Non è mai stato così basso il numero di lobbisti registrati a Washington, secondo i dati riportati dal Centre for Responsive Politics. Al termine del primo trimestre dell’anno corrente erano 9175 (al 24 aprile sono 9190) a fronte dei 10225 dello scorso anno.

(Francesco Angelone) Seppure in calo progressivo da ormai diversi anni, è nel paragone con il 2016 che si registra il calo più drastico (- 10,3%). Ci sono almeno due buone ragioni per credere che questo dato sia collegabile all’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, che in campagna elettorale le aveva minacciosamente promesse ai lobbisti. Per prima cosa alcuni lobbisti hanno letteralmente cancellato il proprio nome dal registro per avere una chance di essere assunti nello staff di Trump, sia nel transition team che nell’amministrazione vera e propria. In secondo luogo, la retorica della campagna elettorale può aver convinto molti a de-registrarsi per mettere in salvo le proprie possibilità di incontrare membri dello staff cui era stato imposto il divieto di non incontrare lobbisti registrati.

Tuttavia, a una diminuzione del numero di rappresentanti di interessi iscritti presso il Senate Office of Public Records, non è corrisposta una diminuzione delle spese in attività di lobbying. La cifra di 838.4 milioni di dollari spesa al 31 marzo 2017, infatti, è la più alta dal 2013. A detta di Caleb Burns, partner dell’ufficio legale Willy Rein, il mondo dell’impresa non è mai stato così in subbuglio come nei primi 100 giorni della presidenza Trump e la gran parte degli sforzi sono stati profusi in una attività di lobbying ‘difensiva’, tesa a che la legislazione rimanesse così com’è.

Nello specifico, i settori che hanno speso di più sono il sanitario (150 mln $), il manifatturiero/chimico/ristorazione (129 mln $) e il finanziario/immobiliare (126 mln $). Le industrie che hanno fatto registrare un incremento maggiore di spese in attività di pressione rispetto al primo trimestre del 2016 sono quelle farmaceutiche (+ 10 mln $ e una spesa complessiva di 78 mln $) e l’oil & gas (+ 4,7 mln $ per un totale di 36,1 mln $). Per quanto riguarda le industrie del tech si registra il trimestre con la maggiore spesa dal 2009, da quando cioè è iscritta al registro, per Facebook che si è concentrata molto sulla legislazione in materia di cybersecurity, accordi di libero scambio e visti per i lavoratori altamente qualificati. Anche Apple ha fatto registrare un record di spesa per autovetture autonome e questioni legate a salute nell’utilizzo di dispositivi mobili. Top spender del settore resta Google (che pure ha speso poco meno dello scorso anno), particolarmente attiva su pubblicità online e diffusione di materiale controverso (probabilmente anche fake news). Hanno fatto registrare il maggior incremento percentuale rispetto allo scorso anno Chevron (+77%), Teva Pharmaceutical Industries (+115%) e la National Rifle Association, la lobby delle armi, che ha praticamente triplicato la cifra spesa nel primo trimestre 2016.

Per quanto concerne le società di consulenza e lobbying, gli introiti maggiori nel primo trimestre del 2017 sono quelli di Akin, Gump et al. (9.2 mln $). A seguire Brownstein, Hyatt et al. (6.5 mln $), Squire Patton Boggs (5.8 mln $) e Podesta Group (5.5 mln $).

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