Spartiacque. Un termine usato più volte dall’inizio del conflitto siriano e che forse si userà ancora. Si è parlato a lungo di spartiacque tra le primavere arabe e la rivolta in Siria, tra le manifestazioni nelle strade e l’insurrezione armata, tra l’insurrezione armata e l’ingresso in Siria di al Nusra e dell’Isis.
Molti sono stati gli spartiacque, ogni qual volta che un nuovo attore faceva la sua apparizione nel campo di battaglia siriano. Lo abbiamo detto e scritto più volte, con riferimento all’ingresso in Siria degli Hezbollah e delle milizie iraniane al fianco di Assad, così come per il sostegno della Turchia e delle Monarchie del Golfo al variegato mondo dei ribelli anti – Assad.
In questi casi e non solo, abbiamo parlato di spartiacque. Spartiacque, poteva essere l’intervento americano contro Assad nel settembre del 2013. Spartiacque è stato l’intervento militare russo in Siria nel settembre del 2015 a fianco di Assad.
Abbiamo usato anche l’espressione “linea rossa” per indicare la soglia oltre la quale determinate azioni (armi chimiche, catastrofi umanitarie e vittime civili) non sarebbero state più tollerate e così via, in una lunga narrazione fatta di informazione e contro – informazione. Nel frattempo altre linee sul campo di battaglia siriano venivano cancellate consegnandoci un paese in cui i cosiddetti non state actors sembrano ridisegnare i futuri assetti del paese.
A fronte di linee che vengono cancellate dall’Isis, come quei confini tra la Siria e l’Iraq tracciati nel 1916 con gli accordi di Sykes – Pikot, se ne determinano altre, che ci riportano all’ultimo anno di guerra. La riconquista da parte delle forze di Assad, sostenute dall’aviazione russa, dalle milizie iraniane e dagli Hezbollah libanesi, della zona intorno alla Cittadella di Aleppo sembra essere, a ragione, l’ennesimo spartiacque del conflitto siriano.
La principale sigla delle milizie anti Assad, Jabhat fateh al Sham, ex Front al Nusra che, proprio la scorsa estate, era riuscita a tener testa all’aviazione russa e alle milizie governative potrebbe a poco a poco disgregarsi. Paradossalmente la frammentazione del cartello di milizie venutosi a creare sotto l’insegna di Jabhat fateh al Sham potrebbe favorire qualche trattativa separata di resa. Non sfugge, infatti, che proprio la compattezza del fronte anti Assad attivo ad Aleppo, così come l’impossibilità denunciata da Mosca di separare gruppi jihadisti dai ribelli moderati, siano stati tra i motivi determinanti a far fallire i ripetuti tentativi di tregua su cui Russia e Stati Uniti hanno lavorato in questi mesi.
L’intervento russo ha inoltre, come in parte previsto da un report pubblicato nell’ottobre del 2015 dell’Institute for the study of war, compattato il fronte delle numerose sigle componenti l’opposizione anti Assad. Molte di queste milizie, di fronte all’offensiva russa, hanno stretto alleanza con le principali e più militarmente attrezzate fazioni islamiste, al Nusra e Ahrar al – Sham su tutte.
È per questo che l’autorevole analista Anna Borshchevskaya del Washington Institue for Near East Policy, ha sostenuto che le azioni militari russe in Siria stiano compattando il fronte delle milizie anti Assad con quelle jihadiste. La probabile riconquista di Aleppo da parte del regime potrebbe non significare, ne è consapevole lo stesso Assad, la fine dalla guerra siriana, ormai sempre più articolata su diversi fronti.
La battaglia in corso tra le milizie sostenute da Ankara e i combattenti curdi dell’YPG (braccio armato del Partito dell’Unione Democratica PYD, considerati da Ankara terroristi ma alleati Usa nella lotta contro l’ISIS) per il controllo del Kurdistan siriano (meglio noto come Rojava) così come la presenza, monitorata costantemente da Israele, delle milizie iraniane e degli Hezbollah libanesi (considerati terroristi da Stati Uniti ed Israele, ma alleati decisivi per le sorti della tenuta di Assad) in Siria rappresentano ulteriori variabili. Il recente raid israeliano sulla base aerea di Mezzeh a Damasco conferma tutti i timori israeliani circa il rafforzamento degli Hezbollah in Siria. Timori, rafforzati dalla “parata” di mezzi corazzati (probabilmente carri T – 54 o T – 55) svoltasi all’inizio di novembre nella città siriana di Al Qusayr al confine con il Libano da parte degli Hezbollah.
Le immagini, circolate su internet, hanno confermato le accresciute capacità militari del “Partito di Dio” e aperto più di un interrogativo sulla provenienza di questi mezzi. Problemi e nodi irrisolti su cui tra qualche settimana dovrà misurarsi l’amministrazione Trump che, durante la campagna elettorale, ha auspicato la collaborazione tra Stati Uniti e Russia contro l’ISIS e il terrorismo. Ammesso, incognita di non poco conto, che Stati Uniti e Russia abbiano le stesse vedute nel classificare i gruppi terroristici.
FONTE: Gli Occhi della Guerra