In Italia ha stravinto il No, con cui i cittadini hanno voltato le spalle all’establishment, chiedendo a gran voce un cambiamento radicale. Una protesta che si unisce a quella dei britannici con la Brexit e degli americani con l’elezione di Trump. Ma dopo anni in cui il “populismo” è stato demonizzato ora siamo al redde rationem. Ecco perché non dobbiamo averne paura: l’analisi del fondatore di “Capiredavverolacrisi”, Alberto Siccardi

Nello strano mondo in cui viviamo sono state create nuove parole che nascondono significati difficili da definire e per questo vengono usate in situazioni diverse. Una di queste è ” buonismo”, un’altra è qualunquismo, ma quella usata sempre di più di questi tempi un po’ rivoluzionari è “populismo”.

Il successo della Lega dei Ticinesi, della Lega Lombarda, il 9 febbraio e Prima i Nostri, l’avanzata della Le Pen in Francia, il Brexit e l’elezione di Trump, i movimenti di destra in Austria e Olanda, dei Cinque Stelle in Italia, tutti vengono tacciati di populismo, (e condannati tacitamente dai mass media e dai politici di professione). Eppure sono diversi. Ma hanno una cosa molto importante in comune, rompono con passate situazioni nei loro paesi, situazioni che a loro volta hanno qualcosa in comune, una egemonia dello Stato e dei poteri forti,banche e lobby, che ormai ha soffocato la vita dei cittadini, lasciando in loro insoddisfazione e paura. Che diventa rabbia e volontà di rivalsa.

Interessante notare che in televisione qualche protagonista dei talk show comincia ad usare il termine con più rispetto, facendo capire che poi, “in fondo non si sentono imbarazzati” se accusati di populismo, che il termine non sta loro così male. Semplicemente capiscono che l’aria sta cambiando.

Di cosa hanno paura i cittadini in tutti questi paesi?

Vedono che non sono difesi da pericoli provenienti dall’interno e dall’esterno, dalla criminalità e dalla immigrazione selvaggia, sono depredati dalle tasse e bistrattati dalla burocrazia sempre più soffocante, vedono la crescita dello Stato nei loro Paesi e capiscono che le votazioni sono sempre più falsate dai voti delle grandi masse di dipendenti pubblici, che votano per lo status quo, i posti di lavoro sono in diminuzione e l’istruzione diminuisce di livello. E non si fidano più dei mass media, giornali e televisioni sono spesso asserviti a chi comanda, sono loro che fanno uso del termine “populista” quando condannano chi non accetta le situazioni e promette di cambiare.

Quei cittadini vedono che di fronte a tutti questi problemi non hanno il potere di reagire contando sui partiti tradizionali, con le sue votazioni senza contenuti e senza programmi seri e solidi.

E allora votano chi questi programmi li fa e si propone di realizzarli. Sono populisti? Sì, se il termine ha questo significato. E hanno ragione, da vendere. Vogliono che chi viene eletto non si consideri un unto dal Signore. I tempi delle monarchie sono passati, fortunatamente, ma erano in qualche modo più onesti e chiari, i cittadini accettavano o facevano le rivoluzioni, ma non erano presi in giro con promesse vaghe e fatte al solo scopo di essere eletti per poi fare poco o niente di quanto annunciato. La gente volta le spalle al sistema, a costo di perdere un po’ di questa falsa democrazia che ci spreme e non ci aiuta né ci protegge.

Le promesse del socialismo hanno portato ad un impoverimento della nostra società sia sotto il profilo economico che quello dei valori, di quella cultura di vita che ci ha reso capaci di superare le conseguenze delle guerre e di fare progredire le attività. Esso è poi confluito in una forma granitica di statalismo, laddove ha preso la guida di uno stato. Ma in una cosa i socialisti di questi tempi hanno ragione. Quello che chiamano “il disastro del liberismo sfrenato” è lì da vedere. Il liberismo ha tradito le sue origini. La formazione di cartelli, di vasti accentramenti del potere privato finanziario ed economico ha creato un mondo che oggi domina e comanda la scena della nostra vita. I cittadini non contano più niente. E nello statalismo si sono uniti socialisti e liberisti dei poteri finanziari privati. Continuano a combattersi ma vogliono gestire un sistema che vive delle risorse comuni senza rendere conto a nessuno. Solo al rinnovo dei mandati con le elezioni politiche possono provare a cambiare qualcosa, ma hanno capito che i partiti borghesi tradizionali non lo vogliono fare. E allora vanno fuori dei partiti tradizionali, a cercare la loro identità e la soluzione dei loro problemi.

Il mondo politico è di nuovo diviso in due, come ai tempo del fascismo e del comunismo, da una parte i partiti statalisti, di destra o di sinistra poco importa, e quelli che di eccesso di stato non ne vogliono sapere, mettendo di nuovo il cittadini al centro della politica. Sono essi populisti? Sì, sono loro. Diversi, ma con un fattore comune, la ricerca della loro libertà.

Ecco dove ci vuole portare il populismo, a dare voce alla gente, che ha diritto di essere ascoltata. Il mondo è suo, non dei politici di oggi. Riusciranno a creare una classe politica che esaudisca i loro sogni?

Per fortuna in Svizzera non siamo così mal messi, possiamo lottare, finché dura, con le nostre istituzioni salde e di libertà. Anche se a volte è dura.

FONTE: Capire davvero la crisi

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