Il governo del Paese anticipa le linee guida del ricorso con cui si opporrà alla restituzione di 13 miliardi di tasse non pagate chiesta da Bruxelles alla multinazionale: “Con la Mela nessun accordo privilegiato”. In settimana l’Europa dovrebbe pubblicare i dettagli delle sua sentenza
di FILIPPO SANTELLI
ROMA – “Un’interferenza nella sovranità nazionale” e una “comprensione sbagliata di come funziona la tassazione delle multinazionali”. Sul caso Apple Dublino prova a giocare d’anticipo. Questa settimana la Commissione europea dovrebbe pubblicare i dettagli della decisione con cui lo scorso agosto ha stabilito che la multinazionale americana ha goduto in Irlanda di un trattamento fiscale privilegiato, condannandola a restituire al Paese 13 miliardi di euro di imposte non versate. Ma nell’attesa il governo Irlandese, che come Apple aveva subito annunciato un ricorso contro la decisione, ha pubblicato lunedì un documento di tre pagine in cui sintetizza i punti chiave dell’appello che presenterà alla Corte di Giustizia Ue.
Le argomentazioni dell’esecutivo guidato dal conservatore Enda Kenny sono essenzialmente due. Il primo è che Bruxelles ha mal interpretato il funzionamento del diritto fiscale irlandese. Secondo i tecnici del commissario Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager Dublino avrebbe concluso con la Mela due diversi accordi fiscali nel 1991 e nel 2007, abbassando l’aliquota reale pagata nel Paese, dove la multinazionale veicola tutti i redditi generati in Europa, sotto lo 0,5% e assicurandole così un trattamento privilegiato rispetto ai concorrenti che violerebbe la legge sugli aiuti di Stato. L’Irlanda sostiene invece di non negoziare alcun accordo ad hoc con singoli contribuenti, ma che il parere indirizzato a Apple è solo una interpretazione del “normale trattamento fiscale” in vigore nel Paese che prevede che le imprese non residenti non paghino tasse sui profitti realizzati sull’Isola. Secondo Dublino (e secondo la stessa Mela) Apple Sales International e Apple Operations Europe, società irlandesi ma prive di residenza fiscale, hanno una funzione puramente operativa: i guadagni realizzati da Apple dovrebbero essere semmai tassati negli Stati Uniti, dove la società di Cupertino conduce la ricerca e lo sviluppo dei prodotti. E il rimpatrio dei profitti esteri delle grandi multinazionali, non a caso, è uno dei punti all’ordine del giorno della nuova presidenza Trump.
Ma è la seconda obiezione di Dublino, quella sull’indebita interferenza di Bruxelles sui suoi affari interni, quella destinata a sollevare le maggiori polemiche. La sentenza comunitaria in effetti assomiglia molto a uno stratagemma: per censurare un regime fiscale percepito come non equo, la Ue ha dovuto usare una via indiretta, la normativa contro gli aiuti di Stato. Nel suo “position paper” allora il governo di Dublino ha buon gioco nel sostenere che i tecnici europei stanno cerando di “riscrivere il diritto fiscale interno di un Paese” senza averne la facoltà. Tanto più che Dublino negli ultimi mesi ha fatto alcuni passi per rendere la sua tassazione meno permissiva, in linea con le linee guida sull’imposizione delle multinazionali approvata dall’Ocse. L’unica vera soluzione, per moderare la concorrenza fiscale al ribasso tra Paesi europei, sarebbe introdurre una base fiscale unica a livello comunitario. Una proposta formulata già nel 2011, ma che i governi finora non hanno mai davvero voluto portare avanti.
FONTE: repubblica.it