di Rodrigo A. Rivas

Barack Obama ha il merito di aver segnato un prima e un dopo sul terreno simbolico: un nero può arrivare alla presidenza di un paese pur così diseguale ed elitista come gli USA. Ma la mancanza di qualsiasi cambiamento strutturale ha propiziato il ritorno al passato: il nuovo presidente è bianco, autoreferenziale, razzista, ignorante e misogino.

Obama è stato soprattutto un prodotto di marketing. Ha ingannato gli statunitensi e il mondo con falsi impegni di smilitarizzazione e difesa delle libertà ma ha moltiplicato le guerre già aperte all’inizio del suo mandato e promulgato una legislazione nefasta per i ceti più sfavoriti della sua popolazione. Le piccole luci (l’Obamacare, il ristabilimento dei rapporti diplomátici con Cuba, l’accordo nucleare con l’Iran e poco più), non possono nascondere il suo colossale fallimento.

Nel 2008, aveva promesso di porre fine alle guerre di occupazione allora aperte, di chiudere il centro di tortura di Guantanamo, di rendere più trasparente l’Amministrazione, di difendere le libertà civili, di proteggere i truffati da Wall Street, di approvare una riforma sanitaria, una riforma migratoria e una riforma finanziaria, di aprire il paese alle culture del mondo, di mettere fine alla violenza razziale, alle disuguaglianze sociali e alle violazioni delle libertà e dei diritti fondamentali da parte dello Stato.

Nella realtà, in campo economico e sociale Obama non si è allontanato una virgola  dai dogmi neoliberali. Basterà ricordare che ha regalato ai banchieri oltre 900 miliardi di dollari per salvarli dalla crisi da loro stessi provocata nel 2007-2008.

Nella realtà, ha iniziato o continuato 7 guerre, distrutto la Libia, la Siria ed altri paesi del Medio Oriente, espanso la NATO (basi militari incluse) negli ex satelliti sovietici e organizzato un colpo di Stato in Ucraina per accerchiare la Russia, oltre a centinaia di carri armati e blindati oggi molto vicine ai confini russi. Ha dichiarato di voler ristabilire i rapporti con Cuba, ma ha mantenuto il blocco commerciale e non ha chiuso il lager di Guantanamo. Ha segnato il record di espulsioni di immigranti (circa 3 milioni, tanti come ne promette Trump) e le sue politiche hanno accentuato ulteriormente le terribili disuguaglianze tra ricchi e poveri.
Sulla questione israelo-palestinese scrive Nazanín Armanian: “Obama è il Presidente degli USA che ha dato più appoggio diplomatico, economico e militare al regime israeliano. Ha messo il veto a 2 risoluzioni nel 2011 e nel 2013 che condannavano le occupazioni illegali, ha rifiutato il riconoscimento dello Stato palestinese e, senza arrossire, ha spalleggiato la brutale aggressione a Gaza nel 2014 premiando Israele con oltre 40.000 milioni di dollari di aiuti militari mentre ammoniva i palestinesi, sulle cui teste piovevano le bombe: comportatevi civilmente se volete che abbiano inizio le trattative di pace” (“Israel, la resolución 2334 y la última burla de Obama a los palestinos”, inpublico.es, 28/12/2016). Sottoscrivo.

Perché sui grandi assi della politica estera statunitense Obama non ha lasciato alcuna eredità rilevante né nulla modificato, gli USA continuano a vivere in uno stato di guerra permanente. Nella campagna dei droni e nella guerra in corso contro l’ISIS ha trasformato una precedente risoluzione del Congresso contro Al-Qaida ed i talebani in un assegno in bianco per la guerra senza limiti. Ricorrendo al manuale universale dell’ipocrisia e dell’infamia, dichiarava: “A volte, per ottenere ciò che vogliamo siamo costretti a forzare la volontà di alcuni paesi”. Cotanti meriti pacifisti sono stati completati dichiarando il Venezuela “una minaccia per la nostra sicurezza nazionale”, spingendo e appoggiando i cosiddetti colpi di Stato incruenti (o poco cruenti) in Paraguay e Honduras, il rovesciamento della ex Presidenta del Brasile Dilma Rousseff e le campagne denigratorie contro l’ex Presidente Lula e la ex Presidenta dell’Argentina, Cristina Fernández.

Nel contempo, per non farsi mancare nulla gli spioni dell’Agenzia di sicurezza nazionale (“l’intelligence”, secondo i pudibondi giornalisti nostrani), hanno moltiplicato le campagne di spionaggio, anche riguardo i leader di”paesi amici” come la cancelliera Merkel, confermando, con l’elenco di assassinati decisi ogni martedì alla Casa Bianca, di presiedere un’Amministrazione opaca, indecente e corrotta.

Nel contempo, per non farsi mancare nulla sono lievitati i salari degli alti manager, i ricchi diventati più ricchi (per evitare rischi, lì ha diminuito loro le tasse), ed i poveri più poveri (lì ha pure tagliato gli aiuti sociali). L’Obamacare, sul quale coccodrilli televisivi versano lacrimucce, è stato piegato agli interessi delle grandi aziende mediche e farmaceutiche. Sull’ambiente non sono state approvate le misure di protezione promesse né garantita la salvaguardia dei pochi territori rimasti alle popolazioni originarie. Per fortuna, non è riuscito a concludere il Trattato di Libero Commercio con l’Unione Europea (TTIP), né a consolidare quello con i paesi del Pacifico (TTP).

Obama ha chiuso come l’ennesimo Presidente di un lungo elenco caratterizzato dalla ripetitività di politiche manicomiali, dagli stessi dogmi, della stessa retorica. E se Clinton si era distinto per gli abusi e Bush per la stupidità, per Obama la cifra distintiva è stata la l’ipocrisia.

 

Donald Trump ha il merito della brutale franchezza casareccia di un John Wayne di “noi artri”. Le sue nomine e la prima settimana di governo dimostrano che il 95% delle politiche del suo primo anno di governo saranno assolutamente terribili, anche peggio di quanto si temeva, rivoluzionarie nel senso di tese a modificare stabilmente in profondità la situazione preesistente. Essendo cronaca odierna, mi limito a qualche cenno sulle conseguenze prevedibili della sua vittoria sia negli USA, sia riguardo alla potenza statunitense nei confronti del resto del mondo.

A livello interno, qualunque sia il criterio di misura, gli USA si spostano significativamente a destra. I repubblicani hanno ottenuto il controllo della presidenza, dei 2 rami del congresso e della Corte Suprema. E pur se i democratici riuscissero a riguadagnare il senato e persino la presidenza tra 4 od 8 anni, i repubblicani manterranno la maggioranza della Corte suprema molto più a lungo. Passata la prima settimana di governo, le posizioni di Trump e dello establishment repubblicano sembrano essersi ravvicinate. Intendono distruggere Medicaid e Medicare, adottare una riforma fiscale per beneficiare ulteriormente i ricchi e ricacciare indietro il liberalismo sociale (aborto e matrimonio gay ad esempio).

A livello esterno Trump ha invece molto meno potere. Lo slogan “America first”, come più volte esplicitato durante la campagna elettorale, significa costringere gli altri paesi a rispettare (e cioè ad obbedire) gli USA. L’allusione era ad un passato in cui gli Stati Uniti effettivamente potevano farsi obbedire. Lo scopo, secondo Trump, à ricuperare quella grandezza.

Il problema è che né lui né nessun altro presidente può fare granché riguardo l’avanzata decadenza della ex potenza egemonica. Gli USA hanno sì dominato il pollaio tra il 1945 e il 1970 circa, ma poi la loro capacità di comandare a bacchetta gli altri è diminuita. Essendo la loro decadenza strutturale, non può essere risolta con l’attività di qualsiasi presidente. Ovviamente, gli USA sono sempre una forza militare incredibilmente potente. Se la utilizzano male, possono fare molto danno. Obama era sensibile riguardo a questi danni potenziali che potrebbero essere stati all’origine di molti suoi dubbi in politica estera. Trump ne è invece un portatore pericoloso e forse incosciente.

Ma pur potendo provocare molti danni, costringere il mondo a fare ciò che il governo statunitense definisce adeguato supera il potere attuale degli USA. Nessuno, seguirà oggi gli USA se considera che i suoi interessi sono ignorati. Vale per la Cina, la Russia, l’Iran o la Corea del Nord, ma anche per il Giappone e la Corea del Sud, l’India e il Pakistan, l’Arabia Saudita e la Turchia, la Francia e la Germania, la Polonia e gli Stati baltici e persino per gli alleati speciali come Israele, Gran Bretagna e Canada.

Trump non sembra rendersene conto. A breve, si pavoneggerà con vittorie facili, come mettere fine ad accordi commerciali, che userà per provare la saggezza del suo atteggiamento aggressivo. Ma se, ad esempio, prova a fare qualsiasi cosa riguardo la Siria, la sua illusione di onnipotenza verrà delusa. E’ poco probabile che provi a disfare i passi in avanti verso Cuba e forse potrà persino evitare di mandare gambe all’aria l’accordo con l’Iran. La Cina, da parte sua, sembra pensare che può accordarsi meglio con Trump di quanto avrebbe potuto fare con la Clinton.

In definitiva, gli Stati Uniti sono più a destra in un sistema-mondo più caotico, il protezionismo appare come tema principale per quasi tutti i paesi e assisteremo ad una ulteriore stretta economica che subirà la maggior parte della popolazione mondiale. Ergo, la crisi non è finita, né per gli USA né per il sistema-mondo. Anzi, è facile prevedere una intensificazione dello scontro in atto per definire il senso che assumerà il futuro sistema-mondo (o sistemi). Eppur se la sinistra europea non sembra essersene accorta, oltre ai gravi pericoli si aprono anche grandi opportunità Certo, per coglierle bisogna prima esistere.

La cifra distintiva di Trump è il bullismo (ti costruisco un muro e te lo paghi, riporti gli investimenti negli USA o ti aumento i dazi, i paesi NATO paghino di più per gli armamenti o si arrangino da soli, l’ONU si mette in riga o ne chiudiamo la sede)… Con le dovute proporzioni, ricorda il Bossi del “noi ce l’abbiamo duro” e il bombetta del “noi siamo abituati a prendere più del 40% dei voti”.

Gli ubriaconi siamo noi. Come definire diversamente quelli che si sono sentiti raccontare che 8 persone disponevano alla fine del 2016 di una fortuna superiore agli averi di 3.500 milioni di persone senza dire neppure pio? Come chiamare altrimenti quelli che si apprestano a pagare 20 miliardi di euro  per risanare una banca (oltre 100 euro per ogni italiano) senza neppure conoscere i nomi dei pochi ultraricchi  che l’hanno fatta crollare? La nostra cifra è l’ignavia, la mancanza di volontà e di forza morale derivata dall’avere incassato decadi di bugie per comodo vivere, che ci hanno ridotti alla convinzione che la politica consista in votare ogni tanto (anche se da queste parti accadde sempre più di rado) e nell’erigere muri contro i nuovi barbari. Essendo questo il tema che più m’interessa, spero di ritornarci con più calma ma con grande urgenza.

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