DI JEFFREY SOMMERS, ARUNAS JUSKA E MICHAEL HUDSON
Counterpunch

…di previdenza Elsa Fornero, neo ministro del Welfare, si e’ occupata anche per la Banca Mondiale, di cui e’ stata consulente in Russia, Lettonia, Macedonia e Albania.

Le nazioni baltiche hanno scoperto un nuovo modo per tagliare la disoccupazione e i fondi per i servizi sociali: l’emigrazione. Se un numero sufficiente di persone in età lavorativa è costretto ad andare via per trovare lavoro all’estero, sicuramente la spesa per la disoccupazione e per la spesa sociale subirà un calo.

Questi semplici calcoli ci mostrano quale algebra plaudono i sostenitori dei piani di austerità, che vogliono ripetere il “Nuovo Miracolo Baltico” anche per Grecia, Spagna e Italia. La realtà, comunque, è un modello basato su una contrazione economica dovuto dal taglio ai redditi. Nel caso della Lettonia, si parla del 30 per cento per i dipendenti pubblici (eufemizzato con “svalutazione interna”). Con un insieme di imposte sul lavoro che in Lettonia arrivano fino al 59 per cento (mentre le tasse sulla proprietà sono solo l’1 per cento), sembra davvero difficile presentarla come una storia di successo.

Ma si possono udire solo elogi festanti dal lobbisti neoliberisti le cui politiche hanno deindustrializzato e sconvolto le economie baltiche di Lituania e Lettonia, rendendolo appesantite dal debito e non competitive. È come se il collasso reale provocato dalla bolla immobiliare, che ha lasciato le infrastrutture fondamentali nelle mani dei cleptocrati, fosse un racconto di successo sul libero mercato.

Ma cosa intendono i neoliberisti per “libero mercato”?

Dopo mezzo secolo di lotta per l’indipendenza, i paesi baltici sono sorti in un mondo dove le politiche neoliberiste erano la moda globale e dove la bella vita e il bel vestito sono stati favoriti dalle istituzione finanziarie internazionali e poi, ancora più aggressivamente, dagli stessi politici baltici. Venti anni di politiche neoliberiste, dopo essere usciti dal governo sovietico, hanno portato questi paesi al macello. Per risolvere le conseguenze della crisi economica globale del 2008 e dei maggiori collassi in tutto il mondo, la stampa finanziaria ha spinto queste nazioni al farsi imporre docilmente un governo imposto dai banchieri.

Ora, dopo che la tempesta si è placata, Anders Aslund e altri apologhi sono di nuovo sulla cresta dell’onda per promuovere il modello baltico. Aslund ha fatto il suo con il libro, finanziato dal Petersen Institute dell’industria bancaria, sulla crescita “rimarcabile” della Lettonia. L’unica cosa che ha mancato di citare è il fatto che i lettoni stessero esprimendo altro, con un record di consumo di scarpe. I lettoni stanno lasciando il paese a un tasso di circa l’1 per cento al mese, con un esodo dalle proporzione bibliche. In effetti, gli statistici lettoni hanno provato orrore quando hanno scoperto che la popolazione del paese era scesa da 2,3 a 1,9 milioni di persone dal 2001 al 2011.

La situazione era simile o anche peggiore nella vicina Lituania, dato che la forte emigrazione verso l’estero provocata dallo scoppio della recessione economica e del collasso globale della bolla immobiliare nel 2008 ora minaccia la produttività futura di questa nazione.

Quando la crisi economica si appesantì, la disoccupazione crebbe dal livello relativamente basso del 4,1 per cento nel 2007 al 18,3 per cento nel secondo quarto del 2010 con un contemporaneo aumento dell’emigrazione da 26.600 persone nel 2007 a 83.200 nel 2010. Si tratta del dato più alto dal 1945, paragonabile solo con lo spopolamento nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Dal ripristino dell’indipendenza nel 1990, 615.000 persone su una popolazione di circa 3,7 milioni ha lasciato il paese; tre quarti sono giovani (fino ai 35 anni), molti con un titolo di studio e un lavoro in Lituania. Dal 2008 il tasso di emigrazione dalla Lituania è diventato il più alto tra le nazioni dell’UE (2,3 per 1.000), il doppio del secondo in graduatoria, quello della Lettonia (1,1 per 1.000).

Le previsioni per il periodo 2008-35 indicano un declino demografico di oltre il 10,9 per cento, uno dei più alti nell’UE (dopo Bulgaria e Lituania). Il censimento della popolazione del 2011 sembra solo confermare questi sinistri presagi. I demografi sono già stati troppo ottimistici nei loro pronostici (l’ultimo realizzato nel 2010) e hanno sovrastimando la dimensione della popolazione lituana di oltre 200.000 persone. Invece dei 3,24 previsti, il censimento ha rilevato che la popolazione lituana era di 3,054 milioni.

Questi dati foschi suggeriscono una sorta di eutanasia che sta avendo luogo nelle piccole nazioni baltiche. Questo, ironicamente, dopo aver sopravvissuto a due Guerre Mondiali, due occupazioni e vari collassi economici nel corso del XX secolo. Alla fine dell’occupazione sovietica, i lettoni e i lituani si sono rinnovati grazie alla riproduzione naturale. Invece, oggi, le due forze dell’emigrazione e della scarsa natalità stanno cospirando per creare un disastro demografico.

Ed ecco di nuovo Anders Aslund, disperatamente in cerca di resuscitare la sua reputazione dopo i disastrosi fallimenti derivanti dai suoi consigli politici negli anni ’90 nell’ex Unione Sovietica. Il lunedì di questa settimana Aslund è andato in sollucchero per i successi dell’aspro regime di austerità della Lituania suEUObserver. Il suo articolo aveva il tono ottimistico del famoso discorso “ebbro dal successo” di Joseph Stalin e allo stesso tempo recitava un bizzarro accrocchio di statistiche sulla scia del report sul “Piano di Quattro Anni raggiunto in Quattro”, cercando di dimostrare che l’economia e il paese erano in forma quanto mai. Diamo un’occhiata al suo argomento principe, seguendo le sue parole: quello di una risposta economica lituana “impressionante” e di un alto indice di opportunità imprenditoriali suggerito dalla Banca Mondiale. Aslund afferma che, grazie alle pillole amare e al libero mercato, la Tigre Baltica è tornata in auge. Che sia per ignoranza o di proposito (supponiamo che si tratti della prima), Aslund non ha ben compreso i fatti. Spiega correttamente che l’economia della tigre baltica è crollata del 14,7 per cento nel 2009 (anche se non ha menzionato le altre contrazioni nel 2008 e nel 2010). Ma poi ci asserisce che la crescita annualizzata di quest’anno è del 6,6 per cento, suggerendo quindi che la nazione neoliberista non è sulla strada della perdizione economica. Potrebbe essere impressionante per alcuni, ma Aslund ignora che la scorsa settimana la grande banca lituana Snoras ha ritratto una Lituania (e la Lettonia) come una miccia accesa, che manderà all’aria gran parte della crescita economica di quest’anno.

Per di più, anche se c’è una ripresa della crescita economica, il FMI stima che i tassi rimarranno, se va bene, indolenti, suggerendo che sarà forse necessario un decennio o forse più per tornare ai livelli pre-recessione dell’attività economica. Quindi, in base alle previsioni del FMI per il 2015, il PIL lituano misurato in dollari dovrebbe essere inferiore del 12 per cento (misurato ai prezzi correnti) di quello del 2008, con la disoccupazione all’8,5%. Alla fine, dobbiamo far fronte alle previsioni del FMI di una crescita anemica per i prossimi 6-8 anni con le disastrose conseguenze sociali delle politiche di svalutazione interna. Considerate che la Lituania ha quasi triplicato il suo livello di disoccupazione dal 5,8 per cento del 2008 al 17,8 del 2010. Anche se la disoccupazione ha iniziato a declinare al 15,6 per cento, questo non è dovuto tanto alla creazione di nuovi posti di lavoro, ma all’emigrazione di massa dalla Lituania. Gli stipendi del settore pubblico sono stati tagliati dal 20 al 30 per cento e le pensioni dell’11 per cento, che, assieme alla disoccupazione in ascesa, porta a un drammatico incremento della povertà. Se nel 2008 c’erano 420.000 persone (il 12,7 per cento della popolazione) che viveva in povertà, nel 2009 il tasso è aumentato al 20,6 per cento. Anche se nel 2010 c’è stato uno 0,4 per cento di calo nel numero dei poveri, questa decrescita è stata provocata principalmente dai cambiamenti al ribasso della misurazione della povertà. Diversi indici di qualità della vita e di benessere si sono ancor più deteriorati, dimostrando la prevalenza di un profondo pessimismo, della perdita di solidarietà sociale e dell’atomizzazione della società.

I costi economici e sociali estremamente alti di queste politiche mettono a rischio il futuro di una crescita economica sostenibile in tutta la regione. Gli investimenti in formazione, nelle infrastrutture e nei servizi pubblici – precondizioni di un’”alto” sviluppo economico, basato sulla conoscenza e sull’elevata produttività – sono stati abbattuti, mentre la fuga dei cervelli è sempre più forte. Anche se il Primo Ministro Kubilius ha promosso una strategia della sua amministrazione basata su conoscenza e innovazione, le misure di austerità implementata dal suo governo stanno relegando la Lituania su una via impervia dello sviluppo economico basato su bassi livelli di salari e condizioni lavorative.

L’aria che si respira è davvero mesta. I lituani sono emigrati in massa e, come i fratelli baltici in Lettoni, si tratta in gran parte di persone con talento, formazione, e nell’età per formare una famiglia. E, come la Lettonia, l’ultimo censimento della Lituania mostra un’emorragia di persone che se ne vanno dal paese. Oramai il macabro sarcasmo ha preso il sopravvento. Recentemente, una coppia lituana di Vilnius ha riferito agli autori: il marito alla moglie, “Dovremmo tornare in Norvegia per lavorare nei conservifici. Laggiù si possono prendere duemila euro, tornare dopo un anno, e vedere cosa fare.” La moglie, “Niente da fare, anche lì ci sono troppi lituani.” L’ironia è sempre intatta, ma il loro senso di disperazione è sempre più forte.

Questa gente si merita di più del subire un’altra ideologia fallimentare. Speriamo che loro stessi o altri li liberino dagli esperimenti degli ideologhi e che smettano di essere le pedine di un gioco altrui. Al resto dell’Europa, suggeriamo una grossa attenzione. La massima di Joseph Stalin, “Niente persone, niente problemi” non è un bel modo di risolvere una crisi economica. Eutanasizzare le più grandi nazioni dell’Europa meridionale con un’emigrazione su larga scala non è auspicabile, oltre che impossibile da ottenere. Dove andrebbero tutte queste persone?

 

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Fonte: The Baltic Tigers’ False Prophets of Austerity

06.12.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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