La sfida francese ha dato il suo primo verdetto: a sfidare Marine Le Pen, sarà Emmanuel Macron. A contendersi l’Eliseo, dunque, sono due destre: quella tradizionale, rappresentata dal Front national, e quella tecnocratica di Macron. Anche in Francia, come altrove negli ultimi anni, finiti i tempi del duello destra-sinistra, si ripropone la sfida tra forze di sistema e forze anti-sistema.
Si è assistito cioè a un rigetto generalizzato dei partiti tradizionali, ormai percepiti come soggetti residuali. E anche in Francia, come in America, tale rigetto ha avuto due anime.
Anzitutto quella di sinistra, incarnata da Jean-Luc Mélenchon, la cui avventura ricorda appunto quella di Sanders.
Anche Mélenchon ha suscitato speranze ed entusiasmo a sinistra, raccogliendo consensi insperati. E, come Sanders, non è arrivato al ballottaggio.
Resta l’incognita sul turno successivo: Sanders fece un endorsement poco convinto per la Clinton, tanto che parte del suo elettorato si è astenuto al voto successivo. Nel caso francese, Mèlenchon è stato più esplicito: i suoi voti ribelli non andranno a Macron.
Da vedere se qualcuno di questi voti andrà alla Le Pen, forza anti-sistema di destra alla stregua di Trump in America. Tante le differenze tra quello e questa, stante che Trump rappresentava se stesso ed era un neofita della politica, la Le Pen ha il Front e un apparato ben rodato alle spalle. Tanto che il suo approdo al ballottaggio era dato per scontato, al contrario delle previsioni riguardanti l’attuale presidente degli Stati Uniti.
Al contrario di Trump, però, il Front al ballottaggio dovrà scontare, come nelle presidenziali del passato, la pregiudiziale anti-fascista, variabile sconosciuta in America.
Come nelle precedenti elezioni, gli altri partiti sembrano destinati a coalizzarsi con lo sfidante del Front, il quale si ritroverà giubilato senza dover concedere nulla ai sostenitori dell’ultima ora, proprio in funzione della sua missione salvifica.
La strada dell’endorsement verso Macron è ovviamente obbligata per il residuale partito socialista – solo il sei per cento per l’inutile Benoît Hamon -, anche perché tanti esponenti di tale partito si erano preventivamente uniti all’uomo del destino (l’ala più oscura, quella guidata dall’ex premier Manuel Valls).
Resta la bizzarria per il dato numerico, che vede i due partiti di sinistra, se coalizzati, primo partito di Francia. Dato che indica che la sinistra si è semplicemente suicidata. Un suicidio assistito attuato in favore di Emmanuel Macron.
Prima di accennare a quest’ultimo candidato all’Eliseo val la pena soffermarsi sulla tormentata corsa di François Fillon. Inseguito dai fantasmi del passato, quel Sarkozy del quale ha preso faticosamente il posto, e dalla magistratura, che lo ha bersagliato, ha raggiunto un risultato comunque dignitoso, venti per cento, un quinto dell’elettorato.
Un venti per cento che Fillon ha subito regalato all’uomo del destino con un endorsement pubblico, forse per evitarsi altri guai personali, ché la magistratura in Francia dipende dell’esecutivo. Ma sul punto andiamo nel campo del complottismo.
Detto questo non è scontato che i suoi elettori vadano poi a votare in massa per Macron, dal momento che l’accesa campagna elettorale ha creato distanze non sempre colmabili dalla pregiudiziale anti-fascista.
Quanto a Macron, egli è sicuramente il vincitore di questa tornata elettorale. Uomo di sistema, la sua affermazione metterebbe al sicuro l’Europa dal rischio Frexit agitato dalla Le Pen e visto come un incubo dagli ambiti pro-globalizzazione, per i quali l’inveramento della Frexit sarebbe lo scacco definitivo.
A gioire dunque sarebbe l’Europa, ma quella delle banche e delle lacrime e sangue. Non per nulla Macron ha un marchio di fabbrica inequivocabile, che è quello dei Rothschild, per i quali ha lavorato con profitto per anni prima di entrare in politica.
Uomo del destino, nell’aprile dello scorso anno fonda “En Marche”, il movimento populista – che però non è identificato come tale – che fa sue le proposte più banali e comuni del cosiddetto europeismo, gode dei favori del mainstream e riceve lauti finanziamenti dagli ambiti che contano. Da qui il suo approdo al ballottaggio come primo partito.
Se tutto va come dai calcoli dei suoi sponsor, dovrebbe vincere a mani basse, stante il rensemblement anti-fascista. Ma il precedente di Trump rende tale esito meno scontato.
Vedremo. Di certo proprio la portata globale delle elezioni francesi fa sì che esse abbiano risento dell’involuzione che stanno vivendo le spinte rivoluzionarie che hanno portato alla Brexit e all’affermazione dell’isolazionismo trumpiano.
Infatti, se la Brexit sembra ormai realtà consolidata, è vero anche che l’idea originaria sta subendo freni e variabili prima ignote, che vedono l’allontanamento della Gran Bretagna dall’Europa non più come un distacco netto e glorioso ma una manovra lenta e laboriosa, per lo più densa di incognite.
Per quanto riguarda Trump, l’isolazionismo di cui era portatore si è alquanto appannato, dal momento che sopravvive in forma residuale nella politica interna, mentre è ormai un ricordo lontano in politica estera.
Senza questa spinta rivoluzionaria globale, anche la spinta verso l’ipotesi della Frexit, idea portante della politica del Front, è risultata frenata.
Per Marine Le Pen l’ultimo tratto di strada si annuncia più che impervio. Anche perché gli ambiti che hanno sottostimato la forza rivoluzionaria della Brexit e di Trump hanno dato prova di tutt’altra attenzione in queste elezioni francesi. Una determinazione che sembra destinata a perpetuarsi in vista del ballottaggio finale. Vedremo. Di certo si annunciano due settimane movimentate per la Francia. Speriamo che il Terrore non arrivi a movimentarle ulteriormente, cosa purtroppo possibile.