“I regolamenti dell’Aja del 1907, stabiliscono i criteri dell’occupazione militare non tanto sulla presenza militare in un Paese ma nella sua funzione. Se una presenza militare anche minuscola si assume la responsabilità della sicurezza del territorio (non importa di quale estensione) in cui è stanziata, si ha l’occupazione “de facto”. Le basi degli USA non garantiscono la nostra sicurezza, ma la loro. Non servono i nostri interessi ma i loro e quindi non sono legalmente “occupanti”. Il fatto che si dichiarino basi NATO o facciano riferimento agli accordi di Parigi del 1963 è una foglia di fico che nasconde la realtà: alcune basi italiane sono aperte anche ai paesi NATO nell’ambito degli accordi dell’Alleanza, ma le basi americane più grandi sono precedenti agli accordi NATO e sono state concesse con accordi bilaterali in un periodo in cui l’Italia non aveva alcuna forza di reclamare autonomia; anzi andava cercando qualcuno da servire in America e in Europa. In queste basi decidono gli Americani (e non la NATO) a chi consentirne l’uso temporaneo. Si ha così un doppio paradosso: molti Italiani anche di alto lignaggio politico e militare tentano di giustificare le basi con la funzione di sicurezza che svolgono a nostro favore. E avallano la condizione di occupazione militare. Gli Americani sono più espliciti, ma non meno paradossali: ogni anno il Pentagono invia una relazione al Congresso nella quale indica e traduce in termini monetari il contributo dei Paesi ospitanti delle basi “agli interessi e alla sicurezza degli Stati Uniti”. Dovrebbe essere un accordo fra pari, ma si avalla la nostra condizione di tributari.”
Da CS intervista Fabio Mini, generale in ausiliaria delle Forze Armate italiane, già comandante del contingente NATO in Kosovo Metohija (KFOR), a cura di Enzo Pennetta.