
Mario Draghi è sicuramente un personaggio molto attaccato alle poltrone sulle quali ha avuto la sventura (per noi) di sedersi. Prima come direttore generale del Tesoro (addetto alle privatizzazioni), poi come vicepresidente (per tre anni) della filiale europea della Goldman Sachs, poi come governatore della Banca d’Italia ed infine ora (sempre purtroppo) come presidente della Banca centrale europea. A gestire quindi la moneta di uno Stato inesistente. Al peggio insomma non c’è mai fine. L’ultima poltrona in questione, appunto quella della Bce, è quella che lo fa sentire maggiormente gratificato e lo porta, per forza di cose, ad esaltare sempre e comunque il proprio operato. La mia politica monetaria è giusta e perfetta, sostiene in ogni occasione l’uomo di fiducia della finanza anglofona. Di conseguenza se l’economia europea sta rallentando la colpa non è mia ma è dei governi dei Paesi membri dell’euro e dell’Unione che non riescono a mettersi al passo con il Mercato Globale e non fanno quelle riforme “strutturali” che ne sono il naturale e necessario corollario. In primo luogo quella del mercato del lavoro che deve essere omogeneo in ogni angolo del mondo. Al’insegna del precariato e della flessibilità. Così il lavoratore europeo dovrà essere gratificato dalla stessa mancanza di tutele di quello cinese. E possibilmente dagli stessi miseri stipendi e dalla possibilità di essere licenziato in ogni occasione. E’ il Libero Mercato ragazzi. E noi anglofoni abbiamo lavorato e stiamo lavorando per questo. Il tutto si realizza nella quasi indifferenza dei governi europei che hanno deciso anzi di scavalcare a destra il banchiere, il cui cuore, ed altro, si divide tra la City e Wall Street. Draghi, con poco senso del ridicolo, ha sostenuto che l’Europa non è in recessione. C’è soltanto una crisi economica un po’ pesante, per non dire pesantissima. Ma che volete che sia? Basta intendersi sul significato dei termini ed il gioco è fatto. Il futuro è luminoso e l’Unione si riprenderà. E visto che il compito “istituzionale” della Bce è quello di assicurare la stabilità dei prezzi, né inflazione per tutelare i cittadini né deflazione per tutelare le imprese, Draghi ha insistito a sostenere che in Europa, anzi nell’Eurozona, lui non vede rischi di deflazione. Ci sono soltanto rischi di inflazione molto bassa per un lungo periodo. Della serie: se non è zuppa è pan bagnato. Purtroppo, ha notato compassato l’ex allievo dei gesuiti, “la ripresa è modesta, debole e fragile”. Ma non è colpa mia. Io, ha ricordato, ho prestato una barca di miliardi (di euro) alle banche ma se queste non le hanno prestate alle imprese (per gli investimenti) e alle famiglie (per i consumi) io che posso farci? Affermazione falsa perché i mille miliardi (novembre 2011-marzo 2012) prestati alle banche non sono stati vincolati a quell’utilizzo specifico tanto che gli istituti le hanno impiegate per comprare titoli di Stato. Il che ha assicurato ad esse entrate sicuri e costanti, profitti ed utili da distribuire agli azionisti, e dulcis in fundo la possibilità di ricapitalizzarsi gratis (la Bce ha messo l’1% di interesse). Una scelta che ha aiutato sopratutto la Bce e Draghi visto che la prima conseguenza è stata quella di calmierare le tensioni sui tassi di interesse con lo spread, ad esempio quello tra Btp e Bund, che è sceso dai 570 punti dell’ultimo periodo di governo di Berlusconi (novembre 2011) ai 160 circa attuali. In presenza, è questo è l’assurdo di un debito pubblico italiano passato dal 120 al 135% sul Pil. I prezzi stanno calando ma non crolleranno, ha assicurato Draghi, e la politica da lui definita “accomodante” della Bce (quindi in aiuto alle banche) continuerà ancora e lui spera che favorirà la ripresa e l’occupazione. Gli ultimi prestiti della Bce alle banche europee sono infatti stati vincolati alla concessione di prestiti all’economia “reale” ma proprio per questo la risposta, vedi l’Italia, è stata piuttosto fredda. Ma guarda un po’. La politica monetaria, da sola, ha insistito, non può produrre crescita. Servono altri elementi da mettere in campo. La definitiva precarietà del lavoro è il primo che Draghi auspica. Tanto alla Bce il problema stipendi non se lo pone nessuno.
Giuliano Augusto