da Marko Marjanovi? per russia-insider.com
Dopo aver liberamente assassinato giornalisti in Jugoslavia, Irak e Libia, il Pentagono ha fatto il passo logico successivo e ha apertamente inserito la pratica nel suo codice di condotta
Nelle quattro settimane di bombardamenti NATO del 1999 sulla Jugoslavia, le bombe americane colpirono la principale stazione televisiva di Belgrado, massacrando 16 impiegati dell’emittente televisiva di Stato della Serbia (RTS).
Erano tutte vittime civili, ma erano gli anni ’90 e Slobodan Miloševi? era “Adolf Hitler” e i Serbi “i suoi volonterosi carnefici”. La morte dei civili serbi non interessava. E così… BOOM! Ucciso il direttore di programma, uccisa la guardia di sicurezza, ucciso l’elettricista, ucciso il cameraman, ucciso il tecnico del suono, uccisa l’addetta al trucco…
Tony Blair e una serie di portavoce NATO apparvero davanti alle telecamere per spiegare che questa gente meritava di morire: faceva parte della “macchina dell’odio” di Miloševi?. Ma nessuna bomba li colpì di rimando.
RTS dava conto delle morti civili della Serbia causate dalla NATO, ma non era questo il motivo per cui fu colpita – come già detto, a nessuno in realtà gliene importava e oltre a RTS la NATO aveva tolto il satellite e non si poteva più trasmettere al di fuori della Jugoslavia. Tuttavia, la strategia della NATO durante la guerra era quella di rendere la vita dei civili serbi così misera da costringerli a pregare Miloševi? di capitolare – e il mix messo in onda da RTS di video musicali patriottici e resoconti sulla carneficina della NATO stava facendo un buon lavoro di sostegno al morale e alla determinazione dei Serbi.
RTS interferiva con la strategia della NATO – stava dando forza e conforto al popolo serbo – e fu ciò a renderla un bersaglio di prim’ordine, uno di quelli che andavano distrutti.
Passo successivo: Irak. ? l’8 aprile 2003 quando i carri armati americani irrompono nel cuore di Baghdad: l’Irak è conquistato. Gli americani colgono l’occasione per aprire il fuoco sui giornalisti in tre diversi posti della città.
Gli uffici della qatariota Al Jazeera vengono colpiti da un attacco aereo. Così come gli uffici del canale satellitare Abu Dhabi degli Emirati Arabi Uniti. Infine, un carro armato USA spara all’interno del Palestine Hotel – il più famoso hotel di Baghdad e ben nota base per giornalisti stranieri. Negli attacchi ai giornalisti di quel giorno, gli americani ne uccisero tre e ne ferirono quattro.
Questo era solo l’inizio. L’Irak diventò un vero campo di battaglia per i giornalisti a causa anche degli attacchi degli occupanti americani. Solo nei primi due anni di occupazione, si è a conoscenza di almeno 13 giornalisti uccisi dal fuoco americano.
Il caso più famoso è del 2007, quando l’equipaggio di un elicottero USA sparò deliberatamente su due reporter iracheni della Reuters insieme a una dozzina di altri civili – questo fu il cosiddetto “assassinio collaterale” che più tardi sarà portato alla luce e reso celebre da WikiLeaks.
Durante l’occupazione dell’Irak, gli Stati Uniti si sono aspramente lamentati dei report di Al-Jazeera e di Al-Arabiyah. Le accusavano di infiammare le piazze arabe contro gli USA e di contribuire ad alimentare la resistenza sunnita in Irak.
Il governo installato a Baghdad dagli americani ha ripetutamente vietato ai due canali di trasmettere dall’Irak. Inoltre, nel 2004 gli Stati Uniti hanno lanciato il canale satellitare in lingua araba Al-Hurra per tentare di rivaleggiare con essi.
Infine, nel corso dei bombardamenti NATO del 2011 sulla Libia, l’alleanza ha ripetuto la sua performance durante il bombardamento della Jugoslavia, facendo fuorideliberatamente un edificio della TV libica e uccidendo tre giornalisti.
Sarà pure un caso che le forze armate USA abbiano prodotto solo ora un “manuale della legge di guerra” che spiega la loro politica di uccidere i giornalisti, ma il fatto è che la stanno attuando da almeno 15 anni.
La cosa su cui riflettere è che il Pentagono si è convinto che i media gli hanno inflitto la sua più grande sconfitta nella storia: la perdita estremamente traumatica nella guerra del Vietnam. Nel nuovo racconto della disfatta vietnamita, secondo il Pentagono i giornalisti hanno dato un colpo fatale contro uno sforzo bellico che era sul punto di cambiare le cose.
Il problema, secondo le forze armate USA, non erano tanto le atrocità americane e i reali insuccessi strategici, ma il fatto che la loro conoscenza veniva diffusa dai giornalisti fra la gente nelle case.
Ciò significa che la principale lezione che il Pentagono ha tratto dalla guerra del Vietnam à stata la necessità di controllare l’informazione proveniente dalle zone di guerra. Gli strateghi militari hanno passato le due decadi successive pensando a come realizzare tutto questo ed eventualmente perfezionarlo in forma d’arte.
Da ciò la copertura dell’invasione statunitense dell’Irak, gestita e favorita ai massimi livelli – servita da giornalisti “embedded” assegnati a questa o quella unità delle forze armate statunitensi. Ma se incorporare i giornalisti ha mostrato fino a che punto essi possono essere domati, questo è anche servito ad evidenziare quanto ostili e pericolosi (almeno nella fantasia del Pentagono) siano stati al confronto gli altri giornalisti indipendenti.
Secondo il Pentagono un giornalista indipendente minaccia il suo controllo delle informazioni provenienti dalla zona di guerra e quindi minaccia “la missione” e questo più di tutto è ciò che veramente lo rende un bersaglio “legittimo”.
Il resto, il nonsenso su chi sia o non sia “belligerante non privilegiato”, è solo un sofisma e un rimasticamento per nascondere il fatto che le forze armate americane – le forze armate della “land of the free and the home of the brave” credono nell’assassinio dei civili non combattenti.
* I Serbi sono stati così ampiamente demonizzati in Occidente che il neocon Charles Krauthammer ha potuto apertamente lamentarsi dalle pagine del Washington Post che i bombardamenti non stavano uccidendo abbastanza civili serbi e il liberale interventista Thomas Friedman poteva invocare le bombe dalle pagine del New York Times affinché la Serbia fosse riportata al Medio Evo senza suscitare nel mainstream il benché minimo oltraggio.
Traduzione di M. Guidoni
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