Analizzò la società italiana con i criteri usati per quelle primitive Fu strenua oppositrice del progetto di integrazione europea
Il mondo del pensiero non conformista, nel giro di pochi giorni, deve dire addio a un’altra grande figura. Dopo Piero Buscaroli – insigne musicologo e storico fuori dagli schemi – è Ida Magli ad averci lasciato ieri. Una personalità non classificabile con le categorie politiche destra-sinistra né con quelle della rigidità accademica quella della Magli, ma di certo un’antropologa combattente (e non faziosa) che ha dedicato l’ultima parte della propria vita a contrastare con tutte le sue forze quello che ha ribattezzato «il Laboratorio per la Distruzione» (di cui l’Unione europea è agente in campo) quale promotore della non-forma: ossia di una civiltà senza più identità e senza contrafforti naturali, come il genere, la lingua e il territorio.
A queste conclusioni – studiate e rilanciate con entusiasmo dai sovranisti e dagli identitari – Ida Magli, classe ’25, è arrivata a partire da un intenso e diversificato percorso che è stato di studi ed esistenziale allo stesso tempo. Se si è diplomata al Conservatorio di Santa Cecilia, e laureata in Filosofia, il suo grande amore è stata l’antropologia culturale, alla cui crescita ha contribuito in modo fondamentale. Sua, ad esempio, è stata l’intuizione di studiare la cultura occidentale, europea ed in particolare italiana con gli stessi criteri che l’antropologia ha sempre adoperato per le società extra-europee ed in particolare quelle primitive. Importanti anche i suoi lavori sul rapporto fra il Potere e il Sacro e quello fra il ruolo della donna ed il potere maschile, sulla base dei quali fondò la propria vicinanza al movimento femminista ma anche, nell’ultima parte del suo percorso, la denuncia della crisi del ruolo del maschio.
Proprio da qui, nel non «appartenere a nulla, nel non sapersi più orientare anche sessualmente» obiettivo sotteso alla sponsorizzazione della teoria gender, la studiosa ha individuato, denunciandolo, uno dei fenomeni del processo di disgregazione dell’identità tradizionale europea.
Non è un caso, infatti, che ciò che l’ha resa via via sempre più celebre al grande pubblico sia stata proprio la sua strenua opposizione al processo di integrazione europea. Battaglia politica tenuta dalle colonne dei giornali fin dal 1994 ed espressa in libri di grande diffusione quali Contro l’Europa (1997), La dittatura europea (2010), Dopo l’Occidente (2012) e Difendere l’Italia (2013), e con la fondazione dell’associazione Italiani Liberi. In La dittatura europea, ad esempio, scriveva come l’attacco alla consapevolezza di se stessi procedesse anche con l’eliminazione di alcune discipline: «Di per sé questo progetto è uno schiaffo alle scienze umane. L’etnologia, la linguistica, la sociologia, la psicologia vengono ignorate totalmente, come se non fossero mai esistite. Ma soprattutto si tira un pugno in faccia agli antropologi», denunciando altresì come, rispetto alle risultanze di questa scienza, il progetto di unificazione continentale risultasse addirittura «opposto quasi punto a punto, come se la traccia lasciata dall’antropologia fosse servita per indicare agli architetti dell’unificazione europea quali fossero i raccordi più fragili, dove collocare gli edifici antisismici».
Magli ha denunciato, anche, l’improvvisa e simultanea uniformazione di tutto il mondo accademico e culturale al perseguimento del progetto, uniformazione inquietante per la quale non esitava a richiamare l’operato del “Ministero della Verità” di orwelliana memoria. Negli anni la sua visione è diventata sempre più pessimista, e in Dopo l’Occidente rappresentava se stessa come un antropologo che studia la civiltà europea come si studia una civiltà ormai morta, consegnata al passato, citando diversi autori quali Oswald Spengler, con il suo Il Tramonto dell’Occidente.
L’ultima sua opera, Difendere l’Italia, è un vero e proprio pamphlet-manifesto dove ha tratteggiato il profilo di un “Nuovo Risorgimento” come tonico per la riedificazione dell’Italia nonostante la crisi. Il segreto? Rimanere se stessi perché «gli italiani danno fastidio a tutti, sono troppo imprevedibili. Sono proprio quello che il Laboratorio per la distruzione non vuole non sopporta: una “disuguaglianza” nell’immenso mare dell’omogeneità».