All’ONU la parola droga fa rima con crimine. Per questa ragione nel 1997 è stata creata UNODC, una nuova Agenzia Specializzata nata dalla fusione tra il Programma internazionale delle Nazioni Unite per il controllo della droga e il Centro per la prevenzione del crimine. A 20 anni di distanza dalla sua creazione le azioni svolte dall’organizzazione, finanziata per il 90% in maniera volontaria dagli Stati membri, si sono arricchite di accordi e nuove normative internazionali oltre che essersi sviluppate in una fitta rete di sedi attraverso le quali monitorare i traffici illeciti. Un altro tema, soprattutto all’indomani degli accadimenti dell’11 settembre (2001), si è aggiunto di fatto tra i capisaldi di intervento dell’UNODC: il terrorismo.
Il nesso tra i proventi della vendita della droga e il finanziamento di gruppi terroristici è stato ben evidenziato dal monitoraggio dell’Afghanistan, al centro delle reti di Al Qaeda che, con lo scarso controllo del territorio da parte della governance locale e il divampare del caldo conflitto interno, nell’ultimo decennio ha potenziato i suoi traffici internazionali. Solo qualche numero per dare un’idea. Dopo la decisione governativa di abbandonare la politica di eradicazione dell’oppio, in vigore anche quando i talebani erano al potere negli anni Novanta, in Afghanistan lo scorso anno i coltivatori hanno prodotto 18 Kg di oppio all’ettaro; un raccolto che, secondo l’UNODC, ha fruttato circa 200 dollari al chilo e che è apparsa comprensibilmente ben più proficua della coltura del fagiolo, ugualmente prodotto nel Paese ma pagato appena 1 dollaro al chilo. Una ragione più che comprensibile della volontà degli agricoltori locali di produrre oppio come altrettanto facile è capire la logica che ha indotto il governo a interrompere la lotta contro lo stupefacente così da ottenere il supporto popolare e maggior coesione nazionale. Di fatto negli anni della missione NATO in Afghanistan, dal 2002 al 2014, la produzione di oppio è cresciuta e da quando le forze multilaterali hanno lasciato il territorio essa ha raggiunto numeri “eccezionali” con circa 209mila di ettari coltivati: oggi l’Afghanistan sta rispondendo al 90% del fabbisogno mondiale degli oppiacei illeciti. Un giro di affari che è sfruttato generosamente anche per finanziare il terrorismo internazionale ma che, come detto, non è disdegnato neanche dallo Stato dato che l’oppio risulta il principale prodotto esportato da Kabul all’estero.
Un traffico definito “sconcertante” dallo stesso Direttore Esecutivo dell’UNODC, il russo Yury Fedotov, dinanzi ai ministri, ambasciatori ed esperti dell’Asia centrale intervenuti alla Conferenza internazionale tenutasi lo scorso 27 febbraio a Teheran sulla cooperazione contro il traffico illecito di droghe e la criminalità organizzata ad essa connessa. I numeri presentati in tale occasione da Fedotov raccontano che l’oppio che prende la rotta dei Balcani porta ai trafficanti afghani proventi per 28 miliardi di dollari, una cifra che non solo ha superato il prodotto interno lordo dell’Afghanistan ma che costituisce solamente una delle tre principali rotte per l’esportazione degli oppiacei fuori dal Paese. Le altrettanto impressionanti cifre dell’ampliamento della produzione e dell’aumento del suo rendimento hanno indotto UNODC a rafforzare il coordinamento con i partner regionali e internazionali per costruire una maggiore cooperazione contro la criminalità transnazionale e il terrorismo. Conosciuto come “il sistema unico coordinato dall’UNODC per l’Europa e l’Asia centrale e occidentale”, le sue attività includono azioni tanto in Afghanistan quanto nei Paesi limitrofi, in Iran e Pakistan in particolare, per condividere informazioni e buone pratiche in materia di applicazione della legge, e condurre operazioni congiunte contro i trafficanti. Nota dolente resta non tanto la condivisione dell’azione politica, affidata al documento finale della Sessione speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dello scorso aprile sul problema mondiale della droga (UNGASS 2016), quanto il supporto finanziario ai processi decisi, su cui Fedotov non ha mancato di esprimere viva preoccupazione.
In ogni modo è stata espressa una generale soddisfazione per gli esiti della conferenza, indetta dal Ministro dell’interno dell’Iran Ardolreza Rahmani Fazli, e quest’ultimo non ha mancato di mettere a disposizione il proprio Paese per organizzare analoghi incontri internazionali sul tema della lotta al narcotraffico. Un riconoscimento agli sforzi compiuti dall’Iran è venuto dallo stesso direttore dell’UNODC, che ha ricordato che “circa il 75 per cento dei sequestri di narcotici al mondo sono compiuti dall’Iran” e che tale consapevolezza non può che indurre a un necessario rafforzamento della cooperazione nel settore, nell’ottica di potenziare la sua efficacia. Già nel dicembre 2015 Iran e UNODC hanno firmato un accordo di cooperazione in materia di lotta contro il traffico di droga e, in base alle ultime indiscrezioni, sembra che le parti nei prossimi mesi finalizzeranno un ulteriore piano quinquennale di coordinamento che garantirebbe a Teheran attrezzature necessarie a un miglioramento della sua campagna anti-narcotici. Attrezzature che però cadrebbero sotto la scure delle sanzioni occidentali verso l’Iran e che dunque l’UNODC dovrà autorizzare con ampi giustificativi che vadano al di là della necessaria lotta al crimine organizzato e al traffico di droga.
Miriam Rossi per Unimondo