L’istallazione di impianti di videosorveglianza e apparecchiature di controllo non necessita del consenso dei sindacati se posta a tutela del patrimonio aziendale e non vi è possibilità di controllo a distanza dei lavoratori.

Non serve il sì dei sindacati alla telecamera installata per tutelare i beni aziendali, sempre che questa non leda la privacy dei dipendenti e serva unicamente per tutelare il patrimonio dell’azienda. Così l’impianto di videosorveglianza che serve a monitorare l’ingresso di ladri o l’eventuale accesso di malintenzionati a zone non autorizzate può essere realizzato in piena autonomia dall’azienda, senza bisogno di preventive autorizzazioni della Direzione territoriale del lavoro o di accordi con i sindacati. È quanto chiarito dalla Cassazione con una sentenza pubblicata ieri [1].

Lo Statuto dei lavoratori contiene una disciplina molto articolata sugli impianti audiovisivi: si tratta di una serie di garanzie – peraltro modificate di recente dal cosiddetto Job Act – volte a evitare che detti impianti possano essere utilizzati come controllo a distanza dei dipendenti e della loro prestazione lavorativa. Ecco cosa, in sostanza, dice tale norma (il cui testo originale rinviamo alla nota [2]).

Il precetto generale è il seguente: l’azienda non può installare impianti audiovisivi (come telecamere a distanza) e altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.

Veniamo ora all’eccezione. L’installazione di tali impianti è consentita solo se servono per esigenze organizzative e produttive oppure per tutelare la sicurezza del lavoro (si pensi al controllo di un macchinario pericoloso, la cui disfunzione potrebbe compromettere la sicurezza dei dipendenti). In tale caso, tuttavia, se da tali apparecchiature può derivare anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, per la loro installazione è necessario prima un accordo con i sindacati aziendali, oppure, in mancanza di questi, con la commissione interna. In caso di mancato raggiungimento di un accordo, il datore di lavoro può chiedere il consenso all’Ispettorato del lavoro, che detterà le modalità per l’uso di tali impianti.

Da tale norma, la sentenza della Cassazione di ieri ha dedotto una ulteriore conseguenza: se tali impianti di videosorveglianza, installati per garantire la sicurezza sul lavoro, non comportano alcun controllo a distanza dei dipendenti e, quindi, non ledono la loro privacy, per la loro attivazione non è neanche necessario il consenso dei sindacati.

Ripetiamo le parole della Suprema Corte: «Non è soggetta alla disciplina dello Statuto dei diritti del lavoratore l’istallazione di impianti e apparecchiature di controllo poste a tutela del patrimonio aziendale dalle quali non derivi la possibilità di controllo a distanza dell’attività lavorativa, né risulti in alcun modo compromessa la dignità e la riservatezza dei lavoratori».

Da oggi in poi, dunque, il datore di lavoro potrà serenamente installare telecamere per tutelare il patrimonio dell’azienda senza bisogno di un preventivo accordo coi sindacati, purché non comprometta la riservatezza dei lavoratori.

Ma la Corte afferma anche un altro importante principio: se la condotta del dipendente, involontariamente ripresa dalla telecamera di sicurezza, non riguardi strettamente la prestazione lavorativa e per di più sia illecita, inevitabilmente scatta il licenziamento per giusta causa.

Un esempio ci farà comprendere meglio come stanno le cose. Immaginiamo il caso di una dipendente addetta alla segreteria e all’accoglienza clienti, che venga immortalata da una telecamera mentre sottrae dalla cassaforte aziendale del denaro. La telecamera è posizionata a presidio della stessa cassaforte e non, quindi, per controllare i dipendenti e senza che questi possano rientrare nel raggio di azione del teleobiettivo. Ebbene, in questo caso, due sono le osservazioni da fare:

  • la telecamera può essere installata a presidio della cassaforte senza il sì dei sindacati;
  • se nella ripresa è finito un lavoratore per aver questi commesso un’azione illecita ai danni del patrimonio aziendale, il file video può essere utilizzato per procedere al suo licenziamento.

Infatti, nel caso di specie, la condotta della lavoratrice, oggetto della ripresa video, non solo non attiene alla prestazione lavorativa ma non è diversa, in alcun modo, da quella illecita posta in essere da un qualsiasi malvivente, estraneo all’organizzazione del lavoro. Insomma, la lavoratrice viene ripresa non come dipendente, ma in qualità di ladra.

In definitiva, quando il controllo difensivo dell’azienda, operato mediante telecamere e altri sistemi di videosorveglianza, è finalizzato non alla verifica dell’esatto adempimento delle prestazioni dei lavoratori, ma ad accertare eventuali comportamenti che pongono in pericolo la stessa sicurezza dei lavoratori o del patrimonio aziendale, la legge tutela il diritto del datore di lavoro di salvaguardare la propria azienda mediante strumenti di controllo a distanza.

Note

[1] Cass. sent. n. 22662/16 dell’8.11.2016.

[2] Art. 4 Statuto dei Lavoratori:

«È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.

Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti.

Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondano alle caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, l’Ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, dettando all’occorrenza le prescrizioni per l’adeguamento e le modalità di uso degli impianti suddetti.

Contro i provvedimenti dell’Ispettorato del lavoro, di cui ai precedenti secondo e terzo comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo art. 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale».

FONTE: La legge per tutti

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