Sentenza del Tribunale di Roma in difesa di un risparmiatore argentino che aveva i soldi in Italia. Gli hacker hanno spostato il denaro dal suo deposito online ad un altro, che era stato intestato a suo nome grazie a documenti falsi
di ALDO FONTANAROSA
Ora il Tribunale Civile di Roma ordina la restituzione di tutti i soldi prelevati in modo illecito dal conto del truffato e il pagamento di altri 20 mila euro per risarcire l’ulteriore danno patrimoniale che la persona ha subìto (per andare avanti, la vittima ha dovuto chiedere dei prestiti). A versare queste somme e questi risarcimenti saranno entrambe le banche: quella del correntista, indifesa di fronte ai truffatori informatici; ma anche la banca dove è stato aperto il conto fasullo. La sentenza del Tribunale – di cui scrive il sito cassazione.net – spiega che il correntista raggirato non ha commesso alcuna leggerezza nella gestione del suo conto. Imperizia e ingenuità sono tutte delle due banche, ora giudicate responsabili.
Il correntista truffato, intanto, è in una condizione di svantaggio. Ha questi soldi depositati in Italia, anche se vive in Argentina. Proprio per questa sua lontananza, l’uomo è prudente e chiede alla sua banca italiana che un sms sul telefonino lo informi di qualsiasi movimento avvenga sul suo conto. Un’accortezza che noi tutti utilizziamo.
I truffatori informatici, però, sono abili. Quanto entrano via Internet sul conto del truffato, come prima cosa cambiano il numero di telefono destinatario degli sms mettendo così fuori gioco il risparmiatore. La banca – che dunque si dimostra sciatta e vulnerabile – ha un’altra colpa. Non si allarma di fronte allo spostamento di ben 110 mila euro, operazione ben più importante di quelle che il correntista è solito fare.
Gravi responsabilità ricadono anche sull’altra banca, dove è stato acceso il conto fasullo. Questo istituto apre un conto corrente ad una persona che mostra allo sportello la sola carta di identità – documento facile da falsificare, osserva il giudice nella sua sentenza – e un codice fiscale dove non compare neanche la foto del titolare. Peraltro il truffatore, a questo punto commette un errore. Scrive sulla falsa carta d’identità che il documento scadrà nel 2022. In realtà le nuove norme – molto reclamizzate – fissano la scadenza all’ultimo compleanno utile del titolare, che in questo caso è a marzo del 2023. La banca peraltro non si insospettisce quando il truffatore, che dice di risiedere a Roma, indica un domicilio a Siderno, in provincia di Reggio Calabria. E abbocca senza obiezioni anche quando il truffatore rifiuta di attivare sul conto quei servizi che tutti abbiamo, come un bancomat, la domiciliazione delle utenze o l’accredito di uno stipendio.
La sentenza del Tribunale Civile di Roma – la numero 16221 del 2016 – spiega che il correntista truffato soltanto in alcuni casi non può reclamare la restituzione dei soldi. Quando è responsabile di “trascuratezze, errori, quando è lui stesso autore di una frode”. La Corte di Cassazione – che affronta la questione nella sentenza 10638 del 2016 – spiega anche che la banca può essere assolta quando è vittima di “forza maggiore”.
Ma in questo caso non ci sono scusanti: i due istituti sono venuti meno alla “diligenza del buon banchiere” come viene definita dall’articolo 1176 del Codice Civile. Per questo, insieme, devono pagare al correntista truffato i 110 mila 320 trafugati, 20 mila euro come ulteriore danno patrimoniale (più interessi legali); e ai suoi avvocati 9533 euro di parcella.
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