Il Congo, o per meglio dire la Repubblica Democratica del Congo (RDC) ex Zaire, è un gigantesco capriccio della natura che vi ha concentrato un incredibile quantità di risorse naturali: diamanti, oro, rame, cobalto, alluminio, coltan (di cui vi sono i due terzi delle riserve mondiali), petrolio, gas, anche terre fertili in abbondanza, non manca nulla. Tuttavia, questa straordinaria ricchezza invece di farne la fortuna è stata la sua maledizione, perché gli ha attirato addosso l’avidità del mondo che da sempre ha fatto a gara per rapinarlo.

La giovane storia del Congo è una sequela di guerre civili, fame, disordini e aggressioni che nel totale disinteresse di media e opinioni pubbliche occidentali hanno insanguinato il Paese seminando morti a milioni (la Seconda Guerra del Congo, detta anche Grande Guerra Africana, fra il 1998 e il 2003 ha coinvolto otto Stati e 25 gruppi armati, in una mattanza che ha mietuto milioni di vittime facendone il conflitto più sanguinoso dopo la Seconda Guerra Mondiale), per fare gli interessi di multinazionali rapaci e gruppi di potere occidentali ed africani che definire senza scrupoli è un ridicolo eufemismo.

Ripercorrere quelle vicende che grondano sangue e gridano vendetta sarebbe lungo, diciamo solo che al potere c’è Joseph Kabila, un autocrate che ha rinviato sine die le elezioni ed ha tentato di “legalizzare” il suo potere personale a vita, ovvero di perpetuare per sé e il proprio clan i dividendi delle rapine perpetrate dalle multinazionali su uno Stato fallito dove qualunque autorizzazione, con i suoi timbri e bolli, è in vendita per una manciata di dollari.

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L’ultima ribellione di notevole entità, quella del Movimento 23 Marzo (M23) che minacciava le province orientali del Nord e Sud Kivu, è stata neutralizzata tre anni fa dalla Missione Onu “Monusco”, ma da allora il Consiglio di Sicurezza ha ridimensionato le risorse del suo intervento e il fronte degli oppositori di Kabila s’è rafforzato notevolmente.

Attorno a figure come Moise Katumbe, Felix Tshisekedi, Monique Mukuna Mutombo o Freddy Matungulu si stanno riunendo tutte le milizie etniche intenzionate a rovesciare Kabila e il gruppo di potere che controlla il Congo, per poter garantire ad ogni governo regionale (e dunque ai singoli gruppi etnici) un maggiore beneficio dallo sfruttamento delle risorse del Paese. Il fatto che Kabila, imperterrito, abbia invece continuato a manovrare per rimanere al potere, ha condotto a violente proteste represse nel sangue, che nel dicembre scorso hanno causato almeno un centinaio di vittime, ed hanno distrutto ogni possibilità di accordo con le opposizioni.

Il fatto è che Kabila, nonostante le condanne internazionali e gli inviti a lasciare il potere fattigli dall’Unione Africana, può contare sul sostegno di Ruanda e Uganda e sull’appoggio di Stati Uniti e Francia. Il motivo di tali supporti è che Presidente congolese è il garante delle concessioni estrattive della francese Areva e della statunitense Phelps Dodge, ottenute in larga parte attraverso milioni di “aiuti umanitari” nella realtà finiti nelle tasche di Kabila e della sua cerchia; inoltre, un rovesciamento del potere nel Congo avrebbe pesanti contraccolpi in Uganda e Ruanda, dove gli autocrati Kagame e Museveni governano alla stessa maniera.

In un simile quadro, per l’opposizione è quasi naturale sostenere una politica di nazionalizzazione delle miniere in linea con le vecchie tesi di Patrice Lumumba e godere del pieno appoggio della Cina, che con la caduta di Kabila rafforzerebbe la presa sulle risorse del Paese e indebolirebbe i suoi diretti concorrenti.

L’ago della bilancia sono i principali luogotenenti del Presidente congolese, al momento fedeli quanto partecipi delle sue ruberie, ma non è un mistero per nessuno che i generali Etumba Didier, Banze Lubudi e Ilunga Kampete Gaston-Hughes, ai vertici delle Forze Armate, abbiano mire politiche che li potrebbero portare a un colpo di Stato estromettendo Kabila, magari con la piena benedizione di Francia, Stati Uniti e Cina pronti a scaricare un Presidente ormai scomodo nell’ambito di un nuovo accordo per la spartizione delle risorse del Congo.

Il fatto è che una simile iniziativa potrebbe svolgersi in maniera programmata, ma è più probabile che degeneri in uno scontro di tutti contro tutti, portando a una guerra civile, eventualità resa assai probabile dalla presenza in Congo di circa 70 milizie, ciascuna corrispondente ad un gruppo etnico. Si tratta di gruppi armati attivi in ogni parte del Paese, soprattutto nelle regioni orientali, le più ricche di risorse naturali; formazioni che in molti casi (vedi Kamwina Nsapu dell’etnia Luba o Bakata Katanga, un gruppo katanghese) dispongono di migliaia di miliziani, spesso con legami stretti con gli Stati vicini, assai interessati allo sfruttamento del Paese (ancora Uganda e Ruanda su tutti).

Malgrado le conflittualità che dividono i diversi gruppi etnici, la possibilità di destituire Kabila e prendere il controllo diretto delle enormi risorse del Congo è una molla potentissima che sta spingendo verso un conflitto che avrebbe necessariamente, come già nei precedenti del 1960-1966, 1996-1997 e 1998-2003, delle caratteristiche regionali ed internazionali devastanti, soprattutto per le condizioni desolanti del Paese.

Con ogni probabilità sarà un’altra delle “guerre dimenticate”, lontane dall’opinione pubblica occidentale, pronta ad indignarsi per inezie ma incapace di reagire con fermezza dinanzi a montagne di morti innalzate per l’avidità ed il profitto delle proprie multinazionali e dei loro complici.

di Salvo Ardizzone

Il Faro Sul Mondo

 

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