Se si dovessero giudicare le intenzioni dalle polemiche, dovremmo pensare che gli Usa non chiedono altro che accogliere rifugiati. I colossi come Google e Starbucks offrono posti di lavoro, Airbnb mette a disposizione case e posti letto, Hollywood si mobilita e così via. Ma siamo proprio sicuri che questa sia la realtà? Proviamo a dare un’occhiata a qualche numero.
Nel 1980 il Congresso Usa emanò il Refugee Act, ovvero la legge che istituiva il Federal Refugee Resettlement Program, il programma per l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati. Da allora, secondo i dati forniti dal Dipartimento di Stato, sono stati ammessi negli Usa circa 3 milioni di rifugiati. Tre milioni di ammessi in un Paese di 325 milioni di abitanti nel corso di quasi 40 anni. Sono tanti? Per fare un paragone: a metà 2016, i rifugiati nell’Unione Europea (504 milioni di abitanti in 28 Paesi indipendenti) erano 4 milioni e mezzo (e arrivati in un lasso di tempo assai più ristretto di quello 1980-2017 degli Usa) e nel solo 2015 la Ue aveva ricevuto un milione e mezzo di richieste d’asilo. Altro paragone: la Russia, da anni interessata da forti fenomeni migratori che passano largamente inosservati ma che, in questo campo, la mettono al secondo posto nel mondo dopo gli Usa. Con 143 milioni di abitanti, nel solo 2013 la Russia ha accolto oltre 215 mila migranti, tra i quali circa 40 mila tra profughi e richiedenti asilo. Nel 2015, in seguito alla guerra in Ucraina, era cresciuta fino a 312 mila persone.
Come si vede, quindi, la realtà è un po’ più complessa di quanto si creda. Gli Usa, inoltre, hanno sempre agito in base a un preciso legame tra le esigenze della politica estera e i criteri dell’accoglienza. A metà degli anni Settanta, prima cioè del Refugee Act, il nucleo maggiore di rifugiati negli Usa veniva dall’Indocina, come conseguenza della guerra in Vietnam. Nel 1989, al crollo del Muro di Berlino, fu aumentata la quota di posti riservata ai migranti in uscita dall’ex blocco sovietico e nei primi anni Novanta vennero da lì i nuclei più folti di rifugiati. Nel 1999 toccò ai kosovari.
Il “gioco” delle esigenze geopolitiche è proseguito anche l’anno scorso: nel 2016, la singola nazionalità più accolta negli Usa è stata quella della Repubblica democratica del Congo, seguita dalla Siria e da Myanmar. Insieme, hanno fatto più del 50% del totale. Se invece consideriamo gli ultimi dieci anni, i più rappresentati sono stati quelli di Myanmar (160 mila circa) e dell’Iraq (136 mila circa).
Controprova del legame politica estera-accoglienza: nel 2004, dopo la disastrosa invasione dell’Iraq, quella organizzata da Bush e Blair sulle false prove delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, quando però bisognava dire che nell’Iraq “liberato” tutto andava bene, furono somali, cubani e laotiani a formare oltre il 50% dei rifugiati accolti negli Usa. Gli iracheni facevano poca pena, a quanto pare.
Veniamo a tempi più recenti. Nel 2016 gli Usa hanno accettato 84.995 rifugiati, cioè 15 mila più che nel 2015. Il 2016, dunque, è stato non solo l’anno più “generoso” degli otto della presidenza Obama ma il più generoso in assoluto dal 1999 (mentre il più avaro fu il 2002 di George W. Bush, dopo le Torri Gemelle: solo 22 mila rifugiati). Per il 2017 Obama ha fissato il tetto dell’accoglienza a 110 mila persone, mentre Donald Trump in campagna elettorale ha manifestato il proposito di abbassarlo a 50 mila, anche se il ritmo dell’accoglienza non è calato dal giorno del suo insediamento.
Se ha allargato i limiti per i rifugiati, Barack Obama è stato però inflessibile con i cosiddetti “migranti economici” o “clandestini”. Durante la sua presidenza ne sono stati espulsi 2,5 milioni, con il record nel 2013: 435 mila espulsi. È da notare che da questo punto di vista gli anni di Obama sono stati i più duri per coloro che hanno cercato di entrare comunque negli Usa: nel suo primo anno alla Casa Bianca, il 2008, le persone ricacciate oltre confine furono 40 mila più che nel 2007, l’ultimo anno di George W. Bush.
A dispetto di manifestazioni e cortei, infine, l’opinione pubblica americana è scarsamente incline ad accogliere persone dall’estero. Durante la campagna elettorale delle recenti presidenziali, nell’ottobre 2016, il 54% degli elettori registratisi per votare affermò di non sentire alcuna responsabilità nei confronti dei profughi della Siria (e solo il 41% disse invece di sentirne). Un dato rimasto in pratica invariato rispetto all’aprile 2016, quando fu condotto un analogo sondaggio. E tutto sommato in linea con un’altra opinione forte dell’elettorato americano: il 54% degli elettori sostenne (ottobre 2016) che gli Usa dovevano badare ai propri problemi e lasciare che gli altri Paesi risolvessero da soli i propri, contro un 42% di elettori dell’opposta opinione.