giù di li, Israele ha confermato una commessa, valore un miliardo di euro, per la fornitura di aerei da ricognizione e addestramento a un’ azienda italiana, la Aermacchi facente parte del gruppo Finmeccanica.
Ma allora, se gli israeliani che a livello di armamenti non sono secondi a nessuno, fanno fare gli aerei agli italiani perché gli italiani comprano quelli statunitensi? Marioooo…..il giochino delle tre carte non funziona più……ritira la mano fino a che sei in tempo………
30.000 militari di carriera da riposizionare in 20 anni: F35 salvi
30.000 militari di carriera da riposizionare in 20 anni a parte che è un tempo insolitamente lungo, come verranno riposizionati? E’ giusto che tali persone abbiano trattamenti di favore rispetto ai normali cittadini?
Il ministro della Difesa Giampaolo di Paola è partito dai dati numerici per spiegare le novità della riforma: la nostra Difesa attualmente vanta 183 mila militari e 30 mila civili. Gli stipendi del personale peraltro rappresentano la voce che più pesa nel bilancio dei costi della Difesa e corrispondono al 62%. L’attuale impiego di forze umane è dunque troppo costoso. Insomma i militari sono troppi (verrebbe da chiedersi dove erano quindi nei giorni scorsi quando erano richiesti sulle strade per spalare la neve che ha paralizzato intere città). L’obiettivo della riforma è quello di ridurre il personale del 20%: entro un decennio (nella più celere delle ipotesi) saranno tagliate 43 mila unità (circa 30 mila militari e 10 mila volontari civili) per un risparmio complessivo di circa 2 miliardi. I soldi risparmiati serviranno a comprare più armi e in particolare saranno investiti nell’acquisto dei 90 F35. Meno personale e più mezzi: questo il motto riassuntivo del piano di intervento del Governo. Ma si tratta di un piano che lascia inspiegati alcuni punti fondamentali.
Prima di tutto cosa giustifica questi tempi insolitamente lunghi? Quotidianamente ascoltiamo di

aziende che falliscono lasciando senza lavoro i dipendenti da un giorno all’altro. Perché questo taglio richiede dai 10 ai 20 anni? La ragione va ricercata nei privilegi che da anni forze dell’ordine e dipendenti pubblici vantano rispetto ai lavoratori privati. Per queste categorie infatti non sono applicabili strumenti come mobilità e cassa integrazione straordinaria. Il primo passo è quello di ridurre l’accesso di nuove reclute (un’altra categoria lavorativa destinata ad invecchiare): ma intervenire solo su questo fronte richiederebbe circa un ventennio prima di arrivare alla soglia desiderata. Occorre quindi, sottolinea il Ministro della Difesa, agevolare le uscite: ma in che modo? Come verranno ricollocati i militari in esubero? Saranno messi in pratica programmi di assistenza al reinserimento nel mondo del lavoro esterno ma strumento prioritario sarà la mobilità verso altre amministrazioni. Ma il riciclo indifferenziato non rischia di compromettere la competenza del personale pubblico? Si prevede inoltre di estendere la ARQ (Aspettativa per riduzione quadri) per i militari. Se necessario infine non saranno esclusi contratti part time e turn over. La riforma coinvolgerà anche e

soprattutto le più alte cariche militari. E se invece di tagliare risorse umane si risparmiasse proprio abolendo costi non dovuti e eliminando i privilegi della casta militare? Nel clamore suscitato dalla questione sugli F35 è passato abbastanza sotto silenzio, anche perché rubricato al Ministero come “Documento non classificato controllato” e quindi non divulgato al di fuori degli ambienti militari, il dossier, firmato dal Segretario generale della Difesa che conferisce privilegi, quali l’uso delle auto blu, alle più alte cariche militari. Il documento è stato rilevato dalla giornalista del Il Fatto Quotidiano Paola Zanca. Dalle pagine del dossier emerge una vera e propria lobby dei vertici militari: hanno diritto ad autista e auto blu (con cilindrata superiore ai 2400 cc) tutte le autorità di vertice (il che include il ministro della Difesa, il capo di gabinetto, i sottosegretari, il capo di stato maggiore della Difesa, della Marina, dell’Aeronautica e dell’Esercito, il comandante generale dei Carabinieri e tutti gli altri rilevanti generali e ammiragli). Macchine di cilindrata inferiore sono riservate a ufficiali, capi reparto etc. Il tutto indipendentemente dalle ragioni del trasporto e quindi anche per motivi privati e assolutamente non inerenti alle funzioni pubbliche svolte. Colpire questi privilegi non è forse più coerente che ridurre l’accesso alla carriera militare nell’ottica di rigore decantata dal Governo Monti?
Del resto anche senza scendere in tecnicismi il paradosso appare evidente: da un lato si tende a sminuire la propensione bellica del nostro Paese tagliando il numero del personale militare, dall’altro però si conferma l’acquisto di caccia costosissimi. Le guerre degli alleati sono più importanti della pubblica sicurezza nazionale?
Tutti i rischi dell’operazione F35: – lavoro, + armi
I rischi di questa operazione: meno persone (quindi meno lavoro in Italia), ma più armamenti esteri, più soldi che prendono la via degli USA, maggiore dipendenza dagli USA stessi (la manutenzione sarà americana, quindi in sostanza dipenderemo da loro), incognita sui reali costi finali degli F35
Uno dei punti forti vantati dal Ministro delle Difesa Di Paola a favore dell’investimento nel programma Joint Strike Fighter è la creazione di posti di lavoro: anche durante la presentazione della riforma

presso il ministro ha insistito su questo punto. Vengono stimati circa 10 mila posti di lavoro anche se al momento l’unico effetto ricollegabile all’acquisto degli F35 in termini occupazionali è il taglio di 30 mila militari. Un dato quindi non attendibile e che peraltro, se anche fosse confermato, sarebbe una riprova dell’inefficienza delle scelte occupazionali della politica militare visto che ogni posto di lavoro costerebbe allo Stato 1,5 milioni di euro (basti pensare che un docente ne costa 50.000). Dov’è la convenienza?
Eppure sull’investimento in termini occupazionali ha insistito anche il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, che ha sottolineato come nell’industria legata al JSF sono coinvolte una settantina di aziende italiane. In realtà gli operai impiegati a montare le ali nello stabilimento di Cameri saranno solo 600, decisamente meno dei mille impegnati oggi nella lavorazione del vecchio Eurofighter (e gli altri 400 che fine faranno?).
E dove mettiamo tutti i militari che saranno tagliati o spinti al part time per sostenere questo programma? La cifra spesa peraltro potrebbe essere impiegata per interventi sociali e anche in questo caso si creerebbero numerosi posti di lavoro. Una mancanza di affidabilità dei dati che non può non spingere a pensare che ci siano altri interessi (senza voler essere tanto maliziosi dall’invocare il conflitto di interessi posto che tra i firmatari del protocollo d’intesa nel 2002 c’è proprio Di Paola, ai tempi segretario generale al ministero e componente Nato).

Quanto queste scelte operative del Ministro delle Difesa sono influenzata dal rapporto di dipendenza che l’Europa in genere, e l’Italia nello specifico, subiscono nei confronti degli Stati Uniti. Quello dell’acquisto degli F35, sebbene ridimensionato nel numero, sembra più un obbligo morale che burocratico e legale. I bombardieri servono per fare la guerra ma a chi? E soprattutto PER chi? Un indizio ce lo dà lo stesso Di Paola quando ricorda che, visto il ridimensionamento quantitativo delle forze armate statunitensi, gli eserciti europei, e quello italiano nello specifico, devono fare di più nel rispetto dell’alleanza con gli USA. Stiamo acquistando uno strumento di guerra che ci renderà più succubi? Alla faccia dei fautori delle guerre che ne esaltano la capacità di rendere libero un popolo! E il fatto che il tutto è fatto al servizio e secondo le condizioni degli statunitensi è confermato non solo dall’acquisto delle loro armi ma anche dall’esclusiva che manterranno per quanto riguarda la manutenzione. Gli alleati infatti concedono al nostro paese di usufruire della tecnologia antiradar Stealth, ma non intendono rivelarne i dettagli e quindi consentirne evoluzioni e riparazioni.
Insomma anche negli anni a venire, per mantenere un’arma comprata da loro e per loro, continueremo a dare soldi agli States. Ma quanti gliene invieremo ora con l’acquisto? Sulla questione non c’è molta trasparenza.
Una situazione inaccettabile e tutta italiana: perfino negli USA i dati relativi al costo degli F35 e ai difetti di questi cacciabombardieri sono resi noti pubblicamente.
Partiamo da un dato di fatto: stiamo parlando del cacciabombardiere più costoso della storia. Si era parlato inizialmente di 80 milioni, cifra assolutamente non credibile visto che vorrebbe dire pagare meno di quanto fanno gli USA (cosa peraltro espressamente proibita per le aziende statunitensi produttrici di armamenti). Le prime fatture ammonterebbero più verosimilmente a 150 milioni di euro ma è facile pronosticare che il costo effettivo sarà almeno il doppio (considerando le continue modifiche che vengono apportate al progetto di realizzazione). Solo il mese scorso la commissione del Pentagono addetta ai test dei prototipi dell’F-35 ha ordinato 725 correzioni, dal casco per il pilota al meccanismo di aggancio in fase di atterraggio.
Smentito il pagamento della presunta penale che avrebbe reso sconveniente ritirarsi dall’accordo (lo stesso Luigi Bobba, Vice Presidente della Commissione Lavoro della Camera dei deputati, ha confermato che “L’uscita del nostro Paese dal programma dei cacciabombardieri F-35 JSF (Joint Strike Fighter) non comporterebbe oneri ulteriori rispetto a quelli già stanziati e pagati per la fase di sviluppo e quella di pre-industrializzazione; infatti il Memorandum of Understanding, ovvero l’accordo fra i Paesi compartecipanti, non prevede il pagamento di alcuna penale in caso di rinuncia all’acquisto“) da un confronto con gli altri Stati firmatari emerge in maniera ancora più nitida l’atteggiamento contraddittorio del governo italiano.
L’Inghilterra ha reso noto che si priverà della sua unica portaerei, la Ark Royal per far spazio alle due in costruzione. In Francia sono attesi ingenti tagli alla Difesa. In Germania, dove si assiste al passaggio dall’esercito di leva a quello professionale, sono previsti tagli per 9,3 miliardi di euro. Nella stessa direzione si muovono anche Olanda e Norvegia, quest’ultima già dal 2009. Ma il vero paradosso è che perfino il Pentagono ha annunciato un taglio di circa 307 miliardi di euro del programma per i nuovi caccia F-35.
I costi della difesa italiana: 23 miliardi di euro, F35 esclusi
L’Italia spende 23 miliardi di euro per fare la guerra, mentre ai cittadini si chiede di tirare la cinghia.
L’Italia ripudia la guerra, dice la Costituzione, ma evidentemente chi la scrisse nel ’48 si sbagliava.
Difatti, pur essendo il nostro paese in “pace” da quasi 70 anni, le spese per la “difesa” (si scrive così, ma si legge “guerra”) sono aumentate sensibilmente negli anni fino a superare nel 2011 la soglia record dei 20 miliardi di euro, mentre per il 2012 la spesa lieviterà di un altro miliardo di euro.

Una cifra che però potrebbe anche essere superiore di almeno un 10%, fino a sfiorare i 23 miliardi di euro (l’1,3% del Pil), secondo gli esperti, ma che non è dato sapere con certezza a causa della mancanza di trasparenza da parte del governo sugli affari militari del nostro paese. Comprendere l’esatto ammontare delle spese militari italiane è infatti un’operazione molto complessa e che non riguarda solo il Ministero della Difesa, anche se questo assorbe più dei due terzi del budget complessivo. Parte degli stanziamenti vengono infatti destinati alle funzioni di sicurezza del territorio (Carabinieri), alle missioni esterne e alle attività ausiliarie non propriamente militari che fanno capo ad altri dicasteri. Nel dettaglio, poi, si può notare come le spese militari italiane siano in gran parte assorbite dai costi per il personale e per il funzionamento dei vai reparti. Come illustrato al Parlamento lo scorso anno dal Ministro Ignazio La Russa, la spesa per il personale militare assorbe quasi la metà del budget (9,5 miliardi di euro) includendosi le spese per l’addestramento, per la manutenzione dei mezzi e dei materiali, per le infrastrutture, il casermaggio ed altre spese minori.
Da 70 anni alla mercé degli USA
Orbene, di fronte a cifre del genere, viene spontaneo chiedersi se in un momento di crisi economica come quello che stiamo attraversando sia veramente necessario, non solo sostenere simili spese

militari, ma addirittura aumentarle e se non sia illogico che tutto questo avvenga in coincidenza dell’entrata in recessione dell’Italia. Che senso ha per un paese tradizionalmente contrario alla guerra spendere mezzo miliardo di euro all’anno per la campagna in Afghanistan, mettendo per giunta in cantiere una operazione da 16 miliardi per acquistare 131 bombardieri invisibili F-35, aerei “stealth” di ultima generazione, attrezzati per trasportare testate nucleari? Ebbene, per rispondere a questa domanda è necessario tornare indietro di 60 anni. L’Italia nel 1945 uscì sconfitta dalla seconda guerra mondiale e fu liberata dall’occupazione nazifascista sono grazie all’intervento degli USA. Il prezzo che il nostro paese ha dovuto pagare agli Alleati (e sta ancora pagando) per la liberazione e per non essere finito nell’orbita sovietica lo stiamo scontando ancora oggi attraverso alleanze, accordi commerciali e politici con il mondo anglosassone e più in particolare con gli USA che di fatto rappresentano la potenza politica e militare dominate. In altre parole, siamo alla mercé dei vincitori che, in cambio di protezione, ci hanno chiesto di lavorare e combattere per loro. Come gli imperatori romani sfruttavano le popolazioni vinte facendole combattere per Roma e garantendo loro protezione e appartenenza all’impero, così succede da più di mezzo secolo fra USA e Italia (ma non solo). Che poi questo si traduca in appartenenza alla NATO piuttosto che in missioni militari internazionali di cui non abbiamo alcun interesse (Afghanistan) o in commesse militari astronomiche, conta poco e la sostanza non cambia. I vincitori (gli USA) hanno imposto le loro condizioni ai vinti, inizialmente con la costituzione di basi militari sul nostro territorio la cui utilità si è recentemente vista nella guerra di Libia, poi con la partecipazione a missioni militari internazionali congiunte laddove gli USA, per problemi di bilancio, stanno riducendo il loro impegno, per finire con l’acquisto di F-35 (e non solo) da far decollare dalle basi militari italiane in vista di un possibile quanto probabile conflitto con l’Iran.
Sono i soldi che fanno la guerra

La spesa, come abbiamo visto, è enorme e parlarne apertamente sulla stampa o in Parlamento susciterebbe malcontento e probabilmente indignazione popolare. Tuttavia, non è detto che di fronte a tanto “spreco” di denaro pubblico non vi sia una contropartita altrettanto proficua. Le recenti missioni internazionali del premier Monti a Londra e a New York (piazze finanziarie internazionali di primissimo rango), formalmente per illustrare la via del risanamento economico intrapresa dall’Italia, hanno avuto sicuramente anche lo scopo di condurre alla sigla di accordi più o meno trasparenti per sostenere l’acquisto di titoli di stato italiani nel 2012 da parte di grossi fondi d’investimento internazionali. Qualcosa si è intuito qua e là leggendo i giornali, ma difficilmente la verità verrà portata a galla in un contesto dove le sorti delle finanze pubbliche mondiali sono strettamente legate alle guerre che si combattono qua e là per il controllo delle materie prime. Credere, però, che l’Italia abbia voluto realmente stanziare tanti soldi per acquistare aerei americani F-35 (che non ci servono) senza qualcosa in cambio è fuorviante.
Partiti politici: la mappa dei pro e dei contro gli F35
I grossi partiti politici acconsentono allo sperpero di denaro pubblico, ma la protesta è dilagata in rete con la nascita del “Movimento No F-35”.
L’Italia si è impegnata ad acquistare dagli USA ben 131 esemplari di F-35 JSF (Joint Strike Fighter) stanziando qualcosa come 16 miliardi di euro. Al di là dell’utilità di tali macchine da guerra di cui non si comprende minimamente l’esigenza, non sono mancate le forti polemiche rivolte a una classe politica completamente distaccata dalla realtà e che la stampa ha subito cercato di soffocare sul

nascere. Del resto il compito dei media di massa è proprio quello di distorcere le informazioni facendo passare per buone iniziative di palazzo che in realtà non lo sono. Come, nel caso recente e più eclatante che ha riguardato la mancata candidatura di Roma alle Olimpiadi 2020. Sono riusciti a farci credere che la manifestazione sportiva avrebbe rischiato di compromettere le finanze pubbliche a fronte di una spesa preventivata fra 8 anni pari alla metà di quella stanziata per i caccia F-35 e che avrebbe creato – secondo i dati della commissione Fortis – 29 mila posti di lavoro. Così il dissenso, imbavagliato ad arte dalla stampa servile, ha trovato spazio in rete, su Facebook e su Twitter, dove è nato il “Movimento No F35” con un largo seguito di contributi liberi e pacifici. In molti si stanno ancora chiedendo se la partecipazione italiana all’acquisto e alla costruzione dei nuovi velivoli militari di ultima generazione sia una grande opportunità economica e una reale necessità per la difesa del paese, ma a tutt’oggi si fatica a trovare una risposta. Oltretutto le ricadute occupazionali sul territorio saranno scarse, anzi si andrà a sottrarre denaro da altre attività socialmente utili che porterebbero posti di lavoro e benefici sociali.
Una follia da 16 miliardi per accontentare la cricca militare e le banche
Siamo alla follia finanziaria – hanno commentato i manifestanti “NO F-35” il 12 Novembre scorso a Novara (dove si costruiranno gli F-35), perchè “la ricaduta occupazionale è bassissima (la stima

maggiore parla di 15 miliardi per dare lavoro a 600 persone per 30 anni, che significa 25 milioni per ciascun posto di lavoro, 830.000 € annui per ciascun lavoratore). Francamente, se lo scopo è di fare qualche cosa per far lavorare qualcuno, allora costerebbe di meno pagare 600 persone per fare nulla o poco più. Ma è evidente – prosegue il Movimento No F-35 – che si tratta della solita strategia in uso per far crescere beceramente il Pil, senza guardare all’occupazione prodotta, alla qualità della stessa, al benessere sociale e alla sostenibilità delle trasformazioni economiche, continuando a spingere sulla costruzione di infrastrutture gigantesche e inutili e sui favori alle grandi imprese, mentre le PMI affondano. Tutto questo non fa altro che rafforzare gli oligopoli, arricchire gli amici ed indebitare gli stati cioè i cittadini che finiscono nelle fauci delle banche private. In questo contesto, verrebbe da pensare che la potentissima casta militare, ben insediata a palazzo ed egregiamente rappresentata dal Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, uomo di fiducia del Capo dello Stato, che ha respinto l’ipotesi di abbandonare il progetto F-35, sia del tutto assente alle esigenze primarie del paese e indifferenze alle problematiche che stanno flagellando il mondo occupazionale e le famiglie italiane. Ma forse è sempre stato così. Deve prevalere la ragion di Stato o meglio ancora, la ragion delle banche che sono diventate proprietarie dello Stato.
Tra i partiti protestano solo Di Pietro, Verdi e Terzo Polo

Fa specie vedere che i maggiori partiti politici appoggino in sordina costosissimi progetti di morte depistando al contempo l’attenzione della gente su problematiche diverse. Non c’è da meravigliarsi quindi, se in campo politico, solo Di Pietro e Verdi hanno chiesto esplicitamente di tagliare questa spesa invitando il governo a riconsiderare il costo astronomico da sostenere. Tuttavia, con la crisi e i sacrifici richiesti ai cittadini dall’esecutivo, si sta allargando il fronte politico a sostegno della riduzione delle spese militari. Così anche da parte del Terzo Polo e del Fli si è abbattuto un coro di critiche sul governo per l’acquisto di 131 caccia F-35 al punto che l’esecutivo ha deciso alcune settimane fa di ridimensionare la spesa acquistando dalla Lockheed Martin “solo” 100 dei 131 aerei ordinati inizialmente (ogni caccia F-35 costa 120

Le reazioni di cittadini e società civile: il fronte del No F35
Fino ad ora abbiamo parlato del progetto, della storia, delle reazioni politiche ed economiche. Ma i cittadini, Noi come abbiamo reagito a tutto ciò?
Il Fronte del NO
Nella nostra Costituzione, che risulta essere una delle migliori e più complete del mondo, anche se scritta più di sessanta anni fa, c’è scritto, all’articolo 11, che l’Italia ripudia la guerra, però a quanto pare non ripudia gli armamentari che la guerra servono a farla.
Il programma per la realizzazione del cacciabombardiere F35 è costato, fino ad ora, all’Italia ben 2,7 miliardi di euro, e se il progetto andrà avanti ne costerà altri 15 per l’acquisto dei velivoli, anche se la cifra potrebbe a “soli” 10 miliardi, se invece dei 131 preventivati se ne acquistassero soltanto 90.
L’Italia è uno dei partner privilegiati di questo grande progetto aeronautico, forse il più grande della storia, che comprende ben nove Paesi, ma che nel suo percorso è stato costellato di problemi, ritardi, sprechi e prezzo previsto per il costo finale del velivolo costantemente in crescita.
Molti dei Paesi partecipanti hanno dimostrato le proprie perplessità al riguardo, e alcuni hanno anche ripensato se continuare la partecipazione al progetto o meno.
L’Italia ancora non ha firmato nessun impegno per l’acquisto dei velivoli, ma l’attuale Ministro della Difesa ha annunciato che invece dei 131 preventivati si potrebbe scendere al numero di 90.
Ma la cosa in questo periodo di crisi economica italiana non fa nessuna differenza, perché in ogni caso si parla di cifre esorbitanti con le quale si potrebbero affrontare cose molto più impellenti e necessarie per il nostro Paese.
In Italia il Fronte del No agli F35 è molto forte e sta facendo sentire la sua voce in modo deciso, mettendo in primo piano che l’acquisto di questi aerei sarebbe anticostituzionale e le ingenti cifre potrebbero servire al rilancio economico dell’Italia, alla ricostruzione di luoghi colpiti da disastri naturali, al sostegno delle persone non occupate o addirittura a creare l’occupazione stessa.
Quello che il Fronte del No sottolinea come questo progetto, partito nel 1996, sia stato fallimentare fin dai suoi esordi, visto il lievitare continuo del costo del velivolo con il passare degli anni, e soprattutto dice No a progetti che non servono a
garantirela Pace nel mondo ma, anzi, sono pensati innanzitutto per finalità diverse (politico-economiche) da quelle militari, ma per la sovvenzione di industrie che producono armamentari militari, che non hanno certo bisogno dell’aiuto del Governo per poter sopravvivere, creando in questo modo, come spesso accade in Italia, dei vantaggi solo per i privilegiati.
La storia del Fronte del No
La campagna contro il No agli F35 nasce nel 2009 , promossa da GrilloNews, raccogliendo oltre 20 mila firme che la mobilitazione ha cercato di consegnare al Governo, senza riuscirci.
Nel 2010 il Fronte del No ha l’appoggio da altre associazioni, come Science of Peace, Unimondo, DisArmiAmoLa Pacedi Varese.
Queste associazioni cerca di fare pressione sul governo fin dall’inizio, con email inviate da 5500 persone diverse al Governo, ma tutto inutilmente.
Finalmente nel luglio 2010 vengono presentate in Parlamento due mozioni, una alla Camera e una al Senato, che però non sono mai state discusse.
A novembre, e precisamente il 24, del 2010 durante un convegno sui costi degli aerei la decisione del Governo sembra vacillare quando per la prima volta il Ministero della Difesa ammette che sul progetto sta sorgendo qualche problema che avrebbe fatto sorgere dei dubbi sull’acquisto dei velivoli.
Nel 2011 la campagna contro il No all’acquisto degli F-35 continua la sua per la sua strada, continuando ad accogliere adesioni sia di cittadini che di associazioni, e il fronte scrive alla Camera per chiedere una discussione sul progetto F-35.
Le alternative possibili all’acquisto degli F-35
Il Fronte del No fra presente che miliardi che si dovrebbero investire nell’acquisto dei cacciabombardieri si potrebbero fare molte altre cose utili al nostro Paese come ad esempio:
– la costruzione di 3000 nuovi asili, che permetterebbero alle madri che lavorano di avere meno problemi;
– scuole più sicure, visto che la maggior parte delle scuole italiane non rispetta quasi nessuna delle norme di sicurezza stabilite, e molto spesso sono situate in edifici vecchi e fatiscenti;
– 10 milioni di pannelli solari che ci servirebbero a produrre energia pulita;
– Sostegno per tutti coloro che sono senza lavoro, come ad esempio un sussidio di disoccupazione a coloro che hanno perso, o perderanno, il posto di lavoro.
Discorso di Novara
Nel novembre del2011 aNovara si è tenuta una manifestazione nazionale “No F-35”, e ci teniamo a riportare il discorso che ha chiuso tale manifestazione, perché racchiude in se tutti i motivi per dire no all’acquisto dei velivoli in questione.
“Siamo giovani studenti o disoccupati, siamo lavoratori precari, siamo operai ed impiegati, siamo dipendenti pubblici da razionalizzare, siamo irriducibili antimilitaristi e disarmanti pacifisti, siamo riformisti e antagonisti, siamo cittadini di buon senso indignati ed esasperati.
Per l’ennesima volta siamo qui a manifestare.
Dobbiamo ripeterci, dobbiamo insistere.
Quelli che hanno le chiavi del potere non sentono, sono sordi di fronte alle nostre richieste.
Ma noi non demordiamo.
Noi insistiamo; non ci fermiamo.
Chi passi dalle parti dell’aeroporto militare di Cameri, a pochi chilometri da qui, può vedere il loro capolavoro.
Crescono gli hangar destinati ad ospitare la fabbrica della morte, la fabbrica per assemblare i cacciabombardieri F-35.
Ormai lo sanno tutti che cosa sono questi cacciabombardieri: armi d’attacco, micidiali macchine di morte per lo sterminio di massa.
I loro predecessori (Tornado e compagnia bella) li abbiamo visti recentemente in azione sui cieli della Libia.
O meglio: l’aeronautica militare riferisce che erano in azione e che hanno compiuto innumerevoli missioni al suolo.
Noi non abbiamo visto un bel niente.
Le guerre vengono nascoste agli occhi del mondo.
Si fanno vedere poche cose e si offrono immagini manipolate.
Ma l’aeronautica militare italiana non nasconde il suo orgoglio per la precisione conseguita nel raggiungimento dei loro target.
Tradotto in italiano significa che si sono dichiarati orgogliosi di aver colpito ed ucciso.
Ecco: gli F-35 andranno a sostituire i cacciabombardieri attualmente in servizio.
Andranno a combattere le prossime guerre. Non resteranno certo ad arrugginire negli aeroporti militari. Non svolazzeranno certo per il divertimento di piloti simpatici ragazzini.
Si alzeranno in volo, nelle prossime guerre, e sganceranno il loro carico di morte da quote irraggiungibili.
Vigliaccamente nascosti tra le nuvole, andranno a colpire uomini e donne, vecchi e bambini, esseri umani ed animali.
Le guerre, già, le guerre.
Ormai l’Italia sta in guerra da vent’anni.
Ormai l’Italia è una vera e propria piattaforma di guerra.
Si parte da qui e si combatte dovunque.
Ora qui, ora lì: la prima guerra del Golfo, la Somalia, l’ex Jugoslavia ed il Kosovo, l’Afghanistan, l’Iraq, il Libano, la Libia.
Quante guerre per una nazione che crede di essere in pace.
Quante guerre per una repubblica che ha scritto, nella sua Costituzione, di ripudiare la guerra.
Quante violazioni della legalità costituzionale.
Quanto disprezzo per i diritti degli individui e dei popoli.
Quanta prepotenza.
Quanta sete di potere.
Quanta subordinazione alla volontà dei padroni del mondo, che tutto vogliono controllare: territori, risorse naturali, coscienze.
Si stravolge pure la verità dei fatti e si trasformano l’aggressione in legittima difesa, i prepotenti in timidi difensori dei diritti umani, i rapinatori di risorse in pensosi asceti tutti dediti al bene comune.
Certo: spendere, solo in Italia, più di venti miliardi di euro per costruire e per acquistare cacciabombardieri può sembrare a qualcuno un grande affare.
Certo: un grande affare, ma solo per qualcuno.
Per i soliti noti pescecani delle industrie militari.
Prendono soldi pubblici sottratti alla spesa per i servizi sociali ed effettuano commesse per grandi imprese in cui prevale il capitale privato. Si spendono soldi pubblici e si permette ad un numero ristretto di azionisti di accrescere i loro profitti.
Questo è il loro libero mercato: i costi addossati alla comunità, i profitti concentrati nelle mani dei soliti oligarchi.
E poi, nel silenzio politico-istituzionale, hanno già creato un nuovo modello di difesa: lo determinano le scelte economiche delle grandi imprese produttrici di armi. Nel nostro caso si tratta della statunitense Lockheed Martin e del suo partner italico, Finmeccanica, la società capogruppo di Alenia, che è appunto impegnata appunto nell’assemblaggio degli F-35.
Un modello di difesa che è pericoloso per la sicurezza internazionale e che corrompe le strutture dello Stato.
Un modello che ci porta diritti alla completa militarizzazione della società. L’abbiamo visto chiaramente di recente in Val di Susa: forze di polizia e militari che comprimono le libertà fondamentali in nome del profitto di poche imprese.
Ci dicono che la fabbrica camerese porterà chissà quanti posti di lavoro per i giovani delle nostre parti.
Anche se fosse, si tratterebbe di posti maledetti, creati sulla pelle dei poveri del mondo e delle vittime delle guerre. Una vergogna insopportabile: vogliono rendere i giovani complici della loro violenza, delle loro aggressioni, delle loro guerre.
Anche se fosse vero, anche se davvero potessero essere creati innumerevoli posti di lavoro, noi comunque ci opporremmo.
Ma in realtà non è neppure vero.
I posti saranno pochi (e maledetti).
Con gli enormi capitali impiegati si potrebbero creare, in qualsiasi settore civile, almeno il triplo dei posti di lavoro che stanno promettendo.
Ma noi non ci caschiamo: non vi dovete illudere.
Non siamo noi a cancellare il futuro dei giovani e le opportunità di lavoro.
Siete voi, carissimi politici ed industriali criminali, ad avere cancellato il futuro della stragrande maggioranza degli esseri umani.
Siete voi che ci volete regalare un destino da vittime bombardate o da servi della vostra cupidigia.
Noi comunque siamo qui a ribadire la nostra posizione ed a lottare per raggiungere i nostri obiettivi: la cancellazione del progetto F-35, il rifiuto di tutte le guerre, il taglio netto delle spese militari.
I tempi ormai sono maturi, ormai è ora di gridare a gran voce che non possiamo sopportare che, in un solo anno, vengano impiegati 27 miliardi dei nostri soldi per il mantenimento di un apparato militare pletorico e per la partecipazione a guerre d’aggressione.
Ora basta.
Non possiamo vedere sprecare vite, denaro, risorse nelle guerre, mentre dobbiamo sopportare il taglio dei salari reali e la riduzione di servizi sociali d’ogni genere (dalla scuola alla sanità).
Otto miliardi di tagli alla scuola pubblica: tanto per fare un esempio.
Ma per le armi i soldi ci sono.
Per le guerre i soldi ci sono.
Per gli F-35 non si gioca al risparmio.
Ma noi resistiamo.
Non li lasceremo in pace.
Daremo loro fastidio in ogni modo lecito possibile.
Non lasceremo in pace chi vuol fare la guerra.”
Dopo queste parole non c’è molto da aggiungere.
Pubblicato da Investire Oggi (http://www.investireoggi.it/news/le-reazioni-di-cittadini-e-societa-civile-il-fronte-del-no-f35/)