Da alcuni giorni, la flotta degli Stati Uniti d’America, insieme alle forze di altri diciotto Stati della regione, ha intrapreso delle imponenti esercitazioni navali nelle acque del Mar dei Caraibi. Il Comando Meridionale degli Stati Uniti ha comunicato nella giornata di martedì l’avvio delle manovre e ha pubblicato le cifre più importanti di quello che sembra essere una delle più imponenti esercitazioni militari degli ultimi anni nel mare dell’America centrale. L’esercitazione, nome in codice Tradewinds 2017, avrà come base logistica principale l’isola di Barbados e vedrà impegnati a terra e in mare circa tremila soldati, di cui la gran parte provenienti dai reparti della Marina statunitense.

L’esercitazione Tradewinds 2017 consta di due fasi. La prima, nelle acque territoriali di Barbados, è già in corso. È iniziata il 6 giugno e terminerà oggi. La seconda fase, subito dopo, inizierà il 13 di giugno e terminerà il 17 giugno. Questa volta, invece di Barbados, il luogo prescelto è rappresentato dal mare territoriale di Trinidad e Tobago. Secondo l’ammiraglio Kurt Tidd, attuale comandante del Comando meridionale della flotta statunitense, le esercitazioni hanno lo scopo di sviluppare una sinergia sempre più forte tra gli Stati Uniti e gli alleati della regione, sia per confrontarsi con eventuali disastri naturali – vedi il caso di Haiti – sia per contrastare nemici comuni via terra e via mare, oltre che i traffici illeciti.

Gli Stati che parteciperanno a queste esercitazioni sono molto differenti fra loro. C’è un gruppo di microstati e microeserciti, come Antigua e Barbuda, Bahamas, Barbados, Belize, Dominica, Repubblica Dominicana, Grenada, Guyana, Haiti, Giamaica, Saint Kitts e Nevis, Suriname, Saint Vincent e Grenadine e Trinidad e Tobago, la cui importanza, in caso di conflitto, sarebbe quella di dover dare supporto logistico alle forze navali delle più grandi potenze della regione. Un secondo gruppo, composta dai militari di Stati Uniti, Canada, Francia, Messico e Regno Unito è invece sicuramente quello più interessante, sia sotto il profilo militare sia sotto quello politico.

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La scelta di svolgere queste esercitazioni al largo delle coste del Venezuela, è stata da molti osservatori vista come un tentativo di forzare la mano nei confronti di Maduro. Una sorta di prova di forza in cui si accusa gli Stati Uniti di mostrare i muscoli per riportare il governo di Maduro a più miti consigli. Questa è stata anche l’interpretazione data da Caracas sulla scelta di avviare queste operazioni belliche. Il dubbio permane, soprattutto perché, se il Comando statunitense parla di una manovra tesa a coadiuvare gli alleati in caso di conflitto nella regione, dall’altro lato, il governo statunitense e i suoi alleati non hanno mai nascosto di considerare il Venezuela un fattore destabilizzante in tutta l’America. Proprio per questo motivo, la scelta da parte di Washington di riaffermare il proprio ruolo militare in tutta l’America, anche in quella latina, dimostra la volontà degli Stati Uniti e dei suoi alleati di non farsi cogliere impreparati nel caso in cui la crisi del Venezuela degenerasse in una vera e propria guerra civile. In quel caso, l’intervento militare degli USA e degli alleati centroamericani e sudamericani, potrebbe essere un’opzione molto più che ipotetica.

Proprio per rafforzare il concetto di un’America a trazione statunitense in chiave militare, il Comando americano ha inoltre comunicato l’avvio di esercitazioni militari in Amazzonia nel mese di novembre. Nel territorio brasiliano come già annunciato in questa testata, l’esercito statunitense, insieme con gli alleati sudamericani, avvierà una serie di esercitazioni volte a migliorare il rapporto fra le varie forze armate in caso di conflitto in Amazzonia. La scelta di due esercitazioni nello stesso anno, una a largo delle coste del Venezuela e una al confine meridionale dello Stato venezuelano, non fa che confermare l’idea che gli Stati Uniti stiano non soltanto cercando di mandare messaggi chiari al governo di Maduro ma anche che stiano preparandosi a un ingresso nel Paese qualora fosse necessario per imporre con le armi una transizione democratica. Non a caso, la Bolivia, invitata a partecipare alle manovre, è stata il primo Stato a rifiutare di farne parte. Da parte dei funzionari boliviani, il rifiuto è stato motivato con il fatto che le forze impegnate nelle manovre erano chiaramente politicizzate, mentre la Bolivia, retta da un governo di sinistra, non vuole condividere gli obiettivi di queste manovre. Evidentemente, in Sudamerica, i governi sono consapevoli che quello che sta avvenendo potrebbe essere il preludio a un intervento militare di ampio respiro.

Gli occhi della guerra

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