Il Primo Ministro giapponese Shinzo Abe ha annunciato la sua volontà di portare a compimento entro il 2020 la prima, storica riforma della Costituzione varata nel 1947, fondamento istituzionale dello Stato nipponico nel corso di tutto il secondo dopoguerra. L’obiettivo principale di Abe è ottenere una significativa revisione dell’Articolo 9 tale da consentire al Paese di superare il paradigma pacifista che ha segnato la sua linea di condotta dai tempi dell’occupazione statunitense a oggi e di istituzionalizzare definitivamente la Self-Defence Force (SDF), garantendosi in questo modo l’opportunità di poter condurre una politica estera più assertiva e di partecipare in maniera autonoma alle decisive dinamiche geopolitiche della regione dell’Asia-Pacifico. La riforma costituzionale è destinata a completare una serie di iniziative governative tra cui spicca un’importante legge del 2015 che ha introdotto la possibilità per i militari giapponesi di partecipare a missioni militari all’estero per la prima volta dal 1945.
In un discorso pronunciato il 1 maggio scorso a Tokyo, Abe ha definito “un passo storico” il progetto di revisione costituzionale, che potrebbe portare a un completo cambio di paradigma. L’ampio lasso di tempo previsto da Abe per l’attuazione della riforma è dovuto alla complessità dell’iter legislativo che la contraddistingue: come riportato dal Japan Times, infatti, ogni proposta di riforma costituzionale deve ottenere una maggioranza di due terzi in entrambi i rami della Dieta, il Parlamento nipponico, per poter esser poi sottoposta a un referendum confermativo in cui è sufficiente la conquista di una maggioranza semplice.
Il Partito Liberaldemocratico di Abe detiene, nella Camera Bassa della Dieta di Tokyo, la maggioranza di due terzi necessaria all’approvazione del progetto di revisione costituzionale grazie al supporto del Komeito, suo partner di coalizione; alla Camera Alta, invece, sarà necessario un accordo con una forza di opposizione, che secondo Michael MacArthur Bosack di The Diplomat potrebbe essere il Japan Innovation Party (JIP), da tempo favorevole al disegno di Abe. In caso di mancato raggiungimento di un accordo con il JIP, che Abe teme possa sfruttare la sua importanza nell’economia della riforma per strappare una concessione politica favorevole o addirittura l’ingresso in coalizione, il Primo Ministro potrebbe essere tentato dalla convocazione di una nuova snap election dopo quella che, nel 2014, gli ha consentito di ottenere l’attuale maggioranza finalizzata all’implementazione della Abenomics. Al momento, gli elevati tassi di approvazione del Primo Ministro potrebbero rappresentare un invito in tal senso, ma in ogni caso Abe sa bene di poter gestire con tranquillità il lasso di tempo che lo separa dal 13 dicembre 2018, data di scadenza naturale dell’attuale legislatura. L’opzione migliore per Abe, in tal senso, potrebbe essere rappresentata dall’accorpamento tra il voto legislativo e il referendum istituzionale, che se fosse svolto a fine 2018 garantirebbe alla riforma l’opportunità di entrare in vigore effettivamente a partire dal 2020. In questo modo, Abe potrebbe prevenire anche un’ulteriore incognita: l’atteggiamento dell’attuale Imperatore del Giappone Akihito, la cui abdicazione è prevista proprio per la fine del 2018 e che, una volta lasciata la carica, potrebbe recedere dall’attuale neutralità e influenzare l’opinione pubblica nipponica in senso contrario alle aspettative di Abe. Nonostante la sua significativa popolarità, infatti, il Primo Ministro vedrebbe le sue carte scompigliate nel caso in cui Akihito, depositario di un ascendente notevolmente superiore, decidesse di prendere pubblicamente posizione contro la riforma.
In definitiva, Abe appare propenso a portare sino in fondo il progetto di riforma per rafforzare il peso del Giappone nel consesso internazionale e, al tempo stesso, garantire le basi per un nuovo mandato da Primo Ministro. Il leader di Tokyo, in ogni caso, sembra poco propenso a legare i destini della sua carriera politica all’esito del voto referendario: muovendosi con accortezza nel mondo politico giapponese, Abe è disposto a barattare “spazio in cambio di tempo” e a blindare la sua riforma anche a costo di vederne dilazionata l’entrata in vigore.