La storica e archeologa Riane Eisler ha indicato con il neologismo gilania – dalle parole greche gynè, “donna” e andros, “uomo” (la lettera l tra i due ha il duplice significato di unione, dal verbo inglese to link, “unire” e dal verbo greco lyein o lyo che significa “sciogliere” o “liberare”) – quella fase storica plurimillenaria (8.000-2500 a.c in rapporto soltanto al neolitico) fondata sull’eguaglianza dei sessi e sulla sostanziale assenza di gerarchia e autorità, di cui si conservano tracce tanto nelle comunità umane del Paleolitico superiore quanto in quelle agricole del Neolitico.
La Eisler quindi contesta duramente l’opinione dominante, particolarmente diffusa nella società occidentale, grazie soprattutto all’opera di propaganda svolta dalla storiografia ufficiale, secondo cui gli esseri umani sarebbero sempre stati violenti proprio a causa di una loro intrinseca natura. Questo « assioma » si è sviluppato perché storici e antropologi hanno arbitrariamente collocato l’inizio della civilizzazione umana in un periodo dove la nascita e lo sviluppo del linguaggio scritto sono andati di pari passo alla diffusione della violenza e delle guerre.
Queste informazioni non sono contemplate nei libri di storia scolastici che il sistema ci impone.
Gli studi di alcuni archeologi e storici – tra cui Marija Gimbutas, Riane Eisler ecc. – dimostrano che per buona parte della loro storia gli esseri umani hanno vissuto in comunità sostanzialmente pacifiche ed egualitarie all’incirca sino al 3000 e il 4000 a.c, come ampiamente dimostrato dai reperti ritrovati dagli archeologi, allorché una serie di grandi migrazioni Indo-Europee dal sud della Russia e dall’Eurasia (Europa orientale, Asia centrale e Siberia) verso l’Europa, avrebbero completamente distrutto le popolazioni locali.
Il culto egualitario e non violento della Dèa Madre o Grande Madre “dominò” quindi in Europa, nel Vicino e Medio Oriente (altre tracce sono state ritrovate anche in America e in Asia) per almeno tutto il Paleolitico superiore e il Neolitico. Ciò è ancora dimostrato dal fatto che nell’arte del paleolitico superiore non vi è nessuna rappresentazione di violenza: non una raffigurazione di guerre, di eroi guerrieri, di armi utilizzate da umani contro altri umani. È rappresentato soltanto quello che corrispondeva alla venerazione della vita: la donna, le piante e gli animali.
Le sculture e gli affreschi delle grotte, ritrovate in varie parti del mondo, dimostrano senza ombra di dubbio che questi “valori” furono trasmessi alle società neolitiche da quelle paleolitiche, in particolare la figura femminile era associata alle forze della vita e alla non violenza e le donne spesso erano rappresentate come dèe o sacerdotesse.
Per quanto riguarda i nostri antenati del neolitico i resti archeologici sono molto più numerosi, ciò ha permesso di comprendere meglio l’organizzazione economica-sociale dei “gilanici”.
Le ricerche di Riane Eisler stabilirono che le società neolitiche funzionavano sul culto della dèa non erano né matriarcali né patriarcali, ma basate sul modello del partenariato o gilania, modo di funzionamento assolutamente non violento ed egualitario. Queste società vivevano secondo un modello comunitario, attestato dalla loro architettura, e durante le cerimonie religiose, i cui costi erano a carico dell’intera comunità, i poveri e i deboli sedevano al centro, occupando quindi un posto d’onore. Inoltre i siti funerari non mostrano alcuna differenza legata al sesso o alla condizione sociale, quindi nessuna rigida gerarchia.
Quando queste società presero tecnologicamente a svilupparsi, è certo che queste innovazioni non furono utilizzate per creare disvalori o, meno ancora, per costruire armi. Nell’arte di queste società non compaiono descrizioni di armi, di guerre e di conquistatori. Non una traccia di schiavitù, di sacrifici umani, manifestazioni religiose a carattere fortemente dominante ecc. Non esistono tracce di fortificazioni militari: in queste società, le località d’abitazione non erano scelte in funzione della loro posizione strategica (vertice di una collina) bensì sulla base di criteri di bellezza del luogo, legati al mito del giardino dell’Eden, ancora molto presente.
Le società gilaniche, in cui le necessità delle persone erano soddisfatte anche da un principio mutualismo, furono distrutte tra il 4000 e il 2500 a.c, da orde nomadi venute dal sud della Russia, i cosiddetti Kurgan. Queste popolazioni, come nota Marija Gimbutas, erano «governate da classi sacerdotali e guerriere che avevano il dominio sui cavalli e le armi da guerra» ed erano organizzate su base gerarchica e autoritaria, con una volontà di potere fortemente dominatrice e distruttrice, secondo cui le persone soddisfacevano i propri bisogni anche facendo ricorso alla minaccia fisica e all’uso della violenza.
In questo modo, violentemente, sorse la civilizzazione del dominio che sostituì quella fondata sul parternariato o gilania, portando alla nascita del patriarcato, delle classi sociali ed anche, attraverso un lunghissimo processo storico che ebbe inizio proprio in quella fase storica, di quegli apparati di dominio che ebbero il loro culmine nello Stato.
In particolare, una delle caratteristiche più sorprendenti di Çatal Hüyük e Hacilar è stata la loro stabilità politica, durata diverse migliaia di anni, che suggerisce, senza alcun dubbio, che dovesse regnare il principio della non violenza. Qui si sviluppò un’economia agraria con un commercio fiorente, una pianificazione urbana particolarmente ordinata e uno sviluppo considerevole nei settori delle arti, della religione e della cultura.
Già nel XVI secolo a.c nell’isola vengono introdotte nuove armi (scudi, spade, corazze ecc.), prima di allora sconosciute, indicative della percezione di nuove preoccupazioni militari prima d’allora inesistenti. Infatti, intorno al 1450 a.c i fastosi palazzi cretesi furono distrutti e mai più ricostruiti, come invece accadde intorno al 1650 a.c, quando il palazzo di Cnosso crollò probabilmente a causa di un devastante terremoto. Ciò indicherebbe l’invasione ad opera di un popolo, probabilmente i Kurgan, – violento, rozzo e guerriero –, che già parecchie centinaia d’anni prima aveva attacato altre popolazioni europee, risparminado però l’isola di Creta, probabilmente per il semplice fatto che non conoscevano l’arte navale.
La vita a Vinca era incentrata sul culto della Dèa Madre e sull’uguaglianza sociale. Il livello tecnologico avanzato è inoltre attestato dalla scoperta delle cosiddette tavolette di Tartara, in cui sono presenti dei segni assimilabili ad una scrittura rudimentale (altre ne sono state ritrovate a Tisza e Karanovo), probabilmente la prima vera forma di scrittura dell’umanità.
La civiltà dell’Indo crollò intorno al 1550 a.c a causa delle solite invasioni ad opera dei popoli giunti dalla Russia del sud: i Kurgan.
Il cardine su cui ruota tutta la storiografia ufficiale è che la storia proceda linearmente e progressivamente, dalle civiltà meno evolute a quelle più evolute. L’autorità, la gerarchia e lo Stato non sarebbero altro che l’inevitabile risultato di questo presunto percorso evolutivo. Implicitamente si lascia intendere che questi siano elementi necessari per la creazione di una civiltà evoluta, pena il ritorno ad uno stadio primitivo e barbaro.
Le società gilaniche dimostrano la falsità di questo “principio” storico. Prima di tutto queste erano comunità organizzate, complesse ed evolute, almeno relativamente all’epoca, ma con una una sostanziale assenza di gerarchia e di qualsiasi forma di dominio. Quindi, è storicamente falso che l’organizzazione sociale necessiti di un’autorità governativa.
Il secondo aspetto riguarda coloro che soppiantarono i “gilanici”, cioè i Kurgan. Questi erano un popolo notevolmente rozzo, violento e con aspetti culturali e artistici chiaramente inferiori alle società gilaniche, tuttavia erano strutturati in una rigida gerarchia classista e sessista. Questo porta nuovamente ad evidenziare che la storia procede tutt’altro che linearmente; quando i Kurgan soppiantarono la gilania, la storia ha fatto un passo indietro, passando da una civiltà evoluta ed egualitaria ad una meno evoluta tuttavia, organizzata gerarchicamente.
Alcuni elementi tipici della “cultura gilanica” non scomparvero del tutto nei territori europei che avevano subito le influenze di questa civiltà libertaria, basterebbe pensare, tanto per fare un esempio, alle comunità di villaggio (mir) russe dell’800, su cui molti grandi pensatori socialisti russi, soprattutto i cosiddetti populisti specularono non poco avendo a disposizione molti testi di ricerca storica editi nel XIX secolo (von Haxthausen, von Mamer), oggi del tutto dimenticati.
Si può quindi affermare che, non solo è possibile concepire una società egualitaria, diversa da quella attuale, ma che questo modello sociale è già esistito! E’ esistito per buona parte della storia dell’umanità e le sue tracce sono giunte indelebili sino ad oggi.