In Libia il generale Haftar è stato scacciato dai terminal della “Mezzaluna petrolifera”: le sedicenti “Brigate per la Difesa di Bengasi” (un gruppo di milizie dove si mescolano islamisti, elementi appoggiati dalle Brigate di Misurata e molte ex Petroleum Guards che tenevano quell’area) vicine alla Fratellanza Musulmana, dopo scontri sanguinosi hanno preso il controllo dei 4 porti petroliferi di Nofaliya, Bin Jawad, Ras Lanuf e al-Sidra, scacciando le forze di Haftar.
Il Generale, che non è ancora riuscito a debellare la resistenza dei qaedisti di Ansar al-Sharia nell’area di Bengasi e del Consiglio della Shura dei Mujahidin a Derna, si trova ora in crisi, perché gli è stato tolto il più importante strumento di potere in Libia, ovvero il controllo dell’esportazione di greggio e gas attraverso i terminal di cui s’era impadronito a settembre.
Haftar sta tentando disperatamente di reagire, ma le milizie a lui fedeli, malgrado infarcite di mercenari provenienti dal Chad e dal Sudan, stanno segnando il passo. I pochi di aerei che controlla (3 Mig-23 forniti dalla Russia, 1 Mig-21 e 3 elicotteri pomposamente definiti Aviazione Libica) hanno effettuato 17 sortite in due giorni per appoggiare la riconquista dei porti, ma è un fuoco di paglia perché quei velivoli, già vecchi, privi di pezzi di ricambio e manutenzione, non potranno mantenere un simile ritmo.
Il nocciolo della questione sta nel fatto che l’Aviazione degli Emirati Arabi (presente nell’aeroporto libico di al-Khadim con 6 velivoli d’attacco leggero pilotati da mercenari) e soprattutto quella egiziana, si sono guardate bene dall’intervenire malgrado l’importanza dei terminal caduti in mano a milizie ostili sia al Cairo che ad Abu Dhabi. Come pure sembra che il flusso ininterrotto di aiuti che ha permesso i successi di Haftar sia scemato.
Questa improvvisa inerzia, che ha lasciato solo il Generale dinanzi ai suoi avversari, in realtà è un pesante avvertimento lanciato dai suoi sponsor perché non si monti la testa; una conseguenza diretta del rifiuto di Haftar di partecipare all’incontro organizzato da al-Sisi (con la benedizione della Russia) al Cairo con al-Serraj, il capo del Governo riconosciuto dall’Onu, nel febbraio scorso.
Allora Haftar puntò i piedi, rifiutando ogni accomodamento con Serraj e mandando all’aria i piani di Egitto, Russia e degli altri attori internazionali di trovare un interessato accomodamento alla crisi libica, che fin quando dura impedisce a tutti lo sfruttamento delle risorse del Paese.
È più che probabile, visto l’uomo, che il Generale si sia montata la testa, pensando davvero d’avere in pugno la situazione, ed abbia voluto forzare la mano ai suoi protettori puntando a divenire l’unico padrone della Libia. La sospensione degli aiuti serve a riportarlo ruvidamente alla realtà: Haftar è solo una delle tante marionette del grande gioco per impadronirsi delle risorse libiche, iniziato con la sciagurata avventura franco-inglese del 2011 e che dopo 6 anni continua a martoriare un Paese ormai totalmente distrutto; gli sponsor del Generale hanno voluto avvertirlo che è tutt’altro che indispensabile e che senza di loro non va da nessuna parte.
Il recente viaggio di al-Serraj a Mosca, ormai divenuta crocevia degli equilibri di Mediterraneo e Medio Oriente, sta a dimostrare che i giochi passano assai più in alto della testa di Haftar e, con tutta probabilità, se non s’affretterà ad allinearsi, è già pronto un piano B per sostituirlo.
Niente di nuovo: le ricchezze libiche fanno troppo gola perché rimangano a lungo sotto la sabbia; dei libici, come ampiamente dimostrato, a nessuno importa.
di Salvo Ardizzone