Dieci anni fa diventava legge in Italia la possibilità di scambiare semi
La biodiversità in Italia è legge da oltre un anno ma i paladini della terra e dei suoi prodotti non hanno mai smesso di difenderla, anche con gli strumenti più semplici e immediati come il baratto e la conoscenza diretta.
Solo fino a qualche decennio fa si trattava di pochi estimatori di prodotti di “nicchia” che, rischiando di beccarsi una salatissima ammenda, scambiavano con cavolo lucano, grano toscano con peperoncino nero di Salerno, all’insegna dell’abbondanza e della diversità che la nostra Penisola offre. Oggi stiamo parlando di un movimento “neorurale” che potenzialmente – tra campi, orti, giardini e balconi riadattati, in paese e in città – conta tre milioni di praticanti. Si riuniscono in tutta Italia in almeno 80 appuntamenti all’anno, in cui migliaia di persone si incontrano, come ieri a Ronco Scrivia, nel genovese, per regalare i semi prodotti dalla propria terra.
“Libera festa del libero scambio di semi autoprodotti e lieviti di casa, esposizione di frumenti e frutta antica”, recita la locandina dell’evento ligure che si chiama Mandillo dei semi, il “fazzoletto”, in dialetto, all’interno del quale si ripongono le piccole pepite da scambiare. Un mercato di idee, ribellione e speranze: un nuovo, e allo stesso tempo antico, modo di vivere per piccoli contadini indipendenti e appassionati che tornano alla terra spinti da tanti motivi diversi.
Tutto questo fino a pochi anni fa era fuorilegge in base a una direttiva europea del 1998 che considerava lo scambio e la commercializzazione delle sementi attività riservate alle ditte sementiere e vietate ai contadini. Ciò che gli agricoltori hanno fatto per millenni è stato di colpo cancellato. Massimo Angelini fu uno dei primi a cominciare una sorta di disobbedienza civile: il primo “scambio delle sementi”. Dopo anni di battaglie, nel 2007 è stata approvata una legge che riconosce ai coltivatori il diritto di scambiarsi le cosiddette “varietà di conservazione”: «Da allora siamo passati da 5 o 6 varietà di frumento conosciute a 110. Tanti panifici, in Puglia e Toscana, Sicilia, li stanno adottando. È solo l’inizio», promette Angelini.
A cura di Elisa Virgillito
Da La Repubblica, 16 gennaio 2017
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