Cento anni fa l’Europa era divisa dalle trincee della Prima Guerra Mondiale: cento anni dopo il Vecchio Continente è senz’altro più unito, ma si appresta ad affrontare un anno diverso dagli altri. Con le elezioni in Germania, Francia e probabilmente in Italia, l’anno che si è appena aperto può segnare il futuro della storia unitaria d’Europa, a partire dal destino della moneta unica, per cui c’è già chi si prepara a disegnare una storia divisa. Per l’attuale classe dirigente si tratta dell’ultimo appello: o si rinnova o perirà

Cento anni fa l’Europa bruciava nelle fiamme della guerra. Il vecchio Continente era spaccato in due da una duplice linea di trincee e combattimenti che si estendeva dal Baltico all’Egeo, mentre in Russia divampava la rivoluzione dei soviet.
Un secolo dopo, il 2017 rischia di essere un anno altrettanto decisivo per le sorti del nostro continente. Il processo di unificazione dell’Unione Europea è di fronte a una prova che sarà fatale per la sua sopravvivenza: gli appuntamenti dei prossimi dodici mesi ci diranno se l’Europa avrà ancora un futuro politico unitario.

Trecentosessantacinque giorni in cui verranno chiamati al voto prima i francesi, poi i tedeschi e probabilmente anche gli italiani.
In Germania Angela Merkel correrà per un quarto mandato, mentre in Francia il ballottaggio vedrà Marine Le Pen, con ogni probabilità, affrontare uno fra Francois Fillon ed Emmanuel Macron.

Soprattutto nel secondo caso, le forze antisistema portano una sfida diretta allo status quo disegnato negli ultimi dieci anni dall’establishment al governo Bruxelles – quello, per intenderci, dell’alternanza-alleanza fra socialdemocratici e popolari.
I lepenisti francesi, così come i leghisti italiani e i populisti di destra di Alternative fur Deutschland, chiedono un referendum sulla permanenza nell’eurozona. Il modello è la Brexit. Subito dopo, nell’agenda di questi partiti, c’è la sospensione sine die del Trattato di Schengen, il ritorno di politiche sovranistiche e il varo di ampie limitazioni al libero scambio, non senza un rilancio delle funzioni dello Stato sociale a discapito delle politiche neoliberiste.

Se l’anno che si è appena aperto sarà decisivo per l’esito della Brexit, difficilmente il 2017 vedrà altri Stati membri abbandonare la Ue. Un’eventualità assai più concreta, invece, è rappresentata dalla messa in discussione dell’euro – vista come un’alternativa più soft dell’uscita dalla Ue per tanti partiti euroscettici. L’attacco frontale alla moneta unica così come è stata concepita finora rappresenta un fil rouge che unisce, sia pur con varie sfumature, tutti questi movimenti d’opposizione.
E per la prima volta in Europa c’è un fronte trasversale pronto a metter mano al piccone. Per la prima volta si fa sul serio.

Ed l’Italia, per una volta, rischia di trovarsi all’avanguardia. Perché nonostante l’evento potenzialmente più dirompente sia la (non facile) elezione di Madame Le Pen all’Eliseo, pochi ricordano di dire che eventuali elezioni politiche nel nostro Paese consegnerebbero, secondo i sondaggi, il Paese al MoVimento 5 Stelle. È vero, bisogna ancora decidere con quale legge elettorale si andrà al voto, ma resta il fatto che mai come ora l’Italia è stata vicina ad uscire per davvero dalla moneta unica. I pentastellati avevano da sempre proposto una consultazione popolare sulla permanenza nell’eurozona e dopo il tentativo fallito di confluire nel gruppo parlamentare degli ultra-europeisti di Alde sono costretti a mantenere le promesse delle origini: con il M5s al governo, gli italiani voteranno sull’euro.
Lo ha certificato un garante d’eccezione: Nigel Farage. Che non solo è stato l’artefice della Brexit, ma è anche colui che ha perdonato il figliol prodigo grillino dopo il tentato “tradimento” con Alde imponendogli una sola condizione: il tentativo di un’Italexit.

Ma chi crede – e fra di essi ci sono anche molti parlamentari stellati – che gli italiani non voteranno mai per abbandonare la moneta unica farebbe bene a ricredersi. Perché di questa eventualità si parla con sempre più insistenza e non solo nei meetup grillini. Non ha fatto abbastanza scalpore, a nostro avviso, l’intervista che Federico Fubini ha fatto per il Corriere della Sera a Clemens Fuest, presidente dell’Ifo di Monaco di Baviera – uno dei più importanti centri di ricerca economica della Germania.
L’economista tedesco sottolinea preoccupato la fuga di capitali esteri dall’Italia. Un indice, a suo modo di vedere, delle difficoltà di un Paese in cui la crescita stenta ancora a decollare e che continua invece ad espandere in modo preoccupante il proprio debito pubblico.

In modo tanto preoccupante da aver prodotto negli ambienti dell’alta politica economica tedesca un’idea che fa riflettere: che Roma possa dire addio alla divisa unica per evitare il ripetersi di una crisi come quella greca. In cui – questa è l’opinione di Fuest – il nostro debito debba essere supportato da altri Stati.

Certo, alla Germania l’euro per come è ora ha portato più benefici che danni e se la Bce di Mario Draghi dovesse dar retta a Berlino e irrigidire la linea sinora piuttosto morbida nei confronti di Roma – il quantitative easing è sempre più sotto attacco – a Berlino potrebbero essere tentati di approfittare di una (ulteriore) instabilità politica nel Belpaese. Ma se invece gli italiani dovessero scegliere la via del populismo (eventualità che sembra molto più concreta da noi che in Francia, tanto per fare un esempio), allora le cose cambierebbero.

Tanto che, si vocifera ormai da più parti, la Germania sarebbe pronta ad uscire spontaneamente dall’euro, magari insieme a un gruppo di altri Stati euro-forti, dando vita a un’unione monetaria più ristretta ma più compatta. Sia pur contestando le politiche di austerity di Angela Merkel e Wolfgang Schaeuble, il vicecancelliere Sigmar Gabriel ha ammesso che “una spaccatura della Ue non è più impensabile”.

La soluzione di un euro (se non proprio un’Europa) a due velocità è propugnata da tempoda economisti del calibri del premio Nobel Joseph Stiglitz e potrebbe rappresentare un’eventualità non più così remota. Molto dipenderà, come detto, dalle elezioni politiche francesi. In quel caso, l’ipotesi di una “Frexit” potrebbe indurre la Germania a porsi alla testa di una coalizione di Paesi del Nord e a creare un’eurozona più circoscritta.
L’altra opzione – l’uscita dell’Italia – resta appesa all’esito di un referendum che deve ancora nascere. Quello che è certo, però, è che per il prossimo futuro dell’Europa si apre una fase di incertezza da seguire con molta attenzione.

Capire davvero la crisi

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