Dall’estate 2014 a fine 2015, Russia ed Arabia Saudita hanno venduto attività finanziarie degli USA pari a 52,4 miliardi di dollari, secondo un rapporto annuale del dipartimento delle Finanze. Il fatto che questi due Paesi siano produttori di petrolio non è ovviamente una coincidenza. Perché è proprio il calo del prezzo del petrolio, iniziato nell’estate 2014, che ha costretto i Ministeri delle Finanze di Russia e Arabia Saudita a cercare nuove fonti di reddito per colmare i sempre crescenti buchi nel bilancio. Il mese scorso, per la prima volta i dati hanno mostrato che le attività degli Stati Uniti erano equamente divise tra finanziarie, banche, banca centrale e semplici cittadini dell’Arabia Saudita. Nel marzo 2016 il totale era di 116,8 miliardi di dollari. In un mese, il totale è diminuito di 3 miliardi. Il calo in un anno è stato di 26 miliardi di dollari. E’ anche possibile che Riyadh abbia l’obbligo di vendere le obbligazioni ed altre attività finanziarie degli Stati Uniti per un totale di 15 miliardi di dollari a luglio. La Russia, nel frattempo, ha superato la crisi e la scorsa settimana ha venduto, subito dopo l’entrata in vigore delle nuove sanzioni, obbligazioni per 1,75 miliardi. Gli investitori russi vendono regolarmente dall’inizio della crisi finanziaria i buoni del tesoro statunitensi. La somma del debito degli Stati Uniti rispetto al 2008 si è più che dimezzata e a fine luglio 2015 era di 73 miliardi di dollari. Il rapporto del dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha anche confermato che Russia e Arabia Saudita sono piuttosto eccezioni alla regola che regola. Infatti molti investitori in diversi Paesi comprano massicciamente beni degli USA, perché i titoli di Stato giapponesi ed europei sono in calo. Nel luglio 2015 gli investitori esteri hanno raggiunto un nuovo record con un totale di 17,1 miliardi di dollari. La crescita in un anno è stata del 4%. In termini di classifica per Paese, la maggiore crescita si è verificata in Gran Bretagna. Gli investitori inglesi hanno adempiuto al loro portafoglio di attività degli Stati Uniti per un totale di 159 miliardi di dollari. Altra crescita maggiore si è verificata tra gli investitori irlandesi, lussemburghesi e delle isole Cayman. I Paesi emergenti hanno anche aumentato le loro quote, secondo il dipartimento del Tesoro statunitense, come Messico, Brasile, Turchia e India. Gli autori di questo rapporto vorrebbero migliorare la ricerca annuale. Per ora il problema principale è che il vero nome dei possessori di beni degli Stati Uniti possono facilmente nascondere la propria identità tramite prestanomi o mentendo sul Paese delle transazioni, come è accaduto di recente con l’aggiunta del Belgio, emerso come uno dei Paesi col maggior numero di beni degli Stati Uniti.
Expert – Reseau International 4 giugno 2016
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora