di Francesco Filini
Renzi ha perso gli appoggi che aveva dall’altra parte dell’oceano Atlantico, quelli della lobby “democratica” che ha inaugurato la stagione delle aggressioni in Libia e in Siria, mettendo nel mirino la Russia di Putin. Furono infatti le consorterie bancarie vicine ai democratici a far fuori Enrico Letta, giudicato troppo vicino a Putin, per inserire il loro uomo di fiducia: Matteo l’etruriano.
Ripercorriamo ciò che è successo nel nostro Paese per cercare di comprendere la politica estera americana degli ultimi anni, partiamo da Novembre 2013. Siamo a Trieste e il Presidente del Consiglio italiano è in trepidante attesa per incontrare Putin, dall’incontro tra i due leader usciranno fuori ben 28 accordi bilaterali di cooperazine internazionale tra Italia e Russia, accordi che Letta commentava nel modo seguente: “Abbiamo molti impegni da implementare, gli accordi devono diventare fatti concreti. Accordi che è difficile sintetizzare in grandi cifre ma che hanno in comune la ricerca di una via di uscita dalla crisi nella conferma della presenza italiana in un Paese difficile e promettente come la Russia, nel sostegno dell’export che, secondo le previsioni di Sace, in Russia può crescere del 10,5% nei prossimi quattro anni, arrivando dagli 11 miliardi di oggi a 16 miliardi nel 2017. La crisi globale ci ha cambiati, nell’economia reale e nelle infrastrutture. La direzione verso cui dirigere quest’azione comune Italia-Russia.”
In realtà il giovane Enrico non aveva fatto nient’altro che dar seguito all’ultimo decennio di politica estera italiana, contraddistinta dagli ottimi rapporti con la Russia indistintamente portati avanti tanto da Romano Prodi quanto da Silvio Berlusconi. A Trieste non ci sono in ballo solo semplic accordi di scambio commerciale, ma c’è anche – e soprattutto – il South Stream, il progetto del gasdotto che può portare direttamente in Italia “l’oro blu” dalla Siberia. I vertici di Eni e Snam sono entusiasti per l’operazione che vede protagoniste le aziende italiane nella realizzazione di un’infrastruttura capace di servire tutta l’Europa del sud: infatti il Southstream è il progetto speculare al Northstream, l’altro gasdotto in grado di portare il gas russo in Germania e in Nord Europa.
Il progetto russo è quello di esportare la sua risorsa principale in Europa, abbattendo enormemente i costi energetici e – soprattutto – la dipendenza del Vecchio Continente dal “signoraggio del petroldollaro” che ha consentito agli USA di dominare il mondo a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale. E’ infatti il dominio del dollaro, inteso come moneta di riserva mondiale, la causa principale di oltre mezzo secolo di conflitti sparsi per il mondo. Dagli accordi di Bretton Woods (1944-1971) a quelli con la petrotirannia Saudita sul petroldollaro (1972), così la Federal Reserve, l’entità che controlla gli Stati Uniti e indebita tutto il mondo, ha imposto il suo dominio finanziario globale.
I piani di Putin e il suo attivismo geopolitico in Europa e in Oriente mettono in discussione proprio il dominio della finanza globalista. Per questo non piacciono alle lobby americane che controllano indistintamente Democratici e Repubblicani. “Occorre fermare Putin”, ripete ossessivamente l’intelligence a stelle e strisce. E così il vecchio Zio Sam mette in azione la sua potente macchina di propaganda, cominciando nel 2012 a “destabilizzare” la Siria perché “Assad è un dittatore che uccide il suo popolo” (stessa litania che ha portato all’assassinio di Saddam Hussein e che porterà all’assassinio di Gheddafi, quest’ultimo ordito proprio da Hillary Clinton), quando in realtà la Siria rappresenta l’utlimo avamposto della Russia in Medioriente, nonché crocevia per gli oleodotti che portano l’oro nero in Europa, senza passare per il canale di Suez.
Ma la Siria e la Libia non bastano, lo Zio Sam decide nel 2014 di portare la guerra proprio alle porte di Mosca, sobillando la rivolta in uno dei paesi storicamente “russi” come l’Ucraina. Però per portare una guerra in Europa occorre richiamare all’ordine i governi delle “colonie” e allinearli alla nuova strategia. Fu così che le lobby americane, grazie ai “fidi” Mario Draghi e Giorgio Napolitano, fecero fuori Enrico Letta per insediare il burattino di Firenze. Già, perché al “povero” Enrico viene intimato direttamente dalla Casa Bianca di rompere i rapporti con Putin, non partecipando alla cerimonia di apertura dei giochi olimpici invernali a Sochi.
Ma come poteva Letta, che appena due mesi prima aveva siglato gli accordi di Trieste, fare uno sgarbo del genere all’alleato russo? Come poteva mettere in discussione le miliardarie commesse portate a casa da Eni e Snam? Come poteva bruciare un decennio di politica energetica a vantaggio della nazione italiana? Non potè mancare alla cerimonia di apertura e volò a Sochi insieme ad Emma Bonino, ma la disobbedienza ai dictat della “madrepatria” segnò la sua fine. “Enrico stai sereno”, maramaldeggiava il bullo fiorentino. Appena insediato Renzi ricevette subito Barack Obama, la settimna successiva il Dipartimento di Stato U.S.A. dava inizio alla guerra in Ucraina con la rivolta di Maidan, prontamente Renzi si allinea con la politica americana e butta letteralmente nel cesso il Southstream e tutta la politica energetica italiana. Inizia il conflitto in Donbass e le successive sanzioni contro la Russia imposte sempre dalle lobby atlantiste ad un’Europa sempre più debole.
Le guerre neocoloniali dello Zio Sam hanno però un costo interno enorme, e rendono i cittadini americani sempre più insofferenti. Questa è la chiave di volta che ha fatto vincere Trump, osteggiato tanto dai democratici quanto dai repubblicani. Una candidatura capace di rompere gli schemi e di mandare a carte quarantotto il piano di dominio delle elìte che controllano il dollaro. Cosa dobbiamo aspettarci? La Federal Reserve rimarrà a guardare? Lo scopriremo solo vivendo, ma intanto The Donald può da subito ridisegnare gli equilibri geopolitici, ritirando le truppe americane dalla Siria e tagliando i finanziamenti all’Isis. Ma soprattutto dovrà cercare di gestire una fase di distensione tra la Russia e l’Occidente. Non sarà facile, ma è l’unica via per scongiurare un conflitto mondiale tanto cercato dal premio Nobel per la pace e dai suoi accoliti.
Azzardiamo delle ipotesi: è probabile che la burocrazia europea rivedrà il suo rapporto con la Russia di Putin per non rimanere isolata (sic!), la politica aggressiva americana è stata più volte maldigerita dalle elitè di Bruxelles. Per far questo occorre liberarsi delle “zavorre” e Matteo Renzi l’americano rappresenta indubbiamente una di queste. I segnali di insofferenza da parte di Junker già sono arrivati, l’avviso di sfratto è vicino e il referendum è l’occasione più ghiotta per rimandare a Rignano sull’Arno i sogni di boria del Bomba.
Fonte: Il Rapporto Aureo