Secondo i giudici per avviare le procedure serve il consenso di Westminster. Borsa giù, e la sterlina vola. Theresa May: “Faremo rispettare il risultato del voto” e programma telefonata con Juncker. Farage: “Il verdetto scatenerà la rabbia della gente”
LONDRA – L’Alta Corte britannica si è pronunciata: è necessaria l’approvazione del Parlamento perché il Regno Unito possa iniziare il processo di uscita dall’Unione Europea. La sentenza significa che il governo non potrà attivare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che sancisce l’avvio dei negoziati per l’uscita, senza avere l’ok di Westminster.
Il sasso che ha provocato la valanga sulla Brexit è stato lanciato all’inizio del mese di ottobre da Gina Miller, una businesswoman di 51 anni, britannica di origini sudamericana (è nata in Guyana). È stata lei a presentare ricorso all’Alta Corte di Londra contro la decisione del primo ministro Theresa May di invocare l’articolo 50 del trattato europeo nel marzo prossimo, senza sottoporre il procedimento a un voto del Parlamento. Ormai nel Regno la chiamano Davide, la coraggiosa donna d’affari che armata di carta da bollo ha scritto alla Corte e sfidato Golia, il governo inglese, battendolo. Miller ha sollevato un pandemonio di proporzioni gigantesche e rischia di cambiare la storia europea.

Gina Miller all’esterno della Royal Courts of Justice di Londra
Gli anti-Brexit sostenevano che lasciare l’Unione senza prima aver consultato l’assemblea legislativa avrebbe rappresentato una violazione dell’accordo con cui, nel 1972, il Regno Unito aveva aderito alle comunità europee. Per i giudici il referendum era consultivo e non può prescindere dal voto del Parlamento. “La Corte accetta l’argomentazione principale dei ricorrenti” e “non accoglie le argomentazioni avanzate dal governo, che ritiene questo voto inutile”.
Adesso che il ricorso è stato accolto, la premier dovrà affrontare una votazione alla camera dei Comuni e a quella dei Lord, spiegando che tipo di Brexit vuole realizzare, e potrebbe verosimilmente essere sconfitta. A quel punto il governo dovrebbe cambiare strategia e tutto sarebbe possibile: un Brexit meno dura, per esempio restando dentro al mercato comune (e dunque mantenendo la libertà di immigrazione), un nuovo referendum, elezioni anticipate. Magari, in ultima analisi, niente più Brexit.
Brexit, Bonanni: ” Per la classe politica inglese è il momento della verità “
I now fear every attempt will be made to block or delay triggering Article 50. They have no idea level of public anger they will provoke.
Il prossimo passo è avvertire Jean Claude Juncker. Una conversazione telefonica tra il presidente della Commissione europea e la premier britannica è già stata programmata per domani “su richiesta del primo ministro britannico”, annuncia il capo del servizio dei portavoce, Margaritis Schinas, nel corso del briefing con la stampa. La Commissione europea intanto non commenta quelli che definisce “meccanismi costituzionali di uno Stato membro”. Anche se, in seguito al voto popolare al referendum dello scorso 23 giugno, ha deciso di abbandonare l’Ue, il Regno Unito resta comunque un componente dell’Unione, con pieni diritti e doveri, finché non sarà completata la procedura di uscita, che per ora non è ancora stata attivata.
May aveva annunciato l’intenzione di attivare la procedure di uscita del Regno Unito dall’Ue entro marzo 2017. Una volta scattata la notifica, sarebbero cominciati i due anni di negoziati per stabilire le condizioni dell’addio. Ora però, la mossa si allontana. Il governo britannico “non ha intenzione di far sì che questo faccia deragliare l’articolo 50 e il calendario che abbiamo previsto. Siamo determinati ad andare avanti con il nostro piano” conferma un portavoce di Downing street, citato da Bbc. E Jeremy Corbyn, leader del Labour, incalza. Il governo britannico deve presentare “senza ritardi” i termini del negoziato sulla Brexit al Parlamento di Westminster. Il Labour inoltre “rispetta il risultato del referendum”, ma chiede al primo ministro “trasparenza e responsabilità”.
FONTE: repubblica.it