Arriva il collocamento più atteso dell’anno sui mercati mercati finanziari internazionali. Una prima volta in assoluto per l’Arabia Saudita, il cui governo non aveva mai fatto ricorso a una emissione obbligazionaria per finanziare le casse pubbliche. Lo fa ora, con una operazione che potrebbe fruttare fino a 15 miliardi di dollari, sfiorando il record per un paese emergente, detenuto dalla emissione di inizio anno da parte dell’Argentina, che era stata pari a 16,5 miliardi di dollari.
Le banche che hanno lavorato al collocamento che oggi debutta sui mercati si sono dette soddisfatte del road show in giro per il mondo, avendo ricevuto molte richieste e prenotazioni. Una notizia che non stupisce: l’emissione garantita dal governo arabo paga un premio di tutto rispetto se paragonato a un T-Bond statunitense. Il che non è poco in un periodo di tassi prossimi allo zero da parte dei bond emssi dai paesi chon il rating più alto. Le obbligazioni saudite a 5 anni, secondo quanto hanno riferito da fonti finanziarie, pagano 160 punti base in più del corrispettivo bond Usa, un differenziale che sale a 185 punti base nel caso del taglio a 10 anni e si arriva a 235 punti base nel caso del bond a 30 anni.
Per decenni i proventi del petrolio sono stati oltrememodo sufficenti per pagare stipendi e finanziare il walfare della penisola. Ma con il greggio precipitato anche a 21 dollari il barile (e ora stazionario attono ai 50 dollari) anche le casse di Ryad sono andate in crisi. E il governo ha dovuto tagliare stipendi, sussidi e aiuti alle famiglie, con un deficit pubblico che nel 2015 ha accumulato oltre 80 miliardi di dollari. Tanto è vero che la monarchia saudita non ha solo dato il via alla prima emissione obbligazionaria della sua storia, ma ha addirittura deciso di portare in Borsa una quota di minoranza di Aramco. Si tratta della società di stato che controlla le più grandi riserve di petrolio del mondo. Oprazione che sta andando per le lunghe e per la quale si aspetta prima di capire la reazione dei mercati all’emissione obbligazionaria.
Il ricorso al finanziamento sui mercati internazionali è lo strumento che è stato usato, nei mesi scorsi, anche da altri governi mediorientali, a loro volta dipendenti dalle entrate assicurate dal petrolio e a loro volta costretti a varare misure di austerity. Lo hanno fatto il Qatar, che ha incassato 9 miliardi di dollari, Abu Dhabi (5 miliardi) e Oman (4,5 miliardi).
L’impatto sul mercato di un bond di tale portata finanziaria si è già visto nei giorni scorsi. Come segnala l’agenzia economica Radiocor, ci sono state vendite sui T-Bond statunitensi, perché gli investitori hanno preferito liberarsi di una parte delle obbligazioni del governo americano per mettersi al riparo da un eccesso di volatilità delle quotazioni, visto che i bond sauditi sia a 5 che a 10 e a 30 anni offrono rendimenti superiori ai T-bond.
Per superare l’emergenza finanziaria, i paesi produttori di petrolio dovrebbero arrivare a un accordo per il taglio delle quote di produzione del greggio. In modo da favorire una ripresa dei prezzi. L’accordo potrebbe arrivare al prossimo vertice Opec di novembre, dopo che ad Algeri prima e a Istanbul la settimana scorsa, i principali paesi produttori si sono detti possibilisti a un “congelamento” delle quote, tornando ai livelli di inzio anno. Russia compresa, che fino a ora non aveva mai voluto ridurre la produzione. E, sempre per la prima volta, l’Arabia non ha protestato di fronte alle richieste dell’Iram che vuole tornare ai livelli di produzione pre-embargo. Peccato che nel frattempo si produca a livelli record, ma gli analisti sono fiduciosi in un accordo a novembre e in Borsa il greggio è tornato sopra o 50 dollari.
FONTE: repubblica.it