La tecnologia ha implicazioni etiche e identitarie fondamentali. Ho preso un Fairphone per ricordarmene
Di: Philip Di Salvo, marzo 3, 2016

(Foto: Maurizio Pesce / Wired)
Da qualche anno a questa parte il settore dell’elettronica di consumo sembra aver raggiunto un momento di assuefazione, smartphone e tablet soprattutto. II mercato non è mai stato tanto affollato di prodotti, versioni differenti, marchi e aziende. Ogni fiera di settore, però, sia essa l’IFA di Berlino, il CES di Las Vegas o il Mobile World Congress di Barcellona è una giostra di presentazioni e lanci di nuovi telefoni, nuovi gadget e aggiornamenti. ??Tutti questi prodotti hanno certamente delle peculiarità: una tale definizione dello schermo, qualche megapixel di differenza per la fotocamera, qualche dettaglio di performance in più.
Il punto, però, sembra essere uno: esiste davvero una differenza abissale tra un iPhone 6 e un 6s o un tra un Galaxy S6 e un S7? Sceglierne uno anziché un altro, fatte salve le ovvie differenze, cambierebbedavvero la nostra esperienza di utilizzo di Internet in mobilità e della telefonia? Oppure, esistono davvero differenze sostanziali tali da giustificare il varo di un nuovo modello? La sensazione, di nuovo, è che il mercato e i produttori abbiano raggiunto un punto di stasi dove non è più possibile radicalizzare l’offerta e lanciare qualcosa di davvero inedito.
??Il mercato della tecnologia di consumo, insomma, è diventato prevedibile nel rincorrere minime migliorie a prodotti già pressoché perfetti o molto buoni.
La tecnologia, per come l’avevo capita
Anche l’ingresso nel mercato di aziende più piccole sembra estremamente ostico: il duopolio Android / iOS, ad esempio, ha schiacciato perfino Windows Phone. Nemmeno Mozilla ci è riuscita, seppure le idee e le motivazioni dietro il lancio del suo sistema operativo mobile Firefox OS sembravano solide e, per una volta, davvero utili. Il mercato è chiuso, affollato, e le fette migliori della torta sono già nei piatti di pochi. Le alternative esistono, ma la partita sembra essere davvero tra pochissimi brand molto potenti.
Il punto cruciale è che parlando di smartphone non parliamo di prodotti che sono accessori alle nostre esistenze, ma di oggetti che, di fatto, dettano i ritmi del contemporaneo, delle nostre abitudini lavorative e delle nostre vite nel complesso. Prodotti sui quali facciamo passare buona parte delle nostre esistenze e insieme ai quali passiamo circa un terzo del tempo che trascorriamo da svegli. Le ragioni che rendono questa situazione di stallo preoccupante sono almeno di due ordini: etiche ed identitarie, prima che strettamente tecnologiche. Pensare alla tecnologia che portiamo in tasca come pensiamo ad altri prodotti di consumo più generici non ha senso, data la pervasività e il peso che questi strumenti hanno per tutti noi. Siamo davvero sereni se un settore talmente cruciale per il sistema sociale e politico in cui abitiamo finisce per essere in mano a poche aziende che dettano i ritmi di un mercato altrimenti autoreferenziale?
Lo snodo è capire se esistono alternative a questo stato delle cose e se vogliamo perseguirle davvero. Per diversi anni ho posseduto un iPhone, dopo aver usato un Blackberry. Uso lo smartphone in modo maniacale e il mio iPhone 5s ha fatto – e farebbe ancora – perfettamente il suo lavoro. Nel mentre, Apple ha lanciato altre versioni del suo telefono senza mai farmi avvertire davvero il bisogno di cambiare il mio. Qualche settimana fa, però, ho comprato un Fairphone.
Fairphone è una piccola azienda olandese che produce telefoni, ma che come primo obiettivo si dà quello di lanciare un movimento: un paio di anni fa ha messo sul mercato un primo smartphone di fascia medio-bassa, imperfetto e poco adatto all’uso che avrei dovuto farne. Ora, invece, ne ha ideato un altro dalle specifiche più potenti e pensato per finire in una fascia di mercato più alta e di poco inferiore ai top di gamma: il Fairphone 2, un telefono che ha delle cose da dire, chiare e interessanti.
Fairphone, innanzitutto, produce i suoi telefoni facendo affidamento, fino a quando le è possibile, solo a fornitori di materie prime certificate: si tratta di miniere, cave e catene di montaggio che hanno superato controlli sul modo in cui gestiscono la forza lavoro, le scorie industriali che producono e il loro giri d’affari. Bisogna ricordare che le miniere da cui provengono le materie prime che costituiscono i nostri telefoni sono, per lo più, in territori di conflitto. Fairphone si assicura che queste non siano sotto il controllo di gruppi armati e che non contribuiscano a far continuare quei conflitti.
Questo punto etico è molto forte e molti marchi sono spesso stati aspramente criticati per i modi poco trasparenti con cui fabbricano i loro prodotti. Il punto, però, non è essere perfetti, e nemmeno il Fairphone lo è al 100%, per il momento. Quello della tecnologia, purtroppo, non è mai un settore di bianchi e neri e le zone grigie sono sempre presenti. Sarebbe infatti quasi impossibile e utopico, purtroppo, pensare di usare esclusivamente prodotti che siano al 100% “etici”. Il Fairphone, dal canto suo, contribuisce a sollevare il problema e lo porta in superficie, sperando di essere da esempio, lanciando un messaggio. Gli aspetti etici e le implicazioni ambientali del settore raramente toccano il dibattito sulla tecnologia e l’economia che vi gravita attorno, ma dovrebbero avere più spazio: è ancora serenamente accettabile, infatti, che oggetti che portiamo in tasca siano prodotti da aziende che stanno molto in basso nei ranking di sostenibilità e condizioni di lavoro?
Il Fairphone, in questo, è una prima risposta.?? Ma le ragioni che ne fanno un telefono interessante non sono solo queste. Oltre al discorso etico, infatti, c’è anche quello identitario, come accennavamo prima. Personalmente, sono convinto che la tecnologia sia un settore che gravita fortemente attorno a questo punto, un settore in cui si possono – e devono – fare scelte: anche in questo, avverto sempre di più il bisogno di usare strumenti con cui sentirmi davvero in continuità e coerente.
Lo scorso anno, Dan Gillmor ha scritto un pezzo molto interessante su questo punto per Blackchannel,Why I’m Saying Goodbye to Apple, Google and Microsoft. In quel pezzo, il giornalista e docente americano dice delle cose fondamentali: “Mi sono spostato verso piattaforme alternative perché ho cambiato la mia posizione sulla politica della tecnologia. Ora credo sia essenziale importare i miei istinti e valori, in modo sempre più esteso, nella tecnologia che utilizzo. Questi valori partono da una nozione fondamentale: stiamo perdendo il controllo sugli strumenti che, un tempo, promettevano opportunità eque in termini di espressione e innovazione. Tutto questo deve finire”.
Il Fairphone, è un prodotto indipendente e, in questo, rappresenta un’alternativa agli andamenti del mercato e del suo sistema economico. Di nuovo, non c’è un valore intrinseco in questa indipendenza, né una pretesa di superiorità morale, ma sapere che una social enterprise olandese può mettere sul mercato uno smartphone di questo tipo e farcela è già una buona notizia di per sé. Significa più concorrenza e più alternativa.
Oltre a questo, il Fairphone ha un suo sistema operativo basato su Android 5.1 Lollipop. Di fatto, è il sistema operativo di Google con delle piccole modifiche, ma ???queste gravitano attorno all’etica stessa del telefono, per rafforzarla. Un punto cardine è la trasparenza di ogni componente: oltre ai punti che riguardano il modo in cui viene fabbricato, infatti, il Fairphone è open source, è completamente aperto e ci si può guardare dentro, sia a livello di software che a livello di hardware. Il codice del telefono è disponibile ai programmatori e agli sviluppatori e a chiunque voglia guardare al modo in cui il telefono funziona e garantisce sicurezza e privacy ai suoi utenti.
Dal punto di vista dell’hardware, invece, il Fairphone è modulare: si può aprire, smontare pezzo per pezzo e riparare a seconda dei casi. Se in futuro il telefono dovesse avere un problema alla porta dell’alimentatore, ad esempio, sarà possibile sostituire autonomamente solo quel pezzo, e anche piuttosto facilmente.

(Foto: Maurizio Pesce / Wired)
L’idea è quella di mettere l’utente nella condizione di controllare ogni aspetto del telefono, e non il contrario. Se vuoi smontare completamente il telefono, ad esempio, puoi farlo. Inoltre, il Fairphone è l’unico smartphone ad aver ottenuto 10/10 da iFixit, che valuta la riparabilità dei prodotti tecnologici. Il punto più debole, in questo, è la fotocamera, deludente specialmente in indoor. Ma se domani una versione migliore fosse disponibile, mi piace l’idea di poterlo aprire e sostituirla.
L’altro punto cruciale è quello della privacy e del modo in cui il telefono, e le app installate, utilizzano i miei dati. Il Fairphone offre un’opzione, Privacy Impact, che ad ogni download di una nuova app, mi informa su quanti dati la nuova applicazione finirà per gestire e in che modo. In pochi passaggi, quindi, è possibile modificare i settaggi e avere, anche in questo, un telefono più trasparente. In questo, il fatto che il sistema operativo del telefono sia Android, dà meno garanzie di quello che sarebbe possibile e il fatto che tutto graviti attorno a Google è uno dei punti deboli del Fairphone, alla luce della sua missione. Ma: “Un passo alla volta”, ricorda la bio Twitter di Fairphone. Tutto questo discorso è un processo, non una svolta radicale.
Dopo una settimana di utilizzo, il Fairphone mi ha fatto ragionare su un aspetto in particolare del mio rapporto con la tecnologia: la lentezza. Come dicevamo, le performance del telefono non mi fanno rimpiangere il mio vecchio iPhone: ad Android ci si abitua e il tutto gira veloce e senza intoppi. Il Fairphone è un telefono lento in altri sensi: il modo in cui viene prodotto – la catena produttiva parte solo una volta raggiunti un tot di pre-order – e il modo in cui si fa usare. Tra le funzioni che preferisco, ad esempio, c’è il conteggio del tempo che trascorre tra ogni ogni volta che sblocco lo schermo per guardare le notifiche. La sfida con me stesso e far sì che sia sempre di più.

(Foto: Maurizio Pesce / Wired)
L’attuale scenario tecnologico impone delle riflessioni, sulle implicazioni sociali ed economiche dell’innovazione, sulla corsa senza senso del mercato dell’elettronica di consumo e sul ruolo della Silicon Valley in questo panorama. Non è questo il luogo preposto per affrontare il discorso, maEvgeny Morozov ne scrive approfonditamente nella sua ultima raccolta di saggi. Il Fairphone affronta tutti questi discorsi, facendo partire una riflessione e contribuendo con soluzioni che funzionano.
Come utente, ho deciso, preferisco un posto più consapevole in questo discorso a qualche megapixel in più sulla mia fotocamera o a uno schermo flessibile.
Fonte: Wired.it