Il celebre detto di Karl Marx, secondo il quale “la Storia si ripete due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa” andrebbe rivisitato in relazione ai recenti episodi delle celebri “rivoluzioni colorate”, nel corso delle quali, troppe volte, tragedia e farsa sono andate sovrapponendosi, confondendosi e integrandosi. Il caso più recente e illuminante a riguardo è rappresentato dalle proteste di Maidan a Kiev nel 2014, che hanno spianato la strada a un aperto regime change e a quello che, a conti fatti, si è dimostrato un vero e proprio colpo di Stato contro il legittimo governo ucraino di Viktor Janukovy? dopo che, nel corso delle confuse giornate del suo svolgimento, è andato in scena un copione strumentale alla presentazione edulcorata di fatti scabrosi di fronte all’opinione pubblica occidentale, internazionale in primis.

Dalle decine di morti lasciati sul terreno dai cecchini non meglio identificati ma subito individuati come membri delle forze lealiste a uno storytelling a senso unico nel quale si presentò come uno spontaneo movimento di popolo una protesta animata da gruppi militanti di estrema destra e organizzazioni non governative manovrate dal finanziere George Soros, tutti i retroscena oramai noti delle vicende del 2014 mostrano chiaramente la compresenza di tragedia e farsa nei fatti ucraini. Una compresenza che è riscontrabile anche analizzando la storia, poco nota e a lungo dimenticata, di quella che, a conti fatti, può essere riconosciuta come la “prova generale” delle “rivoluzioni colorate” che, dall’Egitto all’Ucraina, il XXI secolo ha visto sinora proliferare in modo esteso.

Tale “prova generale” andò in scena in Lituania nel 1991, e a ricostruirne la storia è stata la giornalista russa Galina Sapoznikova nel suo saggio La congiura lituana, edito da Sandro Teti con la prefazione di Giulietto Chiesa, nella quale l’autrice ricostruisce, utilizzando una serie di interviste come spina dorsale della sua narrazione, i fatti che condussero al distacco della Lituania dall’Unione Sovietica poco prima della dissoluzione della superpotenza comunista. Tali fatti videro la compresenza di un episodio di sangue mai chiarito definitivamente, ovvero l’assalto alla torre della televisione lituana a Vilnius ad opera di uomini del servizio segreto sovietico il 13 gennaio 1991, di lotte politiche nelle alte sfere dell’apparato del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, coinvolgenti anche il Segretario Mikhail Gorbaciov e, soprattutto, la comparsa sullo sfondo degli avvenimenti del “guru” delle “rivoluzioni colorate”, lo statunitense Gene Sharp. Questi, attraverso il suo Albert Einstein Institute, collaborò strettamente con Audrius Butkevicius, tra i fautori del distacco della Lituania dall’Unione Sovietica e membro di spicco del movimento secessionista S?j?dis, guidato dal futuro Capo dello Stato Vytautas Landsbergis.

Nel suo saggio, Galina Sapoznikova ha il merito di corroborare tutte le sue affermazioni con la testimonianza diretta di ex membri del Partito Comunista, veterani delle forze armate sovietiche, cittadini lituani e personaggi chiave come Gene Sharp, gestendo una narrazione molto delicata con un metodo che non lascia nulla al caso. La criticità degli argomenti trattati si palesa apertamente nei punti in cui l’autrice denuncia la scandalosa campagna di disinformazione condotta dalla classe politica lituana dall’indipendenza ad oggi per riscrivere ex post la storia del movimento secessionista e, soprattutto, fornire un’immagine distorta delle reali condizioni della Lituania nel periodo sovietico. Se infatti è storicamente accertata la reale proporzione delle purghe e delle deportazioni compiute dal regime di Stalin dopo l’annessione dei Paesi Baltici all’Unione Sovietica nel 1940, al tempo stesso è inaccettabile l’ossessione revisionista dell’attuale classe dirigente della Lituania, che lungi dal perpetrare una memoria storica efficace è giunta a riabilitare i collaborazionisti filonazisti della seconda guerra mondiale come partigiani patriottici e, oggi, fa ricadere il peso della storia sui russi residenti in Lituania, oggetto di ripetute malversazioni. Queste e altre questioni delicate sono investigate in un libro notevole, che getta uno sguardo d’insieme ben indirizzato sulla recente storia lituana e, inoltre, permette di capire in profondità la genesi di una “rivoluzione colorata” attraverso la trasposizione nel presente degli eventi accaduti a Vilnius e dintorni nell’infuocato 1991.

Nell’epoca della postverità e del dominio della narrazione, la conoscenza della storia è presupposto necessario alla consapevolezza civica e alla reale comprensione degli interessi, talvolta inesprimibili, che si celano dietro numerose manifestazioni, proteste e rivolte apparentemente spontanee, diverse delle quali, molto spesso, si rivelano essere strumentali a progetti di più ampia portata, nei quali l’affermazione della democrazia non appare se non per fini puramente cosmetici.

Gli Occhi della Guerra

 

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