I debiti dei cittadini che hanno contratto mutui con le banche non possono essere recuperati dagli istituti di credito con la particolare forma del decreto ingiuntivo ottenuto sulla scorta del solo estratto di saldaconto.
Sono nulli, e possono essere impugnati davanti alle aule di tribunale, gran parte dei decreti ingiuntivi con cui le banche intimano ai debitori il pagamento delle somme e sulla cui scorta, poi, provvedono a pignorare case o a bloccare i conti corrente.
Quella, infatti, che è una piccola “finezza” da giuristi, si potrebbe rivelare la chiave per salvare dalla morsa creditizia moltissimi debitori: una “finezza”, tuttavia, che è stata nascosta per molto tempo ai clienti degli istituti di credito e che, diversamente, avrebbe comportato la dichiarazione di nullità di numerose intimazioni notificate in tutta Italia.
Per comprendere la questione – che cercheremo di spiegare con parole semplici e con una certa approssimazione – dobbiamo fare un passo indietro.
Come si ottiene un decreto ingiuntivo?
Per ottenere un decreto ingiuntivo, il codice di procedura civile [1] impone al creditore di presentare, davanti al giudice, una prova scritta (una fattura, una dichiarazione firmata dal debitore, un contratto di lavoro, ecc.).
Se il creditore è una banca?
Invece, se il creditore è una banca, la legge [2] prevede una sorta di procedura “agevolata”: infatti, in tali casi, alle banche è consentito di procurarsi da sole la “prova scritta”. In che modo? Stampando un estratto conto a cui va allegata la certificazione di conformità alle scritture contabili della banca firmata da uno dei dirigenti dell’istituto di credito interessato.
Si tratta di un documento che la banca si crea da sola, in perfetta autonomia, e che poi viene certificato dal direttore che, con una firma, attesta che tale estratto è conforme alle scritture contabili interne.
Ebbene, tale documento, portato sul banco del giudice, viene considerato una sufficiente “prova scritta” che consente, appunto, l’emissione di una ingiunzione di pagamento nei confronti del debitore moroso.
Se ciò, a prima vista, vi può apparire preoccupante, sappiate comunque che, se vi è stato notificato un decreto ingiuntivo, avete sempre la possibilità, nei 40 giorni successivi, di contestarlo con un procedimento di opposizione: una causa ordinaria che dovrete intraprendere con un avvocato.
Peraltro, durante la fase di opposizione, il suddetto estratto conto certificato – prima prodotto dalla banca per ottenere il decreto ingiuntivo – non assume più il valore di prova, ma di semplice “documento indiziario”, con un valore di prova certamente ridotto [3].
È sempre legittima la prova con l’estratto conto certificato dal direttore?
L’inghippo però sorgerebbe (stando almeno a quanto riferisce una autorevole linea di pensiero [4]) nella precedente fase di richiesta, da parte della banca, del decreto ingiuntivo. Infatti, a quanto si legge da alcuni testi specializzati, la possibilità per gli istituto di credito di ricorrere a questa particolare procedura agevolata (volta ad ottenere il decreto ingiuntivo solo con l’estratto conto certificato) non è sempre valida, ma lo è solo per i debiti derivanti da operazioni propriamente “bancarie” e non da quelle di “finanziamento”.
Per capirci meglio, facciamo un esempio.
Quando la banca consente al debitore di sconfinare dal proprio conto corrente (è il caso del contratto di “apertura di credito”, volgarmente detto “fido”), compie un’operazione tipicamente bancaria. Nell’ipotesi in cui il correntista si renda moroso (in quanto non provvede a ripristinare lo sconfinamento) può ben essere recuperato dalla banca attraverso la speciale procedura agevolata, appena descritta sopra: ossia portando, in tribunale, soltanto l’estratto conto certificato dal direttore.
Invece, quando la banca effettua “attività finanziarie” come la concessione di un comunissimo finanziamento (facendo conseguentemente transitare, sul conto corrente appositamente aperto a nome del cliente, tutte le relative partite di dare/avere per tale prestito), non è più possibile richiedere il decreto ingiuntivo, in caso di morosità del cliente, solo sulla scorta dell’estratto conto certificato dal direttore.
Secondo la dottrina, le ragioni di tale esclusione devono ricercarsi nella “ragione” sottesa alla previsione del testo unico bancario [2], rinvenibile nell’esigenza di salvaguardare la stabilità del sistema bancario [3].
Eppure le banche eserciterebbero questo potere (quello di ricorrere alla procedura agevolata) in ipotesi in cui non potrebbero affatto farlo.
Anzi: sono molto più numerose – in proporzione schiacciante – le ingiunzioni di pagamento emesse per mancato pagamento di un finanziamento piuttosto che per sconfinamento da un fido: e quindi il numero dei decreti ingiuntivi nulli sarebbe superiore a quello dei decreti invece validi.
Così, in tutti i casi in cui la banca agisce in questo modo starebbe – secondo tale linea di pensiero – commettendo un abuso, che potrebbe essere censurato davanti al giudice: con la conseguenza che il decreto ingiuntivo verrebbe dichiarato nullo.
Non mancano comunque tesi opposte, sebbene minoritarie e, a nostro parere, non condivisibili.
Ma approfondiremo meglio la questione in successivi articoli.
[1] Art. 633 cod. proc. civ. e ss.
[2] Art. 50, d.lgs. 1° settembre 1993 n. 385 (T.U. sulle leggi in materia bancaria e creditizia).
[3] Trib. Chieti, sent. del 22.10.2013.
[4] In dottrina confronta “Leggi in materia bancaria e creditizia”, Capriglione, Cedam, 13.
Autore immagine: 123rf.com
Fonte: www.laleggepertutti.it
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