di Ricardo Duchesne

L’affermazione secondo cui l’Impero romano era uno stato multirazziale giuridicamente sancito è un’altra comune figura retorica utilizzata dai Marxisti culturali per creare un’immagine dell’Occidente come civiltà che ha lavorato a lungo per la creazione di una umanità universale di razza mista. Questa è una bugia alla quale i patrioti della Civiltà Occidentale non devono cedere.

La maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che il più grande contributo di Roma alla Civiltà Occidentale sia stato lo sviluppo di un ordine giuridico di tipo formale-razionale caratterizzato dalla coerenza logica delle sue leggi, la classificazione precisa dei suoi diversi tipi di legge, la definizione precisa dei suoi termini, e dal suo processo che arriva alla formulazione di norme specifiche in cui erano poste domande, raccolte diverse risposte da giuristi, ed erano offerte soluzioni coerenti. Era un ordinamento giuridico impegnato in decisioni giudiziarie sulla base di imparzialità ed equità per tutti i cittadini.

I primi romani, prima che fosse fondata la Repubblica nel 509 a.C., vivevano secondo leggi stabilite attraverso secoli di consuetudine, proprio come tutte le altre culture del mondo, ognuna con le proprie tradizioni, ciascuna governata da ciò che Max Weber chiama “legge tradizionale”, un tipo di autorità legittimata dalla santità di pratiche secolari. La legge tradizionale tendeva ad essere incoerente e irrazionale nella sua applicazione. Durante i periodi repubblicani, i Romani crearono, nel 451 a.C., le loro famose Dodici Tavole, che stabilivano in forma scritta (lex) le loro secolari leggi consuetudinarie (ius). Le Dodici Tavole interessavano materie civili che si applicavano ai cittadini privati così come le leggi pubbliche e quelle religiose si applicavano ai settori di attività sociali e alle istituzioni. Queste Tavole erano consuetudine, ma costituivano anche un tentativo di creare un codice di legge, un documento volto a ricoprire tutto il diritto in modo preciso e coerente.

Il razionalismo giuridico romano

Weber associava “l’autorità formale-razionale”, all’ascesa dei moderni stati burocratici nel XVI secolo, ma gli storici del diritto ora riconoscono che egli sottovalutava gli elementi “formali-razionali” sia del Diritto Canonico medievale che del Diritto Romano. (Harold Berman e Charles Reid, “Max Weber as a legal historian”, in The Cambridge Companion to Max Weber, Ed. Stephen Turner, 2000). Al tempo degli scritti di Q. Muzio Scevola, morto nell’82 a.C., e dei suoi colleghi giuristi, abbiamo a che fare con i tentativi di classificare sistematicamente il diritto civile romano in quattro divisioni principali: legge di successione, legge della persona, legge delle cose, e legge degli obblighi, con ciascuna di queste suddivisa in una varietà di tipi di leggi, con metodi razionali che specificavano su come arrivare alla formulazione di regole particolari. Queste tecniche di creare e applicare il diritto romano in un modo razionalmente coerente ed equo furono affinate e sviluppate attraverso il primo secolo d.C., che si conclude con quello che è conosciuto come Codice di Giustiniano, una raccolta di tutto il diritto romano esistente in un corpo di lavoro scritto, commissionato dall’imperatore Giustiniano I, che governò il lato orientale dell’Impero 527-565 d.C.. Inizialmente noto come Codice di Giustiniano, consisteva di

  1. Digesto, una raccolta di molti secoli di commento giuridico sul diritto romano
  2. Codice, una descrizione delle leggi attuali dell’Impero, le costituzioni, le dichiarazioni
  3. Istituti, un manuale di diritto romano di base per gli studenti. Una quarta parte, i Romanzi, fu creata qualche decennio più tardi per aggiornare il codice.

Questa opera legale è ormai nota come Corpus del diritto civile, considerato uno dei testi più influenti nel processo decisionale della Civiltà Occidentale. Più in particolare, alcuni lo vedono come il fondamento della “Rivoluzione papale” degli anni 1050-1150, che Harold Berman ha identificato come la trasformazione più importante nella storia dell’Occidente. Gli studiosi ecclesiastici che hanno fatto questa rivoluzione legale, separando l’autonomia della Chiesa, il suo diritto di esercitare l’autorità legale all’interno del proprio dominio, e analizzando e sintetizzando tutte le dichiarazioni autorevoli riguardanti la natura della legge, le diverse fonti del diritto, e le definizioni e le relazioni tra i diversi tipi di leggi, e incoraggiando tipi di leggi del tutto nuove, non solo crearono il sistema giuridico moderno, ma anche la cultura moderna. Questa è la tesi del libro di Berman, Law and Revolution: The Formation of the Western Legal Tradition (1983).

Esistono difetti nel grande libro di Berman (in parole povere, ha sottovalutato gran parte di ciò che è stato compiuto prima e dopo il 1050-1150), ma ha ragione a sottolineare non solo questa rivoluzione papale ma il patrimonio giuridico occidentale comune dei popoli europei trascurato dagli storici nazionalisti del XIX secolo, e, naturalmente, da alcuni intellettuali della Nuova Destra che preferiscono la legge “pagana”.

Qui voglio criticare opere recenti che sostengono che il sistema giuridico romano abbia rotto decisamente qualsiasi concetto di identità etnica formulando un sistema legale “per tutta l’umanità”. Ciò non è facile; c’è una logica universalizzante inerente alla Civiltà Occidentale, che diventa ancora più evidente nello sviluppo del diritto romano, che ha deliberato e codificato principi giuridici in riferimento a tutti gli esseri umani in quanto possessori della ragione comune e come abitanti di una comunità romana multietnica. Io non intendo fabbricare discussioni sulla consapevolezza razziale dei Romani e il linguaggio particolaristico del diritto romano. Ma cercherò comunque di dimostrare che le idee giuridiche romane non possono essere utilizzate con la pretesa secondo cui avrebbero inventato un sistema giuridico per uno Stato “multiculturale e multietnico” – pretesa che punta alla creazione del nostro attuale stato di immigrazione in cui le identità razziali sono abolite e viene creata un’umanità senza razza. Vi è un ampio spazio temporale e culturale tra Roma e il nostro stato attuale delle cose.

Ora mi concentrerò sugli argomenti di Philippe Nemo sulla “invenzione della Legge Universale nello Stato Romano multietnico”, presentato nel suo libro, What is the West? (2006). Come ho detto nel mio ultimo saggio, Nemo è un filosofo politico liberale di destra francese. Nel capitolo su Roma, egli contraddice la sua precedente affermazione che la cittadinanza greca era “indipendentemente dall’appartenenza etnica”, quando ammette che le città-stato greche erano “etnicamente omogenee”. Ma Nemo ora pensa di poter persuaderci facilmente nel credere che con il loro contributo al diritto “i Romani hanno rivoluzionato la nostra comprensione dell’uomo e della persona umana“, in cui ogni riferimento all’etnia era ignorato.  La sua prima argomentazione è che, quando i Romani si espansero oltre l’Italia e crearono un impero multietnico, e soggetti stranieri vennero sotto la loro sovranità,

diventò necessario usare parole comuni e formule senza alcun riferimento alle religioni o istituzioni dei gruppi etnici specifici, in modo che potessero essere comprensibili per tutti. Questo, a sua volta, incoraggiò la formulazione di un vocabolario giuridico sempre più astratto.

Esprimerei le implicazioni di questa espansione su più territori etnici come segue: per i non-cittadini che abitano l’impero, ai quali le leggi vigenti per i cittadini non si applicavano, i giuristi svilupparono “leggi delle nazioni” o leggi che si applicavano a tutte le persone, stranieri e non cittadini così come ai cittadini. In relazione a questo cominciarono anche a ragionare sui principi comuni in base a cui tutti i popoli devono vivere, leggi che dovrebbero essere “naturali” per tutti gli esseri umani (radicate nella “legge naturale”). Ma questa forma di ragionamento sulla legge non era soltanto una reazione circostanziale al problema di governare su molte e diverse categorie di persone; era una forma di ragionamento implicita nel processo di ragionamento stesso. Lo sviluppo di un vocabolario sempre più astratto risultava dall’applicazione della ragione (al contrario del pensiero consueto) allo sviluppo del diritto; l’astrazione è inerente al processo di ragionamento e deriva dal processo di generazione di definizioni, classificazioni e concetti, riconoscendo caratteristiche comuni in determinati casi e casi individuali, e generando diversi tipi di leggi e termini diversi. Come scrive Aristotele nelle sue Analytica posteriora, il ragionamento induttivo, “mostra l’universale come implicito nel particolare chiaramente noto” (Libro I: Ch.1).

In sostanza ciò che facevano i Romani era applicare la filosofia greca, in particolare la logica induttiva aristotelica del muoversi dall’esperienza alla certezza o probabilità, mettendo insieme nella mente gli elementi comuni nei casi particolari osservati. I giuristi romani erano addestrati a essere molto pratici nel loro ragionamento giuridico, e piuttosto che discutere questioni ultime sulla giustizia, andavano a decidere quale fosse il miglior corso legale di azione alla luce dei fatti esposti, e, in questo senso, classificarono la legge romana in diversi tipi di leggi in modo sistematico, come era evidente nei trattati di Q. Muzio Scevola. Il punto verso cui mi sto dirigendo è che solo perché i Romani stavano sviluppando concetti giuridici sempre più astratti e senza riferimento ai costumi di particolari gruppi, ciò non significa che stessero cercando di creare uno stato multirazziale con un sistema comune di leggi, o una nazione dedicata alla uguaglianza razziale.

C’è chiaramente un legame tra razionalizzazione e universalizzazione che genera un linguaggio astratto che rivela una comune umanità. Questo è il motivo per cui i pensatori occidentali scrivono sempre in termini di “uomo”, “umanità”, “uomini”, anche se in realtà pensano a loro stessi, siano essi Greci, Romani, o Germanici. Gli Occidentali hanno creato un linguaggio universale in vista del divenire l’unico popolo in questo pianeta – come dimostrerò in un futuro saggio – consapevoli della capacità “umana” di impiegare le sue facoltà razionali in un modo autonomo di legiferare in termini di propri precetti, passando sopra le particolarità di tempo, consuetudine, e lignaggio e imparando a ragionare sulle questioni universali della “vita” e del “cosmo”. Gli Europei sono i veri pensatori di questo pianeta, gli unici che hanno liberato le loro menti da oneri ed esigenze extra-razionali, per affrontare le grandi questioni “oggettivamente” dal punto di vista della “vista dall’alto”, propria di nessuno in particolare. Ma dobbiamo renderci conto che è la visione del solo uomo europeo.

Romanitas

Ora, è anche il caso, come sottolinea Nemo, che con l’emergere del mondo ellenistico dopo le conquiste di Alessandro Magno (323 -31 a.C.), gli stoici greci filosofeggiavano in merito a una comune umanità (nel contesto della combinazione di Greci, Persiani, Siriani, Egizi e altri gruppi all’interno di questo mondo) con una natura comune. È altresì vero che lo stoicismo era molto influente tra i Romani, che produssero i propri stoici, Marco Aurelio e Seneca. Influenzati dagli Stoici, i giuristi romani svilupparono l’idea del diritto naturale, che, secondo le parole di Cicerone, significa:

La vera legge è la retta ragione, in accordo con la natura; è di applicazione universale… E non ci saranno leggi diverse a Roma e ad Atene, o leggi diverse ora e in futuro, ma una legge eterna e immutabile sarà valida per tutte le nazioni e di tutti i tempi, e ci sarà un signore e sovrano, che è Dio, su tutti noi, perché egli è l’autore di questa legge… (citato da Nemo, 21).

Come si può non essere d’accordo con Nemo sul fatto che i Romani ci abbiano tramandato l’idea che dovremmo immaginare un Nuovo Ordine Mondiale in cui tutti i popoli della terra sono governati da leggi universali, indipendentemente dalla etnia e altre particolarità? Si aggiunga a questo il fatto che con l’Editto di Caracalla pubblicato nel 212 d.C., fu data la cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi dell’Impero Romano. La cittadinanza era stata a lungo riservata agli abitanti liberi di Roma, e poi estesa agli abitanti liberi d’Italia, ma questo Editto estendeva la cittadinanza a più gruppi.

Tuttavia, sarebbe un grave errore immaginare la cittadinanza romana come uno sforzo consapevole da parte dei Romani etnici di riconoscere la comune umanità di tutti i gruppi etnici. In primo luogo, l’estensione della cittadinanza era parte del processo di romanizzazione, di acculturazione e integrazione dei popoli vinti nell’impero; era stata concepita come una misura politica per assicurare la fedeltà dei popoli vinti, e l’acquisizione della cittadinanza avveniva a livelli graduali, con la promessa di ulteriori diritti con maggiore assimilazione; e, fino alla fine, non tutti i cittadini romani ebbero gli stessi diritti, con i Romani e gli Italici in generale che godevano di uno status più elevato. In secondo luogo, vale la pena notare che questo processo di romanizzazione e di espansione della cittadinanza risultò efficace solo nella metà Occidentale (indoeuropea) dell’Impero, i cui abitanti erano Bianchi; mentre in Oriente, in relazione agli abitanti non-italici di Egitto, Mesopotamia, Giudea e Siria, questa ebbe solo effetti superficiali.

Massima espansione dell’Impero Romano

Si è sostenuto, al contrario, che la cultura politica romana cadde preda di tendenze “orientaleggianti” provenienti dalla parte orientale. Il libro di Bill Warwick, Roma in Oriente (2000), mostra che il dominio romano nelle regioni di Siria, Giordania e Iraq settentrionale fu “una storia d’Oriente più che d’Occidente”, e afferma categoricamente che queste terre furono responsabili della Roma “orientaleggiante”. Pertanto, sarebbe sbagliato sostenere che, in conseguenza dell’estensione di cittadinanza ai non romani, “si sviluppò una sola nazione e una cultura uniforme”.

In terzo luogo, si tenga a mente che, prima dell’Editto di Caracalla del 212 d.C., la stragrande maggioranza di coloro che avevano la cittadinanza romana erano Italiani; in altre parole, i Romani accettarono di concedere la cittadinanza a non-italiani solo all’ultimo periodo del loro impero; e gli storici concordano sul fatto che l’unica ragione per cui Caracalla avesse esteso la cittadinanza fosse quella di ampliare la base fiscale romana. In realtà, ci volle una totale guerra civile, come è noto dagli storici, una guerra Sociale o guerra Marsica [lat. Socii = alleati], 91-88 a.C., acciocché i Romani accettassero di condividere la cittadinanza con i loro alleati italici che da tempo avevano combattuto dalla loro parte contribuendo a creare l’impero. Roma non era una comunità politica civica dedicata a un ordine di trans-razziale, nonostante gli effetti veri e propri della romanizzazione. Non è un caso che le radici della parola “patriota” risalgano all’antichità romana, la città di Roma, espressa in termini come patria e patrius, che indicano città, patria nativa, o luogo familiare, e il culto degli antenati. L’identità etnica romana fu fortemente legata alla città di Roma per secoli; George Mousourakis scrive di “una sola nazione e cultura uniforme” che si sviluppa solo nella Penisola Italiana come risultato dell’estensione della cittadinanza, o naturalizzazione degli abitanti italiani non-romani. Mentre Roma è stata definita un melting pot di razze, gli abitanti della sua città nati in Italia, non cittadini di altrove, costituivano il 95 per cento della popolazione all’apice dell’Impero.

Pertanto, sarebbe anacronistico proiettare sui Romani un programma simile alla nostra attuale realtà di immigrazione/diversità, proiezione attuata con lo scopo consapevole di minare l’orgoglio e l’identità europea e di creare una popolazione di razza mista. I Marxisti culturali al controllo delle nostre università stanno semplicemente utilizzando argomenti ingannevoli per far pensare agli Europei che ciò che sta accadendo oggi sia parte del corso naturale della Civiltà Occidentale. Questa forma di manipolazione intellettuale degli studenti è ormai dilagante nel mondo accademico. Il nazionalismo civico era unicamente occidentale, ma è importante essere consapevoli degli sviluppi discontinui dell’occidente, le sue opposte ideologie, e le più recenti imprese delle forze ostili, anziché tracciare l’attuale ossessione patologica dell’Occidente con la diversità come risalente all’epoca greca (o cristiana). Nel tentativo di comprendere le nostre politiche in materia di immigrazione e l’ossessione con la diversità, otterremmo importanti intuizioni se ci concentrassimo sulle forze che hanno portato alla separazione del nazionalismo civico da quello etnico in Occidente, unitamente alla celebrazione delle minoranze etniche, piuttosto che assumere che il nazionalismo civico sia un’ideologia universale intrinsecamente in contrasto con i particolarismi europei. La risposta sensata che si dovrebbe raggiungere nell’esaminare il dibattito tra nazionalismo civico ed etnico è che la ricerca storica convalida l’idea che gli Stati-nazione europei furono fondati intorno ad un forte nucleo etnico, anche se vi erano minoranze coesistenti con maggioranze. Gli stati dell’Europa occidentale hanno sviluppato istituzioni civiche liberali nell’ambito di questo nucleo etnico. La ricerca sociobiologica sostiene ulteriormente la naturale inclinazione degli esseri umani ad avere una preferenza per i loro simili. Questa ricerca basata sulla biologia dimostra che gli esseri umani non possono essere estratti da un collettivo etnico.

Affermare che tale preferenza sia una disposizione irrazionale imposta dall’alto da un’élite regressiva è falso. L’etnocentrismo è una disposizione razionale compatibile con le libertà civili. Le libertà civili sono in linea con un collettivo senso di legame etnico-culturale. Ciò che non è coerente con la ricerca basata razionalmente, con i singoli processi decisionali razionali, e con le nostre disposizioni collettive verso i simili, è l’affermazione secondo cui le nazioni occidentali fossero civiche in origine, e il permettere l’immigrazione di massa senza permettere di aprire un dibattito razionale.

Fonte: https://resistenzabianca.wordpress.com/2015/09/25/la-cittadinanza-romana-era-basata-su-leggi-per-tutta-lumanita/

Commenta su Facebook