Nella politica estera di Putin, il mare ha assunto nel tempo un ruolo centrale. Per la Russia, l’accesso al mare e l’influenza che può trarne sono, infatti, da sempre un punto cardinale della sua rotta geopolitica. In particolare, nei confronti dell’Occidente, e in primis dell’Europa, i due mari in questione sono il Baltico e il Mediterraneo. In questi due mari, la Russia si gioca non solo la partita per la capacità di influenzare lo scacchiere internazionale a lei più vicino, ma anche le possibilità di ostacolare qualunque tentativo di accerchiamento da parte dell’Occidente. Proprio per questo motivo, alla contrazione dell’influenza in uno dei due mari, la Russia ha risposto sempre con un allargamento della propria azione nell’altro mare. Come una sorta di contrappeso strategico.

Il Mediterraneo è così diventato nel corso degli ultimi anni il campo d’azione più evidente della politica estera di Mosca. E questo è stato anche dettato dal potenziamento della NATO sul fronte nordorientale e baltico, con la disposizione di truppe e batterie di missili al confine tra Russia, Polonia e Paesi Baltici.

E non è causale, proprio per questo gioco di pesi e contrappesi, che la Crimea sia stata da subito il principale obiettivo della politica estera russa nel momento in cui aveva perso, di fatto, il controllo politico sull’Ucraina, spostatasi a Occidente. Grazie all’annessione della Crimea, Putin si è guadagnato in due mosse non soltanto il mantenimento della potente base di Sebastopoli, ma anche, e soprattutto, l’accesso al Mar Nero, e, con esso, l’accesso al Mar Mediterraneo. Perdere l’Ucraina e perdere la Crimea significava in sostanza per la Russia perdere il più grande porto militare per il Mediterraneo.

Subito dopo la Crimea, l’impegno siriano è certamente da considerare un fondamentale tassello di questo mosaico russo per estendere il proprio raggio d’azione o per ostacolare l’azione avversaria. Il salvataggio dell’alleato Bashar Assad diventava per la Russia non tanto una questione di onore quanto anche e soprattutto una questione di geopolitica. Avere un alleato così prezioso in Medio Oriente, ed avere di diritto due basi altrettanto importanti quali Tartus e Latakia è un’assicurazione importante per la strategia militare russa nel Mar Mediterraneo. Da quelle basi, il Cremlino può controllare un’area del Mediterraneo d’importanza capitale nello scacchiere geopolitico mondiale, e può destare preoccupazione così come rispetto a tutti gli attori politici della regione.

E nello schema siriano, anche la stessa Turchia diventa una pedina fondamentale di questo gioco. Perché tra il Mar Nero e il Mar Mediterraneo, la Turchia stava precipitando verso un’inimicizia con Mosca che non prometteva nulla di buono in tutta Mosca. L’appartenenza alla NATO di Ankara e l’abbattimento da parte di quest’ultima del jet russo del Tenente Colonnello Oleg Peshkov, avvenuto il 24 novembre 2015, erano stati campanelli d’allarme molto seri per le future relazioni fra Russia e Turchia e per la stabilità di tutta la regione mediorientale in cui gli interessi russi confliggevano e continuano a confliggere con quelli turchi.

Tuttavia, con il passare del tempo, la Russia è riuscita nell’intento di riportare Erdogan a più miti consigli e ha fatto sì che la flotta del Mar Nero potesse passare tranquillamente per i Dardanelli senza dover incappare nell’ostacolo della flotta turca. In tutto questo, certamente ha avuto un’influenza fondamentale il fallito golpe contro il presidente Erdogan, che ha iniziato a staccarsi sempre più dall’alleanza con l’Occidente. È, infatti, da quel momento che il presidente turco ha spostato l’asse del proprio mandato verso una definitiva deriva autoritaria e mediorientale, che ha condotto però la Turchia a uscire dalle grazie di Bruxelles, sponda NATO e sponda UE. E questo ha ovviamente dato un aiuto a Putin, che ha giocato di astuzia riportando la collaborazione nelle relazioni fra i due Paesi.

E mentre la Siria continua a essere al centro dei pensieri russi per quanto riguarda il mantenimento dell’alleato Assad nella regione, anche il Mediterraneo meridionale, in particolare l’Egitto e la Libia sono diventati pallini della geopolitica del Cremlino. E sono diventati cosi importanti da aver destato forte preoccupazione in tutta l’area della penisola arabica, timorosa di uno spostamento del Cairo al di fuori della propria sfera di influenza costruita a suon di petroldollari. Un Egitto che, inoltre, riveste un ruolo fondamentale non solo per la sua importanza politica e geografica – in particolare per la presenza del canale di Suez-, ma anche per la vicinanza alla Libia.

La Libia è, infatti, da qualche tempo entrata nelle attenzioni del Cremlino, che vede con timore l’assenza di leadership del governo di Tripoli sia per la guerra agli islamisti ribelli sia per la sua impotenza di fronte all’Occidente. Per questo motivo, la Russia ormai da tempo sostiene il generale Haftar, ricevuto con tutti gli onori sulla portaerei russa Kutnetsov lo scorso mese di gennaio e prima ancora a Mosca, nel novembre del 2016. Sia che Haftar riesca a prendere possesso di tutta la Libia, sia che riesca ad ottenere il controllo de facto sulla Cirenaica, la Russia si sarebbe comunque guadagnata un prezioso appoggio nel Mediterraneo, ed  un altro alleato nel ginepraio nordafricano. Una mossa che rafforzerebbe Mosca nel Mediterraneo costringendo quindi la NATO a ricalibrarsi sul fronte baltico per evitare di perdere definitivamente terreno sul fronte mediorientale e su quello africano.

Gli Occhi della Guerra

 

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