Vi ricordate il metodo Di Bella? Ecco perché ne riparliamo…

Chi vive con una diagnosi di cancro è come un naufrago in cerca di un approdo sicuro le strade per raggiungere il quale sono più di una. Così nasce l’idea di questo dibattito. Vogliamo invitare i lettori a farsi un’idea, i malati a studiarsi le pubblicazioni affinchè possano trovare il loro approdo… Vai alla sezione

Articolo di  – ilGiornale

Da quando ho aperto il blog, nel febbraio scorso, ho ricevuto valanghe di mail di lettori che hanno condiviso con me l’esperienza del cancro.

In molti casi gli ammalati erano i loro parenti. Le loro domande diventavano le mie. E le mie le loro. “Avrò fatto la scelta giusta?” “Dovevo cambiare città?” “Potevo evitare gli effetti collaterali”? La loro disperazione mi contagiava: “Perché ci sono i tumori chemioresistenti?”. “Perché qualcuno guarisce e qualcuno muore, è solo una questione di diagnosi precoce?”.

Ho trovato notizie di scoperte più o meno eclatanti e le ho segnalate sul blog, come fiori da cogliere: chi vive con una diagnosi di cancro è come un naufrago in cerca di un approdo sicuro. Non so quale sia questo approdo, sicuramente le strade per raggiungerlo sono più di una. Io ho scelto il protocollo tradizionale, dopo l’intervento e la radioterapia, ho affrontato quattro cicli di chemioterapia.

Fra i lettori più assidui del mio blog (e anche fra chi si considera guarito) ci sono molti “dibelliani”, ossia persone che hanno scelto di curarsi con il metodo Di Bella messo a punto da Luigi Di Bella negli anni ’70 e ’80 e che oggi il figlio Giuseppe continua ad applicare.

All’inizio, ammetto, ho fatto un po’ di fatica a riordinare le idee. Ricordavo una sperimentazione condotta dal Ministero della Sanità nel 1998 (il ministro era Rosy Bindi) che stabilì che queste terapie erano inefficaci. Ma continuavo a ricevere documenti e testimonianze che reclamavano la mia attenzione. Tipo: indagini dei Nas, successive alla sperimentazione, hanno dimostrato che molti farmaci furono somministrati scaduti, che in altri fu aggiunto dell’acetone e che per altri ancora vennero modificati posologie e quantità. La terapia così “alterata” fu testata su un gruppo di pazienti gravemente malati, alcuni terminali, altri all’ultimo stadio (quelli che l’oncologia tradizionale tratta con medicine palliative). Nonostante ciò è ancora viva nell’opinione pubblica l’immagine del professore dai capelli bianchi sbugiardato in televisione. Degli esiti dei Nas la gente non ricorda nulla. Molti miei colleghi, tutt’oggi, considerano l’anziano professore alla stregua di un santone. Ho visto che l’argomento “divide”, scalda gli animi – di mezzo c’è il bene più prezioso, la salute (e, ovvio, una marea di interessi economici) – e che su Facebook i dibelliani sono migliaia.

La medicina ufficiale liquidò così il metodo Di Bella. Chi avesse voluto curarsi in quel modo avrebbe dovuto pagare tutto di tasca propria. Come in una terapia alternativa lo Stato non avrebbe rimborsato un centesimo.

Tuttavia esistono fior di richieste di rimborso ordinate dai giudici . Com’è possibile? Sono centinaia i ricorsi presentati dai pazienti – guariti con la cura Di Bella e non con le chemioterapie, i trapianti di midollo o gli anticorpi monoclonali – e vinti. Carta canta come si sul dire, e infatti, i periti dei tribunali, dopo aver esaminato le cartelle mediche di questo esercito di persone hanno “condannato” lo Stato a pagar loro la cura dibelliana. Un assurdo? Giudicate voi…

Così nasce l’idea di questo dibattito. Vogliamo invitare i lettori a farsi un’idea, i malati a studiarsi le pubblicazioni (per chi non ha avuto un cancro: durante le notti insonni, quando il tarlo del cancro si divora i pensieri, si studia e si legge…), chiediamo agli stessi oncologi di intervenire.

Vi raccontiamo la storia di una donna guarita da un tumore al seno senza aver fatto l’intervento chirurgico (il suo caso è uno degli 11 guariti senza intervento e uno dei 523 tumori trattati con la terapia dibelliana, con buon esito, pubblicati su riviste scientifiche e presentati ai convegni mondiali). E vi presentiamo il parere di un oncologo tradizionale, Stefano Iacobelli, direttore della Scuola Oncologica di Roma, a cui abbiamo chiesto perché la medicina tradizionale non prende in considerazione il metodo Di Bella. Perché? Elementare: non porta denaro alle aziende farmaceutiche.

Di Lino Bottaro per Stampa Libera

L’articolo su Il Giornale

Io, guarita con la cura Di Bella

di  – 23 novembre 2011

“La diagnosi mi è arrivata addosso come un treno: avevo 51 anni, 3 figli e un cancro. Mi avrebbero amputata, via tutto il seno comprese le ghiandole ascellari, i tumori erano tre nella stessa mammella”.

Era il 2006 Marina (il nome è di fantasia) è all’ospedale di Ferrara, in oncologia. Le dicono che ha un cancro triplo (tre focolai nella stessa mammella) che dovrà sottoporsi a mastectomia, rimuovere completamente i linfonodi ascellari. Poi, appena le ferite saranno cicatrizzate, dovrà affrontare sei cicli di chemioterapia più 30 giorni di radioterapia. Quando avrà terminato inizierà una cura farmacologica di almeno cinque anni, fra pastiglie e flebo.

Oggi Marina è considerata guarita, del tumore originario non c’è più traccia. Ma non hai mai seguito il protocollo che le avevano suggerito i medici di Ferrara, non ha perso il seno (“neppure un pezzetto di ghiandola”), non ha tolto i linfonodi ascellari. Non ha fatto nessuno dei sei cicli di chemio, né la radio nè le flebo, tantomeno ha ingoiato le pastiglie raccomandate. Zero di zero. Ha seguito scrupolosamente, questo sì, la cura Di Bella. E oggi, assieme ad altre 10 italiane colpite da carcinoma mammario che come lei hanno rifiutato intervento e protocollo tradizionale, è un caso scientifico di rilevanza mondiale.

La sua storia clinica è apparsa su riviste mediche (Neuroendocrinology Lecter, International Journal of Gynecological Cancer, banca dati scientifica www.pubmed.govper dirne alcuni) e discussa al World Cancer Congress di Singapore nel 2010 e a quello di Dalian (Cina) lo scorso maggio oltre che al congresso di Ginecologia italiano che si è tenuto a Milano in settembre. Sono le prime donne considerate guarite – perché sono trascorsi almeno 5 anni dalle diagnosi – senza intervento chirurgico. Il loro cancro si è rimpiccolito man mano “sotto l’effetto dei farmaci, mica di zuccherini” scherza Marina precisando che la cura di Bella “non è una pozione preparata da un santone”.

Al telefono trapela una voce dal timbro fermo, è quella di una donna determinata. “Non credo di essere stata coraggiosa, anzi, penso di essere stata più codarda delle altre…” “Avevo già l’appuntamento fissato, intervento congiunto: rimozione chirurgica e ricostruzione plastica, non mi sono presentata”.

Cosa ha pensato prima di rifiutare l’intervento?
“All’inizio nulla, ero frastornata. Poi ho cominciato a documentarmi. Ho vissuto da vicino il travaglio di amiche e conoscenti reduci da interventi al seno, c’era chi non riusciva più ad alzare il braccio, chi ha avuto brutte infezioni… certo davanti a un tumore non si va tanto per il sottile ma io mi sarei curata pur senza farmi amputare. Diciamo che ho seguito il mio istinto e non mi sono pentita.”

I suoi figli, suo marito e i parenti cosa le hanno detto? “Ognuno ha avuto reazioni diverse, i miei figli sono tutti e tre adulti e laureati. In famiglia siamo abituati a rispettare le scelte di ciascuno. Certo, all’inizio erano contrari, hanno voluto vedere gli esami, capire perché rifiutassi quel protocollo, ma col tempo si sono tranquillizzati”.

Come è arrivata a Di Bella?
“Ne avevo sentito parlare perché la famiglia è di Modena, avevo seguito il discusso caso della sperimentazione nel 1998. Nel frattempo mi ero letta la metanalisi di Moss (una summa di lavori di oncologi e radiologi americani e australiani sull’inefficacia della chemioterapia nella cura dei tumori). Quando spiegai ai medici che non avrei fatto l’intervento ma mi sarei curata in un altro modo mi suggerirono una terapia sperimentale. Non mi parlarono di Di Bella, fui io a dire loro che avrei seguito quella cura…”

Cosa successe poi?
“Seguii le prescrizioni di Di Bella. Per 4 anni. Facevo i controllo periodici: Pet, mammografia, ricerca dei marcatori nel sangue, andavo sempre in centri diversi. Ogni volta i medici si informavano sulle medicine che prendevo, ogni volta restavano di stucco: il mio cancro rimpiccioliva progressivamente, a un certo punto è scomparso del tutto. La mia non è una guarigione spontanea, ho preso farmaci potenti che riducono su più fronti la proliferazione cellulare e provocano l’apoptosi (la distruzione) delle cellule maligne, c’era anche un chemioterapico classico, a bassi dosaggi, non ho mai perso capelli, non ho mai avuto nausee e vomito.

Nessun danno agli altri organi, non ho sofferto per insufficienza renale o cardiaca. La stanchezza però l’ho avuta. Nonostante ciò non ho perso giorni di lavoro”.

Si considera fortunata?
“Sicuramente lo sono: sto bene, ho il mio seno e sono contenta per questo ma credo anche che la fortuna vada aiutata…” Si considera guarita? “Non dico ‘sono guarita’ perché non posso sapere quel che succederà in futuro ma dico che sto bene”.

Che cura sta facendo adesso?
“Una terapia di mantenimento senza effetti collaterali, per intenderci: non rischio tumori all’endometrio o tromboflebiti.”

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