L’iter avrà inizio dopo la consegna al presidente del Consiglio europeo Tusk. Il testo della missiva sarebbe stato custodito fino all’ultimo “in una località segreta”
ENRICO FRANCESCHINI
“Freedom!”, libertà, con il punto esclamativo, titola a tutta prima pagina il Daily Mail. “Independence Day”, il giorno dell’indipendenza, esulta la stampa più euroscettica e i protagonisti della lunga campagna per uscire dall’Europa, a cominciare da Nigel Farage, l’ex leader dell’Ukip che è stato il primo artefice del referendum anti-Ue. Ma intanto la sterlina cade, continuando un declino iniziato proprio il 23 giugno scorso, quando il Regno Unito votò per divorziare da Bruxelles: la valuta britannica perde quota sul dollaro e sullo yen, una discesa che tra ieri sera (alla notizia che il parlamento scozzese ha approvato la richiesta di un referendum per l’indipendenza dalla Gran Bretagna) e la notte (quando Downing Street ha diffuso la foto di Theresa May che firma l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, la norma per la secessione di uno Stato membro dall’Unione) sembrava in procinto di diventare un crollo, con perdite tra lo 0,5 e lo 0,9 per cento del valore in pochi minuti, anche se poi c’è stata una parziale risalita. Una mano alle esportazioni inglesi, comunque, da parte della valuta nazionale.
“Un salto nell’ignoto” è invece il titolo di prima pagina del più filo-europeo Guardian, che rappresenta la situazione odierna con un puzzle della carta geografica dell’Europa, nel quale mancano i tasselli di un paese – il Regno Unito, finito non si sa dove. “Il peggiore errore della nostra storia dal dopoguerra a oggi”, lo definisce lord Michael Heseltine, ex vicepremier ed ex ministro della Difesa conservatore, uno dei pochi Tories che si è opposto alla Brexit. E Martin Wolf, il più autorevole commentatore di affari economici del Financial Times, ammonisce che Londra “dipenderà da Bruxelles”, economicamente parlando, anche dopo avere abbandonato la Ue, con la sola differenza che non potrà più influenzarne le scelte: un monito subito ribadito stamane dall’andamento preoccupante della sterlina. Il cui calo del 20 per cento circa negli ultimi nove mesi ha sì favorito finora le esportazioni di prodotti “made in Britain”, ma ha alzato il costo delle materie prime, fatto salire l’inflazione e sta frenando la spesa dei consumatori, tutti campanelli d’allarme su un’economia in rallentamento, dopo essere stata la più solida d’Europa.
Stamane, circa alla stessa ora in cui il suo ambasciatore Tim Barrow consegnerà a Bruxelles la lettera con cui attiva l’articolo 50 (custodita fino all’ultimo in una “località segreta”, scrive il Daily Telegraph, “per evitare il pericolo di un sabotaggio dell’ultima ora da parte degli oppositori della Brexit”), la premier May parlerà alla camera dei Comuni. “Nel negoziato sulla Brexit rappresenterò non soltanto gli interessi di chi ha votato per la Brexit, ma anche quelli di chi ha votato contro e pure gli interessi dei 3 milioni di europei che hanno fatto del nostro paese la loro casa”, affermerà la leader conservatrice, secondo le anticipazione fornite dal suo portavoce. Un tono conciliante, dunque, dopo l’atteggiamento aggressivo dei mesi scorsi in cui aveva minacciato di trasformare il Regno Unito in un paradiso fiscale se la Ue offrirà condizioni punitive per la Brexit nel corso della trattativa. Forse il segnale, se non di un ripensamento, della preoccupazione, sua e degli ambienti della City, per le conseguenze di una “hard Brexit”, cioè di un divorzio duro, che imponga dazi doganali alle imprese e alle banche inglesi.
Ma le parole di Theresa May, quando si riferisce ai cittadini europei residenti in Gran Bretagna, indicano anche uno dei tanti scogli del negoziato. Resta infatti da determinare quale sarà la data di “scadenza” per entrare nel Regno Unito in base alle norme attuali di libera circolazione dei lavoratori, dunque con la presunzione di poterci restare a tempo indeterminato, anche per sempre: ossia da quale giorno tutto ciò non sarà più possibile. La lettera in cui May invoca l’articolo 50 non contiene, secondo le indiscrezioni, alcun riferimento del genere. I negoziatori della Ue affermano che la scadenza potrà essere solo il 29 marzo 2019, cioè la fine della trattativa e il momento in cui effettivamente il Regno Unito uscirà dall’Europa. Tuttavia fonti governative britanniche, citate dal Financial Times, osservano che la data in questione potrebbe venire stabilita “retroattivamente” da Downing Street, per esempio essere oggi o il 23 giugno scorso, giorno del referendum, e che il problema verrà verosimilmente affrontato in sede di negoziato. In sostanza, un europeo che viene a lavorare in questi giorni a Londra non sa se fra due anni potrà rimanerci. Uno dei tanti motivi di incertezza del B-day, il Brexit-day. Giorno dell’indipendenza da celebrare o salto nell’ignoto da temere? Non ci sarà bisogno di affidare ai posteri la sentenza. Gli inglesi lo scopriranno assai prima.