Uscito dalla finestra (per il momento) il Trattato transatlantico fra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, cioè l’ormai famigerato Ttip, rientra dalla porta il suo gemello euro-canadese: il Ceta.

Si torna a parlarne perché proprio questa mattina il premier canadese Justin Trudeau, reduce dal G7 di Taormina, è ospite alla Camera dei Deputati per un convegno. In occasione della visita, gli attivisti della Campagna Stop TTIP Italia, insieme ai sindacati e alle organizzazioni ambientaliste, hanno indetto un tweetstorm per chiedere a deputati e senatori di prendere una posizione contraria al Ceta (per partecipare segui le indicazioni su questo link).

A che punto siamo?

Nel silenzio generale, lo scorso mercoledì 24 il Consiglio dei Ministri ha approvato un Disegno di Legge di ratifica ed esecuzione dell’accordo di partenariato strategico tra l’Unione europea e il Canada.

Questo passo fa seguito alla firma dell’accordo in sede europea, avvenuta il 30 ottobre 2016 a Bruxelles, e alla successiva approvazione da parte del Parlamento europeo nella seduta del 15 febbraio 2017 (408 voti favorevoli, 254 contrari e 33 astenuti).

Significa, in altre parole, che il nostro governo non ha intenzione di opporsi al processo di ratifica: il Ceta è già entrato in vigore in via provvisoria, ma poiché si tratta di un “accordo misto” è comunque necessaria la ratifica da parte di tutte le 38 assemblee legislative nei 28 Stati membri dell’Unione europea.

Giusto due settimane fa la Corte europea di giustizia ha confermato la necessità di questa procedura (a lungo contestata da chi sperava di chiudere la partita a Bruxelles) stabilendo che l’analogo accordo commerciale con Singapore, siglato nel 2013, non poteva essere ratificato dalle sole istituzioni dell’Unione europea.

Un altro schiaffo giudiziario era arrivato pochi giorni prima, quando lo stesso tribunale ha annullato la decisione della Commissione europea di non registrare l’Iniziativa dei cittadini europei (Ice) promossa dai movimenti contro il Ttip. La consultazione aveva raccolto in poco più di un anno oltre tre milioni di adesioni, risultando la più partecipata nella storia di questo strumento.

Cosa cambia col Ceta?

Obiettivo del partenariato è eliminare più del 99% delle tariffe attualmente imposte sugli scambi commerciali tra l’Ue e il Canada. Sul piano commerciale, il governo italiano stima che «il Ceta determinerà una crescita dell’interscambio di beni e servizi con l’Ue del 22,9%, per circa 26 miliardi di euro».

Valutare a priori la portata economica di queste promesse, in realtà, è assai difficile. Quel che invece sappiamo fin d’ora è che le ottimistiche ricadute “commerciali” sono solo un aspetto del trattato.

L’accordo include infatti disposizioni in materia di accesso al mercato di beni, servizi, investimenti e appalti pubblici, nonché in materia di diritti di proprietà intellettuale, misure sanitarie e fitosanitarie, sviluppo sostenibile, cooperazione normativa, riconoscimento reciproco, facilitazione degli scambi, cooperazione sulle materie prime, risoluzione delle controversie e ostacoli tecnici agli scambi.

Come abbiamo già ricordato, c’è motivo di temere soprattutto l’introduzione dell’Investment Court System (Ics), un meccanismo ispirato al “dispute settlement” dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e analogo a quello già inserito nelle bozze del Ttip.

Si tratta di un arbitrato internazionale cui può fare ricorso uno Stato, ma anche un’azienda che opera sul suo territorio, in caso di disaccordi rispetto a decisioni prese da altre parti. Sulla questione è chiamato a pronunciarsi un panel di esperti, provenienti di solito dal mondo della consulenza privata (cioè da chi lavora per le stesse multinazionali) o da atenei altrettanto privati. Il giudizio non ha la forza legale di una sentenza, tuttavia decide del singolo caso in modo inappellabile e definitivo.

Di fronte al “tribunale” del Wto, solo il governo degli Stati Uniti è stato coinvolto in più di 95 casi contro società private, uscendo perdente in 38 occasioni e vincente in appena 9. Gli altri casi sono stati risolti tramite negoziazioni preliminari oppure sono ancora in dibattimento. In circa 20 casi il panel non è nemmeno stato formato, e la maggior parte dei processi da cui l’autorità pubblica è uscita perdente riguardano standard ambientali, misure di sicurezza, tasse e agricoltura.

Altro particolare di non poco conto: la facoltà di avvalersi dell’arbitrato si estende anche alle filiali di impresa. Le aziende operanti in Europa che fanno capo a società statunitensi con filiali in Canada, ad esempio, sono oltre 42mila. Con l’entrata in vigore del Ceta queste multinazionali potrebbero intentare cause agli Stati europei per conto degli Usa, senza aspettare il Ttip.

Che cosa c’entra il cibo?

Vi abbiamo già parlato di quello che il Ttip potrebbe significare per il made in Italy, per la sicurezza alimentare e più in generale per le politiche legate all’agricoltura e al cibo nel nostro continente.

Il Ceta tutelerà appena 172 Igp europee sul mercato canadese, escludendone più di 1200: le indicazioni geografiche italiane tutelate, tra Doc, Docg e Igt, sono 41 su 293 totali. Tutti gli altri marchi potranno invece essere utilizzati sui prodotti canadesi.

Ma i problemi riguardano, oltre alle eccellenze alimentari, anche i beni agricoli di più largo consumo: l’Italia è il principale produttore europeo di grano duro destinato alla pasta, con 4,8 milioni di tonnellate su una superficie coltivata pari a circa 1,3 milioni di ettari, ma sono ben 2,3 milioni di tonnellate di grano duro che arrivano dall’estero e di queste oltre la metà (1,2 milioni di tonnellate) arrivano appunto dal Canada.

L’uso intensivo di glifosato nella fase di preraccolta è prassi ricorrente per i coltivatori canadesi, mentre nel nostro Paese è stato vietato lo scorso anno. Non c’è però alcun modo di sapere se la pasta che acquistiamo venga da grani italiani o canadesi.

All’inizio di questo mese, il ministro Martina ha chiesto a Bruxelles l’autorizzazione a inserire nelle etichette dei pacchi di pasta l’indicazione di origine del grano. L’Unione Europea ha tre mesi di tempo per sollevare eventuali obiezioni, qualora ritenga che l’iniziativa italiana leda il libero mercato o i diritti dei consumatori.

Non sembra in realtà che vi siano i presupposti per farlo, ma il governo canadese sta facendo pressioni sull’Europa allo scopo di bloccare una decisione potenzialmente controproducente per il suo export. Immaginate cosa succederebbe a questo punto, se il Ceta fosse già qualcosa di più di un ingombrante convitato di pietra?

Andrea Cascioli
a.cascioli@slowfood.it

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