Ringraziamo Footam e Icecube per la segnalazione di questi articoli. Ndr.

Ermete Ferraro a Radio Italia IRIB: in Italia i soldi per le missioni di guerra non mancano mai

[Link fonte] TEHERAN – ‘A quanto pare i soldi per le missioni di guerra non mancano mai e pare che sia una delle cose indifferibili come è stato scritto nel decreto del governo Monti cioè della quale non si può fare a meno e che non si può rinviare ed evidentemente le spese militari per le missioni ma non solo quelle, sono tra le poche cose che in Italia non si possono tagliare, e il rifinanziamento del governo Monti di 700 milioni di Euro che si vanno a sommare ai precedenti 700 quindi nell’anno abbiamo 1400 milioni di Euro solamente per le missioni che neanche non hanno il corraggio di definire missioni di guerra e le nominano missioni all’estero, nel momento che tutti i cittadini sono chiamati a fare sacrifici gli unici che non lo possono fare a quanto pare sono i militari”.
Queste le parole di Ermete Ferraro referente nazionale per l’eco pacifismo dell’associazione Verdi Ambiente e Società in un’intervista telefonica a Radio Italia dell’IRIB.

Nota della Redazione: E’ disponibile attraverso il link sottostante l’audio integrale dell’intervista

 

 

Siria: cristiani denunciano il complotto contro il Paese

[Link fonte] DAMASCO – I cristiani della capitale siriana hanno celebrato il Natale nelle varie chiese di Damasco, sottolineando la fedeltà della comunità cristiana all’unità e alla sovranità nazionale rappresentate dalla leadership del Paese. Presso la Chiesa evangelica il pastore Boutros Zaour ha detto, citato dall’agenzia Sana, che il Paese è nel mirino del peggiore complotto internazionale della sua storia, osservando come la Siria sia oggetto di violente ingerenze esterne. Presso la cattedrale greco melchita il vescovo Joseph al Absi ha lanciato un appello per coordinare gli sforzi a protezione del Paese, elogiando il tributo pagato dalle forze armate nella battaglia. Nella cattedrale S Giorgio, alla messa dei siriaci ortodossi, il patriarca Mar Ignatius Zakka I ha espresso la fiducia che la crisi possa essere superata grazie alla solidarietà e al sacrificio della popolazione.

 

Crisi europea, la Germania maschera il suo deficit reale

[Link fonte] La notizia avrebbe del surreale, se non fosse stata confermata da Eurostat, dalla Facoltà di Scienze Economiche di Friburgo e dalla fondazione berlinese «Marcktwirtschaft» (Economia di mercato): la Germania ha il  in assoluto più voluminoso di tutta Europa. Già la Primavera scorsa Eurostat quantificò il debito pubblico esplicito della Germania in 2080 miliardi di euro: il primo debito dell’eurozona a sfondare la soglia dei 2000 miliardi….

Ma la situazione è ben più grave e pericolosa: se è vero, infatti, che il debito pubblico esplicito tedesco ammonta al 85,8% rispetto al , il debito implicito arriva al 111,8%, portando il divario di sostenibilità ad un inaudito 197,6 %. Ne consegue che il fabbisogno di consolidamento tedesco arriva al 4% netto all’anno. Ma che cosa intendiamo per debito implicito e debito esplicito? Il primo rappresenta il bilancio dello Stato e degli enti periferici, il secondo la spesa per previdenza, sanità, assistenza sociale. Parlando di cifre reali ai 2080 miliardi di cui sopra se ne devono sommare almeno altri 5000 per avere una fotografia chiara dello stato effettivo del deficit tedesco: oltre 7000 miliardi di debito reale. Una cifra che pone la Germania sull’orlo del collasso nonostante la sua tanto decantata virtuosità.

Ma come è possibile che la spesa assistenziale e previdenziale raggiunga una tale spropositata entità? E’ necessario sfatare un mito (l’ennesimo, a dir la verità…): il welfare tedesco, tanto ammirato anche e soprattutto dai tecno-europeisti italiani, è tutt’altro che efficiente. Fa acqua da tutte le parti, anzi. Una distinzione preliminare innanzitutto: quella che noi in Italia chiamiamo «pensione» in Germania si divide in due ben distinte categorie, ovvero «Pensionen» e «Renen». La prima, più assimilabile alla nostra pensione, è destinata solo ed esclusivamente agli ex dipendenti pubblici e risulta particolarmente cospicua: 103.700 fruitori (circa il 15,82% dei beneficiati) percepisce oltre i 3500 Euro mensili, seguiti in percentuale dagli oltre 90.000 che percepiscono circa 2700 euro mensili e dai 77.000 (11,75%) che arrivano ai 2250 euro al mese. In coda abbiamo 9600 ex pubblici dipendenti (appena l’1,46%) che arrivano ai 1000 euro mensili. Complessivamente i fortunati «Pensionare» tedeschi sono circa 650.000. Discorso assai diverso per i «Rentner», ovvero i fruitori di trattamento previdenziale generico: il 46% di questi ultimi infatti non arriva a percepire 700 euro mensili. L’8,37% (1.139.178 individui per la precisione) prende meno di 150 euro al mese (!!!). I «Rentner» più fortunati, appena 26.545 (lo 0,20%) arrivano a circa 2100 euro al mese.

Ora, va da sé che non è immaginabile vivere in un Paese come la Germania, ove il costo medio della vita è molto alto, con cifre esigue al limite del ridicolo (o, meglio, del tragico…), quindi come fanno a campare i poveri (per davvero!) pensionati tedeschi? Semplice: subentra l’assistenzialismo di Stato che integra le magrissime entrate dei «Rentner» al fine di garantire loro la sussistenza e nulla di più. Questo consente al governo di mascherare una spesa corrente effettiva allucinante (circa 5000 miliardi, appunto) come uscita formalmente non incidente sul debito pubblico esplicito dello Stato: una vera e propria cosmesi di bilancio finalizzata a simulare l’adempimento pieno ai parametri di Maastricht. Parametri peraltro ideati e organizzati dalla Germania stessa e che a tutt’oggi non prevedono la valutazione del divario di sostenibilità complessivo (debito esplicito+debito implicito) al fine della valutazione di congruità del bilancio di un paese, ma prendono in esame, guarda caso, solo il debito implicito.

Ecco come si spiegano la rigidità e il granitico immobilismo della Cancelliera Merkel riguardo a tutte quelle iniziative, ispirate a profonda ragionevolezza ed elementare buon senso economico, che bisognerebbe porre in essere per fare attivamente fronte alla crisi, dal rendere la Bce prestatore di ultima istanza (quindi garante dei debiti sovrani) all’emissione di Eurobond che garantiscano rendimenti se non da Lotteria Italia almeno moderatamente proficui.

L’apparente severità da parte di Angela Merkel nei confronti degli altri Stati dell’Eurozona, Italia in primis, non è determinata pertanto dal disdoro, tipicamente luterano, nei confronti di coloro che non hanno svolto il proprio dovere, quanto più da una situazione di oggettiva sofferenza economica in cui la (ex?) «locomotiva d’Europa» versa. Sofferenza che non trova certo giovamento nella serie di manovre economiche che, anziché contenere il debito pubblico, lo hanno ulteriormente espanso: ad esempio la manovra finanziaria tedesca per il 2012, approvata pochi giorni fa, aumenta il debito pubblico da 20 a 26 miliardi di euro, prevedendo tra le altre cose un cospicuo aumento di 600 Euro mensili per le ricche pensioni degli alti burocrati di Stato (fonte: Bild Zeitung). Una mossa certamente poco popolare che contribuisce ulteriormente a spiegare la serie infinita di debacle elettorali che il partito della Merkel ha sistematicamente subito durante gli ultimi anni.

Questo detto, sulla base della valutazione del debito reale, come sta l’Italia? Ebbene, non ci crederete, ma gli stessi organi che hanno evidenziato lo stato di sofferenza della Germania indicano nell’Italia il paese più virtuoso d’Europa! A fronte di un consistente debito pubblico esplicito del 120%, infatti, il nostro debito implicito ammonta solo al 28%, per un divario di sostenibilità complessivo del 148%, comportando così un fabbisogno di consolidamento al 2,4%, circa il 40% in meno rispetto a quello tedesco. Incredibile a dirsi, siamo il Paese in assoluto più stabile di tutta l’Eurozona. In conclusione, quindi, una domanda prettamente politica che tutti dovremmo porci: a fronte di dati oggettivi sostanzialmente contraddittori rispetto alla vulgata corrente che ci ha conculcato l’immagine di un’Italia destinata al «collasso greco», chi ha realmente tratto giovamento da una rappresentazione del nostro Paese così falsa e distorta?

 

Euro sull’orlo del baratro Paesi e banche già in fuga

[Link fonte] La grande fuga dell’euro è già iniziata. La divisa unica nata per tener testa al dollaro (moneta che conosce un simile declino ma supportata da un sistema di tutele e cuscinetti più efficace), la divisa che fino a un paio di anni fa era il sogno dei Paesi europei tenuti ai margini, pare oggi essersi trasformata in una trappola. Le testimonianze più evidenti, quelle sotto gli occhi di tutti, sono le difficoltà dell’Eurozona e della sua politica, paralizzata dall’immobilismo interessato di Berlino quando si tratta di prendere decisioni che contano. Risultato? Lo spread dei titoli di Stato dei paesi in crisi galoppa e gli stessi paesi – stiamo parlando dell’Italia – sono costretti a sottomettersi a sacrifici difficili da sostenere e, probabilmente, inutili. Ma del fatto che l’euro sia diventata una tagliola piuttosto che un’opportunità paiono essersene accorti anche quegli stati che, fino a ieri, hanno sempre spinto per entrare nel magico mondo della moneta unica.

Lo scetticismo dell’est – Per prima la Polonia, dove secondo recenti sondaggi quasi i tre quarti della popolazione sono contrari dell’abbandono dello zloty, la moneta di Varsavia. La politica, incarnata dal premier liberale Donald Tusk, europeista convinto, è costretta ad ascoltare il popolo, anche se la Polonia da tempo attua un piano di rigore intransigente per poter entrare nell’euro. Quindi la Repubblica Ceca, dove 70 cittadini su 100 sono contrari all’addio alla corona. Il premier Petr Necas ha chiarito che l’ingresso in eurolandia non è tra i punti del suo programma (il suo mandato scade nel 2014). E ancora la Bulgaria, che avrebbe tutte le carte in regola per entrare nell’euro già dal prossimo anno; il governo però fa sapere di non essere attratto dalle sirene di Bruxelles. Diversi stati dell’est, che dopo più di 20 anni dalla caduta dell’Urss iniziano a rivedere la luce e ad avere economie floride e dinamiche (non è il caso dell’Unghiera a rischio default), snobbano i cosiddetti ‘grandi’, da cui ora preferiscono prendere le distanze. Fanno eccezione la Lettonia (vuole adottare l’euro nel 2014, ma rispettare i target di inflazione non pare un obiettivo scontato) e la Lituania (che avrebbe già dovuto adottare la moneta unica nel 2007 ma mancò per un soffio gli obiettivi di inflazione). Da segnalare, infine, anche lo scetticismo e i mal di pancia dei paesi dell’est che l’euro lo hanno già adottato, ma non ne vedono i benefici: Estonia, Slovacchia e Slovenia osservano con una punta di rammarico la robusta crescita dei cugini polacchi, che senza euro riescono a galoppare.

Vecchi sistema di cambio – Ma a mostrare incertezze circa la tenuta della moneta unica non sono soltanto le nazioni che si sfilano ancor prima di entrarvi, ma anche il mondo delle banche che si prepara al collasso del sistema e al ritorno alle vecchie divise. Il caso più recente in ordine cronologico è quello segnalato dal Wall Street Journal, che ha riferito di almeno due istituti impegnati a riattivare il sistema di cambio basato sulla dracma, l’escudo e la nostra vecchia lira (le tre vecchie monete dei tre Paesi più a rischio, rispettivamente Grecia, Portogallo e Italia). Tecnicamente le banche hanno contattato Swift, il consorzio con sede in Belgio che gestisce la più grossa fetta di transazioni finanziarie internazionali, per chiedere se i codici delle vecchie divise siano ancora attivi o quantomento utilizzabili in caso di emergenza. Se le banche riceveranno una risposta positiva da Swift potrebbero immediatamente lavorare a un sistema di cambio alternativo a quello dell’euro in grado di entrare a regime con solerzia nel caso in cui i Paesi in questione collassassero. Per inciso Swift ha evitato di fornire risposte (almeno risposte pubbliche) per evitare le devastanti conseguenze speculative che potrebbero seguire una fuga di notizie.

Assalto Usa alle banche europee – La paura del crollo dell’euro è arrivata anche nella Gran Bretagna che si è sfilata dal sistema fiscale comunitario, nel Regno Unito isolato dalla cosiddetta Ue a 26 e con il dente avvelenato nei confronti di Bruxelles e della Bce. Dal Foreign Office di Londra, giorni fa, sono infatti trapelate indiscrezioni sull’esistenza di veri e propri piani di evacauzione dei cittadini britannici da Spagna e Portogallo in caso di collasso dei due Paesi. Dal ministero degli Esteri non sono arrivate nè conferme nè smentite: il dicastero si è limitato a sottolineare come sia dovere delle istituzioni essere pronti a qualsiasi eventualità. In un quadro a tinte fosche (qualche settimana fa l’indiscrezione relativa alla Germania intenta a stampare marchi in Svizzera) si aggiungono poi le notizie riportate dal New York Times, che riferisce di un vero e proprio assalto degli Stati Uniti alle banche europee. Istituti, compagnie assicurative e fondi a stelle e strisce vedono nei big europei una colossale occasione per fare shopping: le banche e le istituzioni del Vecchio Continente, infatti, per soddisfare le richieste della Bce dovranno disfarsi di asset per 3mila miliardi di euro. E’ scattata così la corsa ai saldi europei da parte dei colossi americani che hanno cominciato a spartirsi il bottino: chi ha soldi e liquidità può ancora permettersi di fare acquisti.

 

Avviso agli Usa: Cina e Giappone abbandonano il dollaro

[Link fonte] Giornali e Tg non ne parlano, ma per gli ambienti finanziari globali è la notizia-bomba di queste festività natalizie: la seconda e la terza economia mondiale, Cina e Giappone, hanno siglato un accordo che prevede l’abbandono del dollaro americano come valuta utilizzata negli scambi commerciali tra le due nazioni asiatiche, consentendo quindi un interscambio direttamente in yen e yuan. Finora, circa il 60 per cento degli scambi commerciali tra Cina e Giappone vengono regolati in dollari. L’intesa, siglata lunedì a Pechino al termine dell’incontro tra il premier cinese Wen Jiabao e il primo ministro giapponese Yoshihiko Noda, è un chiaro segnale di sfiducia delle due potenze economiche asiatiche nei confronti della travagliata area euro-dollaro.

Questa mossa, spiega Enrico Piovesana sull’edizione online di “E”, il periodico di Emergency, viene interpretata dagli economisti come il primo Wen Jiabao e Yoshihiko Nodapasso concreto del governo di Pechino per far diventare la moneta cinese, lo yuan (o renminbi), una valuta di riserva globale sostitutiva al dollaro. Cosa attualmente non ancora possibile, vista la non completa convertibilità della valuta cinese. Per il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, il patto Cina-Giappone rappresenta una sfida che evidenzia l’importanza di una «Europa unita e di una moneta comune che ci dà buone chanches di perseguire i nostri interessi e l’opportunità di realizzarli a livello mondiale».

Come riportato da Bloomberg, «Giappone e Cina promuoveranno scambi diretti di yen e yuan senza usare il dollaro e incoraggeranno lo sviluppo di un mercato dei cambi, per tagliare i costi per le aziende». Secondo il governo di Tokyo, il Giappone effettuerà acquisti di obbligazioni cinesi già dal prossimo anno: vista l’enorme dimensione del volume degli scambi tra le due più grandi economie asiatiche, «questo accordo è molto più significativo di qualsiasi altro patto che la Cina ha firmato con altre nazioni», ha detto Ren Xianfang, un economista di Ihs Global Insight Ltd. E il ministro delle finanze Jun Azumi ha affermato il 20 dicembre che gli acquisti di obbligazioni cinesi avranno un effetto positivo sul Giappone perché aiuterà il paese a rivelare più informazioni sui mercati finanziari della Cina, che è «la detentrice della maggior quantità di riserve monetarie al mondo».

Quindi, conclude “Zero Hedge” in un intervento su “Megachip”, mentre gli Stati Uniti e l’Europa bisticciano su chi si dovrà muovere per primo a salvare l’altro, i giganti dell’economia reale – quella in piena tumultuosa crescita – hanno deciso di allontanarsi gradualmente da «quel buco del debito senza fondo» che ormai è diventato il mondo occidentale “sviluppato”. «Tutto quello che dovrà avvenire – aggiunge “Zero Hedge” – è che Russia e India si uniscano a questa intesa». La globalizzazione sembra dunque procedere per la sua strada, «ma senza Stati Uniti ed Europa».

 

Obama firma legge su difesa. Addio allo stato di diritto negli Usa

[Link fonte] WASHINGTON – Il presidente Usa Barack Obama ha firmato un incredibile legge che trasferisce all’esercito ogni competenza in materia di persecuzione del terrorismo e prevede la possibilità di imprigionare i sospetti terroristi a tempo indeterminato e senza processo.

Il progetto di legge sulla Difesa ( National Defense Authorization Act) da 662 miliardi di dollari, approvato dal Senato lo scorso 15 dicembre, nega ai cittadini statunitensi i loro diritti costituzionali chiudendo la lunga storia dello Stato di diritto negli Stati Uniti.

Il piano prevede finanziamenti per il personale e l’arsenale dell’esercito, ma anche aiuti al Pakistan e sanzioni alla Banca Centrale iraniana. Non solo. Permette anche la detenzione di sospetti terroristi a tempo indeterminato, negando il diritto al processo.

La norma, contenuta nel pacchetto sui nuovi finanziamenti al Dipartimento della Difesa, rischia di porre quello che un tempo veniva chiamato il Paese dei diritti e delle libertà, dove il diritto ad un processo, anche se farsesco e manipolato, è sempre garantito dalle leggi.

Certo, esistono molti Paesi dove lo Stato imprigiona, tortura, uccide per poi nascondere i suoi crimini. Ma in nessuno di essi esiste un sostanziale ergastolo senza processo come quello approvato dal Senato e firmato dal presidente degli Usa.

Basterà il sospetto, senza la necessità di una decisione del giudice, senza valutazione delle prove, senza diritto di difesa. Barack Obama, colui al quale fu improvvidamente assegnato un nobel per la pace, pur avendone il potere, non ha posto il veto alla nuova legge.

Con la nuova legge, la competenza a perseguire i sospetti terroristi passerà interamente nelle mani dei militari, con un sostanziale esautoramento delle funzioni dell’FBI.

La nuova legge rappresenta anche la concretizzazione del sogno di Bin Laden, trasformare l’America in un Paese che rinnega il meglio della sua storia e tradisce le sue comunque parziali conquiste di civiltà.

Ma c’è chi è già pronto a giustificare nuovamente il Presidente: la norma è stata inserita dalla maggioranza repubblicana in Senato nel pacchetto di finanziamento della Difesa. L’esercizio del diritto di veto toccherebbe l’intero pacchetto mettendo a rischio il budget della Difesa statunitense. Tra compromettere il funzionamento della Difesa e salvaguardare i diritti dei sospetti terroristi, Obama non poteva che scegliere il male minore.

Obama sosterrà di non aver avuto altra scelta e di essere pronto a impegnarsi per convincere il Congresso ad abolire queste nuove norme non appena possibile.

Un’altra menzogna, perché ci sarebbe stato comunque il tempo per il Senato per approvare nuovamente il pacchetto di misure dopo il veto presidenziale e perché sarà impossibile fare un passa indietro con questa maggioranza parlamentare repubblicana e con le elezioni presidenziali alle porte.

Ma in fondo, alle prossime elezioni presidenziali gli americani avranno la scelta tra lui ed un rivale repubblicano probabilmente ancora meno affidabile. In fondo un Presidente democratico che si sposta a destra è storicamente destinato alla rielezione, anche se una legge come questa difficilmente potrebbe definirsi semplicemente di destra senza offendere una tradizione fatta anche di grandi Presidenti ben piu’ rispettosi della libertà individuale di quanto si sia dimostrato Barack Obama.

Il Presidente Obama, l’uomo che aveva promesso di chiudere Guantanamo, ha permesso che quella prigione illegale divenisse un insulto permanente alla storia americana.

I media americani stanno affrontando con un basso profilo l’incredibile legge, preferendo dedicarsi alle Primarie repubblicane, alla crisi economica ed ai soliti scandaletti politici. Le testate cosiddette liberal preferiscono eludere l’argomento, ma la polemica infuria su blog e social network dove si ricorda che la misura contrasta clamorosamente con quinto e sesto emendamento della Costituzione americana.

 

In Grecia gli scolari svengono per la fame

[Link fonte] La Grecia è in piena recessione: povertà, lotta quotidiana per la sopravvivenza e disperazione. Secondo i dati della Confederazione nazionale del commercio ellenico le famiglie greche stanno vivendo una situazione che appena qualche mese fa sembrava impensabile: ben nove greci su dieci hanno abolito le spese per il vestiario e per le calzature, otto su dieci le spese per i divertimenti e addirittura un cittadino su quattro dichiara che gli non bastano i soldi per l’acquisto di generi di prima necessità.Soltanto un greco su quattro cerca di risparmiare per paura della situazione economica incerta.

Mentre sempre un cittadino su quattro vive al di sotto della soglia di povertà, uno al limite della stessa soglia e due su quattro fanno ricorso ai loro risparmi per vivere. In ogni caso, secondo la Confederazione, ciò significa che sul mercato manca la liquidità che può condure alla sparizione della piccola e media imprenditoria.

Senza reddito e alla fame: bimbi denutriti

Più di 400 mila nuclei familiari, secondo l’Istituto nazionale di statistica Elstat, sono rimasti senza alcun reddito perché nessuno dei componenti lavora più, mentre oltre 60 mila famiglie hanno fatto ricorso al tribunale chiedendo la regolamentazione dei loro debiti perché sostengono di non essere più in grado di pagarli nemmeno a rate. Il numero degli indigenti che usufruiscono delle mense comuni allestite dalla Chiesa ortodossa greca è aumentato ultimamente di 20 mila unità, come ha rivelato Maria Iliopoulou, direttrice del brefotrofio di Atene.

Parlando con il sito online Newsit.gr, la donna ha affermato che nelle ultime settimane “sono stati registrati circa 200 casi di neonati denutriti perché i loro genitori non sono in grado di alimentarli come si deve”, mentre gli insegnanti delle scuole intorno all’istituto da lei diretto fanno la fila per prendere un piatto di cibo per i loro alunni che non hanno da mangiare. Anche i maestri delle scuole elementari del Comune di Atene, sostiene Iliopoulou, ”ci chiedono i pasti per i loro scolari che non hanno da mangiare, mentre in molte scuole la situazione è ancor più drammatica poiché alcuni bambini sono svenuti in classe in quanto denutriti.

L’Associazione insegnanti di Scuole elementari di Atene, circa la situazione in cui versano molti alunni delle scuole della capitale a causa della difficile situazione economica dei genitori, ha denunciato il caso di un padre che si è tolto la vita in quanto non era più in grado di far crescere i suoi tre figli. Il ministero della Pubblica Istruzione, che in un primo momento aveva definito la denuncia come “propaganda”, si è visto costretto a riconoscere la gravità del problema. E così ha deciso di distribuire agli alunni delle famiglie meno abbienti buoni pasto con cui al mattino possono acquistare la colazione dal refettorio delle scuole.

Persone che non hanno più una casa

Come hanno detto alcuni insegnanti al quotidiano To Vima, il problema di denutrizione esiste e viene individuato più facilmente nelle scuole a pieno tempo: “Molti ragazzi vengono in classe senza il pranzo e dicono di averlo dimenticato a casa perché si vergognano di dire la verità”. E non mancano nemmeno i casi di pazienti che, dopo essere guariti, non vogliono lasciare l’ospedale visto che non hanno dove andare a dormire.

Autore: Nadine Federici / Fonte: futurolibero.it

 

L’Iran sfida il mondo, pronto il lancio di nuovi missili

[Link fonte] Teheran – L’Iran ha effettuato con successo il lancio di prova di un missile balistico a lungo raggio nel corso delle esercitazioni navali che sta compiendo nel Golfo Persico: lo ha dichiarato l’agenzia ufficiale iraniana Irna.

“Abbiamo collaudato un missile terra-mare chiamato Qader, che è riuscito con successo a distruggere bersagli predeterminati nel Golfo” Persico, ha scritto l’Irna citando il portavoce delle manovre navali iraniane, l’ammiraglio Mahmud Mussavi.

Poche ore prima Mussavi aveva annunciato il lancio di prova del Qader (Capace) e di un altro missile balistico a lungo raggio, il Nour. Il collaudo era già stato annunciato e poi smentito due giorni fa.

Ma non finisce qui. La Marina militare iraniana testerà infatti oggi due nuovi missili a media gittata (200 km) e un missile a breve gittata nell’ultimo giorno delle sue manovre navali nella regione dello stretto di Hormuz, dove transita il 35% del traffico petrolifero marittimo mondiale.

“Oggi proveremo per la prima volta un missile terra-mare Ghader, un missile a breve gittata Nasr e un missile terra-terra Nour”, ha dichiarato l’ammiraglio Mahmud Mussavi, portavoce delle manovre militari iraniane, ha riferito l’agenzia Isna.

“Ghader è un sistema di missile ultramoderno con un radar integrato, ultra-preciso, la cui gittata e il sistema intelligente anti-individuazione sono stati migliorati rispetto alle generazioni precedenti”, ha spiegato il portavoce.

Con una gittata di 200 chilometri, il Ghader è presentato come “un missile da crociera” di fabbricazione interamente iraniana. “Il sistema ultramoderno Nour è stato migliorato nel dispositivo anti-radar e in quello per l’individuazione dell’obiettivo da colpire”, ha sottolineato Mussavi.

CONTINUA SFIDA TEHERAN MALGRADO NUOVE SANZIONI USA – Sono ormai quotidiane le novità nel braccio di ferro tra l’Iran e l’Occidente capeggiato dagli Stati Uniti. Ma oggi (ieri, ndr), dopo l’annuncio delle nuove sanzioni economiche di Washington, Teheran ha messo sul piatto non solo parole ma anche fatti. Senza conseguenze immediate, è vero, ma certamente tali da creare ulteriori tensioni e preoccupazioni.

Due le ‘sfide’ di cui la Repubblica islamica d’Iran ha dato notizia: il lancio di un missile a media gittata vicino allo strategico stretto di Hormuz e l’utilizzo, per alimentare il reattore di ricerca nucleare di Teheran, di una barra di uranio per la prima volta arricchito proprio in Iran. Una dimostrazione di forza fatta nel momento in cui i Paesi occidentali accentuano la pressione sul Paese degli ayatollah, accusato – malgrado le continue smentite – di voler fabbricare la bomba atomica usando il pretesto di un programma nucleare con finalità civili.

Il missile terra-aria a media gittata è stato lanciato stamane – ha fatto sapere l’agenzia ufficiale Irna – durante le manovre navali in corso da nove giorni intorno allo stretto di Hormuz, canale che collega il Golfo Persico al Mare Arabico (vi transita quasi il 40% del traffico marittimo mondiale di petrolio) e che Teheran ha minacciato di bloccare in caso di nuove sanzioni.

Il missile “ideato e costruito” in Iran – ha spiegato il portavoce delle manovre navali Mahmoud Mousavi – “é dotato della più recente tecnologia volta a colpire obiettivi ‘invisibili’ e sistemi intelligenti che provano a interromperne la traiettoria”.

Le manovre navali si concluderanno domani, ha aggiunto Mousavi, con un’esercitazione destinata a testare la capacità iraniana di chiudere lo stretto: “Gran parte delle nostre unità navali si posizionerà in modo tale da rendere impossibile, se Teheran lo riterrà necessario, il transito a qualunque nave”.

Gli Usa hanno già definito “irrazionale” un’ipotesi di questo genere la cui attuazione, hanno minacciato, “non sarà tollerata”. La seconda sfida iraniana è stata resa nota nel pomeriggio (di ieri, ndr): l’Agenzia iraniana dell’energia atomica ha comunicato di aver “introdotto nel cuore del reattore di ricerca nucleare di Teheran per verificarne il buon funzionamento” una barra di combustibile nucleare per la prima volta prodotto in Iran. Il test “ha avuto successo”.

Proprio ieri sera il presidente americano Barack Obama aveva promulgato una legge che rafforza le sanzioni finanziarie contro l’Iran, soprattutto contro la Banca Centrale. L’effetto immediato è stato il crollo del valore del rial: il tasso ufficiale di cambio con il dollaro è passato da 11.000 a 16.000 rial.

Il presidente Mahmoud Ahmadinejad è stato costretto a una dichiarazione pubblica. La Banca centrale iraniana reagirà “con forza”, ha detto. Può fronteggiare, ha aggiunto il presidente “le pressioni dei nemici” e “deve, con forza e fiducia, essere talmente solida da vanificare tutti i complotti nemici”.

Sullo stesso tema la notte scorsa il generale Hossein Salami aveva già tuonato: “Se gli interessi vitali del nostro Paese saranno minacciati dal nemico, noi risponderemo su vari fronti”. Mentre il presidente della Camera di commercio iraniana Mohammad Nahavandian ha fatto notare che sanzioni “senza precedenti e ingiustificate” provocheranno “perdite reciproche”. Aumento del prezzo del petrolio, in primis.

Fonte: http://www.stampalibera.com/?p=38375

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