Matteo Renzi si intesta la vittoria sull’abolizione dell’Imu, ma i dati del suo stesso governo lo smentiscono. La pressione fiscale complessiva è salita, così come la spesa pubblica e il debito pubblico. Così la tassazione su polizze vita, fondi pensione, tfr, casse previdenziali degli ordini professionali… Tutte le tasse del presidente, imposta per imposta. Per smettere di credere a tutto quello che ci viene raccontato dalle parti di Palazzo Chigi
A furia di promesse e di mance elettorali Matteo Renzi rischia di perder la poltrona. E fin qui potremmo anche non dispiacercene. Se non fosse che la spasmodica ricerca di consenso a cui il governo impronta la propria politica viene fatta a discapito dei conti pubblici e sulle spalle dei cittadini.
Nonostante le concioni del premier sulle riduzioni delle tasse, infatti, sono gli stessi dati del ministero delle Finanze a smentire i turiferari di Palazzo Chigi.
Che dire infatti dell’aumento di spesa dagli 826 miliardi del 2015 ai 849 del 2019, con un aggravio di ventitrè miliardi in cinque anni? La spesa pubblica corrente, cioè quella non produttiva, aumenta di trenta miliardi, mentre quella per investimenti scende di sette miliardi.
Il tutto mentre il debito pubblico sfora il tetto record di 2230,8 miliardi di euro, ben 123,3 miliardi in più rispetto a febbraio 2014, quando Matteo Renzi venne chiamato a Palazzo Chigi dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Ma non è tutto: anche in tema di mercato del lavoro i numeri certificano il fallimento del governo. Esauriti gli effetti degli incentivi alle assunzioni che avevano “drogato” i dati del 2015, da gennaio in poi abbiamo assistito a una lunga teoria di notizie negative, che hanno suscitato addirittura la preoccupazione della Caritas.
Gli incentivi per supportare le assunzioni – che, purtroppo, sono già finiti – hanno però avuto un costo molto alto, che si è tradotto, insieme agli altri denari raccolti qua e là per finanziare la politica dei bonus, in una pressione fiscale senza precedenti.
A confermarlo sono i dati raccolti per Free Foundation dall’economista ed ex ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta. Che, numeri alla mano, mostra come la pressione fiscale generale sia cresciuta dal 43,4% del 2014 al 43,7% del 2015 al 44,2% del 2016.
Nello specifico, dal 2011 al 2015 sono aumentate la tassazione sulla casa, passata da 11 a 30 miliardi e la tassazione del risparmio, cresciuta da 6 a 13,3 miliardi di euro.
Inoltre è sono state ridotte le detrazioni Irpef per i redditi superiori a 55.000 euro e sono state ampliate le categorie di imprese soggette all’imposta più detestata, l’Irap.
È aumentata anche la tassazione sulle polizze vita e sui Fondi pensione, dall’11% al 20% e sul Fondo Tfr, dal 11% al 17%. Nel mirino sono finiti anche i professionisti, le cui casse previdenziali si sono viste aumentare la tassazione dal 20% al 26%.
Come non bastasse rimane la questione mai sopita delle clausole di salvaguardia, che potrebbero scattare facendo aumentare l’Iva dal 10% al 13% e dal 22% al 25,5%, con relativo aumento delle accise su alcol, tabacchi, benzina e prodotti energetici. Tutto questo senza menzionare il problema della Tasi, già oggetto di un nostro articolo dedicato al tema.
Mentre debito e spesa toccano livelli da record, il premier si gioca tutto sul referendum istituzionale, sperando che l’onda lunga della politica dei bonus e degli incentivi faccia sentire ancora i propri effetti dentro le urne.
Se non potranno che essere gli italiani a decidere le sorti del presidente del Consiglio e del suo esecutivo, nel frattempo noi di Capiredavverolacrisi non possiamo che continuare a riproporvi quei dati che il governo preferisce non enfatizzare, nella speranza di promuovere, come sempre, un voto più consapevole e per questo più responsabile.
FONTE: Capire davvero la crisi