Nella politica urlata dei Salvini, Grillo, Farage, Le Pen, Orban e compagnia si ricorre ai muri, alle barriere da costruire per fermare l’ondata dei barbari che ci vogliono invadere per rubarci donne e lavoro; nella politica urlata si tende a ritenere che il mercato del lavoro sia un gioco a somma zero, ossia che ci si contenda un numero infinito di posti.

Come sempre, quando ci si ferma pensare, la realtà è molto più complessa e difficilmente corrisponde alle ricette rozze di alcuni politicanti da strapazzo. Se è certamente vero che un migrante può fare concorrenza ad un autoctono, è anche vero che un migrante con una buona idea può creare posti di lavoro che, altrimenti, non esisterebbero.

Controllando i dati dell’Eurostat si vede che, nel territorio italiano, le aziende guidate da migranti registrate all’anno 2015 sono 550 mila ed hanno una produzione di 96 miliardi di euro, corrispondenti al 6,7% della ricchezza complessiva del Paese. Da segnalare che fra il 2011 ed il 2015, esse sono aumentate del 21% (circa 97mila attività in più); nello stesso periodo il numero delle imprese registrate da imprenditori italiani ha avuto un calo dello 0,9%.

Nella politica urlata non si fa cenno a questi dati; non si racconta la storia di migranti imprenditori che, invece di “rubarci il lavoro”, lo creano.

Basterebbe parlare di quello che avviene a Rosarno, in Calabria, nelle campagne bruciate dal sole; lì i migranti vengono “assunti” da caporali per lavorare nei campi a meno di due euro l’ora. La storia di Suleiman Diara, costretto ad abbandonare la sua vita da raccoglitore di arance dopo la rivolta del 2010, è emblematica: fuggito a Roma e poi a Casale di Martignano, Diara decide di produrre yogurt con il metodo che aveva imparato nella sua terra natia, il Mali.

Con 30 euro ricevuti da un volontario come capitale iniziale, Suleiman e l’amico senegalese Cheikh Diop hanno comprato 15 litri di latte e tentato la fortuna. Sei anni dopo i due amici, insieme ad altri cinque migranti, producono yogurt biologico che consegnano in bicicletta in barattoli di vetro, che poi vengono recuperati e riciclati.

Nel 2017 hanno differenziato l’attività con la coltivazione di ortaggi, la cura di un parco pubblico e assunto il loro primo lavoratore, un ragazzo italiano con la sindrome di Asperger; per chi ha la sindrome di Asperger a volte è difficile integrarsi nella società, è complicato riuscire a esprimersi e a comunicare. “Esattamente come succede a noi migranti”, dice Diara.

La cooperativa che è stata creata ha un bellissimo nome, Barikamà, che nella lingua del Mali significa Resistenza; Suleiman lo spiega con tutte le difficoltà che sono state affrontate per crearla ed avviare l’attività.

Adesso, per il 32enne arrivato dalla Libia nel 2008 su un barcone giungono anche dei riconoscimenti da parte della Nazioni Unite, che hanno definito l’attività come un esempio di agricoltura per lo sviluppo sostenibile che può essere replicato per aiutare a nutrire la crescente popolazione mondiale.

Queste storie esistono, bisognerebbe raccontarle e il compito spetterebbe alla politica con la “P” maiuscola. Ma in questi tempi di politica urlata fatta di macchiette, di arlecchini, di ducetti, provare a ragionare sarebbe un atto di maturità impensabile.

di Sebastiano Lo Monaco

Il Faro sul Mondo

 

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