«Il progresso è la somma di piccole vittorie» ci insegna lo storico americano Bruce Catton. E se, dall’altro lato dell’Atlantico, il neo eletto presidente Donald Trump sembra voler allargare le maglie delle norme di sicurezza alimentare e rafforzare il già esagerato potere dell’agricoltura industriale, la Vecchia Europa ci riserva qualche piccola soddisfazione, e in particolare il Regno Unito. La Waitrose, una delle più grandi catene di supermercati del paese, ha annunciato che non utilizzerà più mangimi geneticamente modificati nelle sue aziende agricole. Niente becchime Gm per i polli targati Waitrose, né soia transgenica per gli allevamenti di suini. Non è la rivoluzione, ma è di sicuro un bel segnale. Evidentemente questa tecnologia obsoleta non convince più nemmeno l’industria alimentare.

Per la Soil Association «si tratta del più grande colpo di questo secolo inflitto alle colture Gm». Ben sappiamo che per i consumatori inglesi (e tantomeno per gli italiani) questa iniziativa non significa smettere di mangiare indirettamente Ogm: il loro uso nei mangimi animali raggiunge livelli orami da allarme. Non sarebbe male avere questa indicazione in etichetta, come si augura anche British Food Standards Association. Una misura che riteniamo necessaria: ognuno di noi ha il diritto di scegliere che cosa mangiare. Naturalmente c’è chi invece sostiene Ogm & Co, tanto che il cauto Spectator ha promosso il boicottaggio ai danni di Waitrose…

Perché dire no agli Ogm? Non c’è una sola ragione, e ve ne ricordiamo qualcuna. È un modello arrogante, che si basa soprattutto su enormi distese di monoculture che minacciando la biodiversità, mentre stritolano l’agricoltura di piccola scala. La tecnologia dietro la loro produzione è brevettata e crea pertanto un ciclo di dipendenza in cui gli agricoltori sono costretti a comprare semi nuovi a ogni stagione. Gli Ogm minacciano le nostre culture alimentari locali, e soprattutto non hanno mantenuto le promesse fatte come abbiamo ben letto qui. E questi sono solo gli effetti negativi di cui siamo certi…

In ogni caso, se esiste la libertà di mettere a coltura questo tipo di sementi, dovrebbe essere riconosciuto anche il diritto dei consumatori a essere informati.Perché invece tutta questa resistenza a segnalare in etichetta se sono stati utilizzati mangimi Gm?

Nicoletta Dogliani da Slowfood.it

Commenta su Facebook