Sono onorato di pubblicare questa Proposta quadro di riforma della scuola pubblica statale. E sono onorato che gli autori siano membri del laboratorio politico di Alternativa.
La proposta è meravigliosa. E’ ciò che avremmo voluto scrivere se fossimo stati in grado! Idealismo, realismo, concezione filosofica dell’uomo, consapevolezza della condizione disarmante che ci troviamo a vivere, conoscenza approfondita del capitalismo, uno stile “da manifesto” intrecciano le forze in un testo di insolita profondita. Prego i lettori di leggere la Proposta con la dovuta lentezza (“dovuta” nel senso che è un dovere nei confronti degli autori). Li prego anche di vincere la pigrizia e di diffondere il testo a parenti, amici e colleghi, con tutti i mezzi a disposizione. Il testo merita di essere stampato, riletto – almeno da parte degli addetti ai lavori – e destinato a venerata cura (SD’A).
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di Massimo Bontempelli e Fabio Bentivoglio Megachip
1. La scuola moderna nasce in Francia, con la legislazione della Convenzione del 1792-95, e si diffonde in Europa tra l’ultimo scorcio del Settecento e i primi due decenni dell’Ottocento (in Italia con la legge Moscati-Paradisi del 1802), come istituzione nazionale, statale, laica, con il compito di fornire agli individui gli strumenti culturali per comprendere ed esercitare i diritti di cittadinanza. Questa è la concezione della scuola che, con contenuti e metodi ovviamente aggiornati all’orizzonte storico attuale, dobbiamo ancora oggi difendere in modo intransigente e coerente.
Premessa alla Proposta quadro di riforma della scuola pubblica statale
2. Allo stato delle cose la scuola pubblica è tale solo formalmente: la cosiddetta “autonomia” ha trasformato ogni singolo istituto in modello privatistico-aziendale, così come, all’opposto, la scuola privata, è stata di fatto trasformata in scuola pubblica.
Al di fuori di un sistema nazionale della pubblica istruzione non rimane, entro le dinamiche integralmente capitalistiche della società attuale, che deculturizzazione di massa, passività mentale generalizzata, pragmatismo impoverito.
3. La concezione di un sistema nazionale della pubblica istruzione traduce in pratica, a livello di scuola, il dettato dell’articolo 3 della Costituzione sui diritti egualitari della cittadinanza integrativi dei diritti universali dell’uomo tutelati dall’articolo 2: tale articolo esige la rimozione, da parte specificamente dello Stato (“è compito della Repubblica rimuovere”), degli impedimenti all’eguaglianza dei diritti dei cittadini ed alla loro partecipazione alla vita democratica del Paese. Tra gli impedimenti di natura sociale devono essere annoverati la deprivazione culturale prodotta da determinate condizioni ambientali, familiari, di reddito, urbane e di induzione pubblicitaria.
4. Esistono oggi tendenze, nella sinistra anche radicale, a valorizzare innovazioni introdotte nella scuola negli ultimi decenni, non importa qui se reali o finte, con lo scopo dichiarato di rendere la scuola più democratica e al passo con i tempi: dall’autonomia dei singoli istituti alle valutazioni mediante test, dalle risposte ad esigenze puramente localistiche all’assunzione di tecnicismi spacciati per scientifici, dalla scomposizione dei gruppi classe a ventagli di nuove discipline attualizzanti e via dicendo. La diffusione di queste idee nella sinistra, spesso con il vacuo argomento che il sistema nazionale della pubblica istruzione sarebbe “gentiliano”, è l’ennesima prova della necessità non più rimandabile di superare la dicotomia storicamente datata di destra-sinistra.
Una vasta letteratura ha ormai dimostrato il carattere illusorio di tali innovazioni e gli effetti destrutturanti sull’intero sistema. I fatti stanno comunque a dimostrare che, sotto la cascata di queste innovazioni, tutte le componenti della scuola e le sue dinamiche interne sono tragicamente peggiorate.
5. Chi sostiene queste innovazioni, ritenendo che i loro effetti negativi siano dovuti al loro uso ministeriale, e che possano venire riempite da contenuti di progresso, opera inconsapevolmente per una scuola destrutturata, in funzione di un addestramento al consumo e non di un’educazione al pensiero.
6. Quello per cui occorre battersi, cercando di mobilitare le forze disponibili dentro la scuola su pratiche di obiettivi, è una scuola di contenuti di vero spessore culturale la cui assimilazione da parte dei giovani consenta loro di decodificare dal punto di vista sociale, politico, antropologico ed esistenziale il mondo in cui si è chiamati a vivere; si tratta di diradare le nebbie spiritualmente asfissianti delle false narrazioni mediatiche dei poteri costituiti, e di superare gli schemi esplicativi precostituiti al sapere.
7. A questo scopo la scuola, proprio perché diretta a nuove generazioni senza memoria collettiva, abitanti di una società senza radici, dovrà darsi un asse culturale di tipo storico: ciò significa la storicizzazione di tutti i suoi contenuti, non soltanto specificamente storiografici, ma anche scientifici, tecnici, artistici e letterari.
Per definire gli itinerari didattici di una simile storicizzazione occorrerà – come per tante altre questioni inerenti la scuola – un serio lavoro collettivo, culturale e politico. Alcuni spunti propedeutici a tale lavoro sono indicati nella Proposta di riforma che segue.
PROPOSTA QUADRO DI RIFORMA DELLA SCUOLA PUBBLICA STATALE
Per un’idea regolativa di scuola pubblica statale nazionale
Con questo scritto intendiamo proporre, anche attraverso l’indicazione di obiettivi concreti, la prospettiva entro cui a nostro giudizio hanno un senso la discussione e il confronto sui temi della scuola e della formazione della gioventù del nostro tempo.
Il disegno del sistema-scuola che tracciamo come auspicabile non è una possibilità concreta dell’oggi, dato che tutte le forze economiche e politiche dominanti, alleate con il prevalente senso comune, spingono in direzione opposta a quella qui indicata, ma serve ad indicare, appunto, la prospettiva entro cui muoversi. Quanti, magari ritenendosi oppositori delle politiche scolastiche dei governi, condividono l’idea di senso comune che la scuola debba istruire i giovani a proiettarsi nell’agone competitivo, possono evitare la fatica di leggere quanto segue. Diversamente, con quanti concepiscono la scuola come luogo di educazione dei giovani attraverso il mondo del pensiero e della cultura, sarà possibile una feconda discussione.
Si potrebbe obiettare: se si ritiene che il disegno di scuola che segue non sia oggi concretizzabile, a che cosa serve parlarne? Serve a mantenere in vita un’idea regolativa di scuola pubblica statale nazionale. Il fatto che tale idea possa vivere oggi soltanto sul piano teorico, non ne depotenzia la forza, perché mantenere in vita un criterio di giudizio razionalmente fondato è l’unico modo per cogliere gli aspetti difettivi dell’attuale scenario scolastico (e non solo). Si potrebbe fare un’analogia con un’ipotetica riforma fiscale che realizzi davvero il dettato costituzionale promuovendo un’effettiva progressività del prelievo tributario. Anche in questo caso si tratterebbe di un’idea che oggi può vivere solo sul piano teorico, perché non ci sono le condizioni storiche per realizzarla. Nessuno, però, riterrebbe inutile mantenere in vita l’idea della necessità della giustizia fiscale, anche se esclusa dall’attuale orizzonte storico.
Sotto questo riguardo il mondo della cultura, gli intellettuali, gli insegnanti, e comunque quanti hanno a cuore il pensiero vivo e creativo, dovrebbero esser coscienti che la linea della resistenza (nel senso di preservare la possibilità di costruzione di un futuro diverso), passa anche attraverso la conservazione di idealità razionalmente fondate, anche quando queste sembrano del tutto oscurate dall’orizzonte storico.
Uno stupendo frammento di uno dei più grandi filosofi dell’antichità, Eraclito, vissuto anch’egli in un frangente storico in cui sembravano persi alcuni fondamentali valori della civiltà, e con essi la speranza di poterli rigenerare, ci ricorda che la giustizia e la verità spariscono definitivamente dall’orizzonte umano, non tanto a causa delle contingenze storiche che le oscurano, ma ad opera del pensiero che si arrende ai fatti, e che non cercando più né la giustizia né la verità le rende introvabili e quindi davvero irrealizzabili.
Un’ultima nota ad evitare equivoci e sterili discussioni. È diventato costume etichettare come difensore della “scuola tradizionale” chiunque critichi la “scuola delle riforme e dell’innovazione”, inaugurata da Luigi Berlinguer e portata avanti dagli ultimi governi di centrosinistra e centrodestra. Si tratta di una sciocchezza, ma è talmente in uso che merita di essere liquidata sia pure in due parole. Quella che si è soliti chiamare la “scuola tradizionale” era ormai giunta al capolinea, nel senso che in quella scuola i contenuti erano trasmessi in modo meccanico, arido, con formalismi insopportabili. Quella scuola, dunque, doveva essere radicalmente riformata, attingendo però i criteri della riforma dalla cultura e dal pensiero. Si trattava cioè di rivitalizzare la scuola culturalmente e didatticamente, guidati da idee forti. Come sono andate le cose ormai lo sappiamo: è stata imboccata la direzione opposta, attingendo i criteri della riforma da una sorta di aziendalismo caricaturale. Gli effetti (ampiamente prevedibili e previsti) sono sotto gli occhi di tutti, e se mai si potrà uscire da questo immane disastro, non è certo riproponendo una scuola morta.
Il sistema scolastico
Tre ordini di scuola corrispondenti alle tre fasi dell’età evolutiva
Un valido sistema scolastico dovrebbe ancora oggi rimanere articolato nei tre ordini di scuola –elementare, media e superiore- sui quali sono stati originariamente edificati in Europa, sull’onda della Rivoluzione francese, i sistemi nazionali della pubblica istruzione.
Oggi, tutti dicono che la prima legge italiana sulla scuola è stata la legge Casati del 1859, che ha predisposto il sistema scolastico nazionale nella prospettiva imminente dell’Unità d’Italia. Non è così. La legge Casati attinge, oltre che al modello prussiano di scuola (che portava l’impronta di personalità della statura di Humboldt e di Hegel), alla legge Moscati-Paradisi del 1802, che per prima ha costituito un sistema nazionale della pubblica istruzione, concepito per la Repubblica italiana, uno dei nuovi Stati nazionali nell’ambito dell’Europa napoleonica. Essa, per prima, ha articolato la scuola in tre livelli successivi, corrispondenti a tre fasi dell’età evolutiva, caratterizzate da distinte strutture cognitive – che richiedono modi distinti e distinti contenuti di apprendimento- che non sono cambiate negli ultimi due secoli.
Dopo l’infanzia vera e propria c’è la fanciullezza ancora infantile, caratterizzata da un pensiero non in grado, se non scarsamente ed episodicamente, di superare nell’astrazione l’immediatezza delle percezioni e delle immagini; a questa fase corrisponde l’insegnamento elementare.
C’è poi una fanciullezza diversa, preadolescenziale, ancora emotivamente inglobata nelle dipendenze parentali, e quindi incapace di dislocarsi nella concretezza delle molteplici prospettive del mondo, ma vigorosamente capace di apprendere a compiere procedimenti astrattivi e a manipolare mentalmente entità formali; a questa fase corrisponde l’insegnamento medio.
Infine l’adolescenza, in cui le astrazioni mentali diventano capaci di calarsi nella concretezza del mondo per adattarla all’idea, e di agire come riferimenti di ridefinizioni identitarie; a questa fase corrisponde l’insegnamento superiore.
La funzione dell’esame di Stato al termine di ciascun ciclo scolastico
Ogni ciclo scolastico dovrebbe terminare con un esame di Stato affidato a esaminatori esterni, quale forma di pubblico controllo dell’effettivo raggiungimento delle finalità educative di quel tipo di scuola.
In questi anni l’idea “gentiliana” di esami di Stato conclusivi di ogni ciclo scolastico è stata oggetto di continui attacchi, con due argomentazioni sopra a tutte:
- è un’idea da superare per il solo fatto di essere “gentiliana” (e questo rivela l’acume dei critici)
- è un’idea da superare perché riflette un’idea di scuola selettiva, mentre la “vera” scuola è quella che porta tutti al successo formativo (“la scuola di tutti e di ciascuno”).
L’esperienza di questi anni ha mostrato il contrario: la mancanza di esami, finalizzati allo scopo di cui si è detto, si è tradotta nel favorire prassi didattiche che hanno reso più virulento quel classismo che si voleva eliminare. Se la scuola, infatti, fornisce titoli privati del loro valore sociale, se i suoi esiti sono espressione di percorsi parziali e incontrollabili, è inevitabile che accada quel che è accaduto, e cioè che la selezione si sposti a momenti successivi alla scuola ed alla stessa università, quando lo svantaggio dei ceti bassi è incolmabile, perché si misura sull’entità del patrimonio familiare e sul livello delle relazioni sociali che possono garantire l’accesso alle professioni.
Un asse culturale per la scuola elementare
La scuola elementare è quella da cui maggiormente dipende il successo o l’insuccesso dell’intero sistema di istruzione pubblica statale
La scuola elementare (attualmente denominata “primaria”) è quella da cui maggiormente dipende il successo o l’insuccesso dell’intero sistema di istruzione pubblica statale. Sulla trasmissione di saperi e valori di una civiltà attraverso la sua scuola, oggi si esercita la doppia pressione destrutturante di un’economia del profitto socialmente totalitaria e di una tecnica universalmente pervasiva. Perciò, a parte l’eccezione di quei bambini che hanno la fortuna di vivere in un ambiente costruttivo e stimolante dal punto di vista cognitivo ed emotivo, il depauperamento intellettuale e morale, prodotto su scala di massa dall’odierna società del mercato e della tecnica, diventa un destino inevitabile se non è vigorosamente contrastato dall’insegnamento scolastico a livello dell’istruzione primaria e dell’età infantile. Se l’insegnamento elementare non incide adeguatamente sui bambini, questi non saranno in grado di interiorizzare i contenuti della scuola media e ancor più di quella superiore; essi finiranno così per proteggersi da questa incapacità con l’indisciplina scolastica, la distrazione mentale e la reazione di rigetto per lo studio.
Quindi, soltanto degli individui che hanno ricevuto un’educazione elementare solida e strutturata sono in condizione di ricevere l’insegnamento medio e superiore. Detto in altri termini, nel mondo di oggi, se l’istruzione elementare non consegue i suoi scopi, nessuna scuola funziona come scuola.
Le quattro condizioni necessarie perché la scuola elementare possa assolvere il suo compito educativo
La scuola elementare può assolvere il suo compito di educare all’apprendimento, se sussistono queste quattro condizioni.
1) In primo luogo la sua massima valorizzazione sociale, per riceverne sufficiente prestigio e cogenza agli occhi dei bambini, così da disporre positivamente la loro attenzione verso l’impegno per il sapere, a fronte della forza invasiva delle immagini televisive, dei giochi tecnologici e dell’addestramento al consumo.
Non si può, però, fare opera di valorizzazione della scuola elementare senza richiedere ai suoi insegnanti un alto profilo professionale, e senza aver aumentato le loro retribuzioni, più dei professori medi e superiori, come riconoscimento della maggiore difficoltà e dell’importanza strategica dell’insegnamento elementare.
2) In secondo luogo occorre che i bambini frequentino la scuola con orari prolungati, necessari a darle un effettivo peso per riequilibrare i dislivelli nelle capacità espressive e di apprendimento dovuti alle diverse provenienze sociali, di classe e di famiglia. Ciò esige, naturalmente, una scuola che offra strutture coerenti con la realizzazione di questo programma, quindi mense, spazi, e ambienti che aiutino il bambino a sviluppare le proprie potenzialità in relazione con gli altri.
3) In terzo luogo la scuola elementare esige la figura di un vero professionista che educhi al movimento e allo sport: nuotare, correre e muoversi nel modo corretto richiede allenamento costante sotto la guida di ottimi insegnanti. Il movimento, per i bambini, è necessario come l’aria: i fondamentali dell’educazione fisica devono essere interiorizzati in questa fascia di età. Non solo: un’adeguata attività sportiva è necessaria oltre che per lo sviluppo equilibrato del corpo, anche perché abitua alla corretta elaborazione di emozioni come l’aggressività e la competitività, al rispetto delle regole del gioco e dell’avversario, alla collaborazione con i propri compagni nel caso degli sport di squadra.
I finanziamenti per avere scuole elementari dotate delle necessarie strutture sportive (piscine vere, palestre vere, impianti veri) si potrebbero recuperare con il risparmio che ne conseguirebbe sulle spese sanitarie destinate a curare le tante patologie causate dal pessimo stile di vita cui i bambini sono oggi costretti, sia sui banchi di scuola, sia negli ambienti cittadini. La valorizzazione sociale e il tempo lungo di frequenza sono essenziali perché la scuola elementare assolva il suo compito, ma lo sono come presupposti, come condizioni.
4) La realizzazione degli scopi educativi della scuola elementare esige una quarta condizione, fondamentale, e cioè un asse culturale di tipo linguistico, finalizzato al pieno possesso della lingua materna in tutti i suoi aspetti e usi.
La filosofia, infatti, ha dimostrato che il rapporto dell’individuo con le radici storiche costitutive del suo essere è in origine un rapporto immediato, anteriore a ogni conoscenza e riflessività, e che tale immediatezza è il linguaggio. Il bambino umanizza la sua iniziale animalità incorporando in sé la storia da cui proviene attraverso l’apprendimento della lingua in cui quella storia è condensata: la lingua parlata dall’individuo è inizialmente la sua storia non conosciuta che parla in lui. Prima di arrivare a pensare usando creativamente il linguaggio, l’individuo non pensa che il pensato del linguaggio. Prima di arrivare a elaborare con il linguaggio schemi e valori, manifesta schemi e valori espressi dal suo linguaggio: le lacune, le opacità, le strettoie nell’articolazione del linguaggio non superate nell’infanzia sono elementi frenanti o addirittura preclusivi di tanti apprendimenti nelle età successive.
Le scelte didattiche conseguenti al presupposto teorico
In conformità a questo presupposto teorico si dovrebbe comprendere il perché la scuola elementare non dovrebbe disperdere le attività dei bambini in troppi rivoli, ma concentrarsi sul far imparare la lettura, la scrittura, le regole grammaticali, la ricchezza del lessico, l’uso corretto della sintassi, elementi di logica e di retorica, la capacità di descrivere e riassumere fatti ed esperienze, la capacità di seguire e produrre narrazioni. Tutto questo attraverso attività scolastiche di esplorazione dello spazio, di gioco, di discussione, di recezione di racconti storici, o mitologici, o letterari. La scuola elementare dovrebbe insomma garantire a tutti i bambini della nazione il pieno possesso della lingua materna, perché solo questo possesso è la condizione per continuare ad evolversi mentalmente.
Un asse culturale per la scuola media
Scopo educativo della scuola media: lo sviluppo della capacità astrattiva formalistica
La scuola media corrisponde a una fase successiva dell’età evolutiva, quella in cui l’ancoraggio immediato al linguaggio proprio dell’infanzia tende a trasformarsi nella manipolazione mentale dei suoi simboli, astratti dal contesto concreto in cui sono dati. Questa corrispondenza indica per se stessa il compito educativo naturalmente proprio di una scuola media: lo sviluppo della capacità astrattiva formalistica, produttrice di quelle entità che la filosofia ha definito universali astratti. Si tratta di una capacità cognitiva assolutamente fondamentale, perché, pur non coincidendo né con lo spirito critico né con la creatività mentale, ne è la condizione di base. D’altra parte, pur essendo insita nella preadolescenza una tendenza mentale al passaggio da una conoscenza meramente sensibile a una conoscenza astrattiva, tale tendenza, lasciata alla sua evoluzione spontanea, si sviluppa poco e male. Per questo il suo sviluppo deve essere assunto come compito strategico di una scuola rivolta a quella fascia di età.
Un asse culturale che privilegi le materie che educano all’astrazione e al ragionamento logico
Definito lo scopo educativo della scuola media, ne discende che è la matematica la disciplina più educativa che deve dettarne l’asse culturale: il suo insegnamento dovrebbe essere meno noioso e pesante possibile, ma ad esso andrebbe dedicata una quota importante delle ore di lezione, riducendo drasticamente la dispersività assurda degli odierni contenuti che caratterizzano la scuola media.
Attorno alla matematica dovrebbero esserci poche materie importanti. La prima, per importanza, dovrebbe essere la geografia dell’Italia, dell’Europa e del mondo, fisica, politica e astronomica. Si tratta di un indispensabile strumento di apprensione mentale della realtà, utile e possibile come educazione all’astrazione rispetto alle esplorazioni concrete della scuola elementare, e prerequisito di ogni conoscenza antropologica successiva. Una simile geografia è infatti costituita da nozioni, disegni cartografici, quantificazioni e connessioni cui si giunge soltanto medianti procedimenti astrattivi dall’esperienza sensibile (sapere che cosa è un fiume è ben più che vedere scorrere sotto i propri occhi le acque del fiume che attraversa la città; capire che cosa è la densità di popolazione di una città è ben più che percepirne l’affollamento durante una passeggiata ecc.).
In questa prospettiva si potrebbe discutere anche l’opportunità di inserire il latino: a suo tempo soppresso perché discriminatorio, potrebbe non esserlo più se studiato dopo una scuola elementare rigenerata. Come lo studio della geografia ben fatto opera sinergicamente con l’apprendimento matematico nel promuovere lo sviluppo della capacità astrattiva, altrettanto il latino promuove lo sviluppo delle facoltà astrattive, è propedeutico al ragionamento logico, ed è dotato di forza di retroazione nella conoscenza della nostra lingua (che deve essere stata adeguatamente assimilata alle elementari). La questione del latino dovrebbe comunque essere discussa, senza pregiudizi.
La scuola media è quella più adatta per un primo insegnamento di una lingua straniera.
Attività sportiva tassativamente non agonistica
Per quanto concerne lo sport, il discorso è analogo a quello svolto per la scuola elementare, ovviamente adattato alle esigenze dello sviluppo fisico di questa fascia di età, e organizzato con modalità tassativamente non agonistiche.
È utile ricordare come l’assimilazione dei principi di una vera pratica sportiva oltre ad essere determinante per il benessere dell’individuo, rappresenti la via più logica, utile e lungimirante per ridurre una gran quantità di patologie sociali con gigantesco risparmio in termini di spese farmaceutiche e più in generale di spesa sanitaria. Viene, legittimo, il dubbio che sia proprio questo ciò che si vuole evitare: quello che per noi è benessere e riduzione di spesa, dal punto di vista dei tanti soggetti che operano con logiche di mercato in ambito sanitario è, al contrario, “malessere” e contrazione dei profitti. Del resto, viviamo in un contesto sociale in cui ci si indigna se uno stadio di calcio non ha strutture ipermoderne, ma non ci si indigna quando i propri figli trascorrono la parte più importante della loro giornata e della loro vita in edifici le cui condizioni dovrebbero essere percepite come una vergogna nazionale.
Un asse culturale per la scuola superiore
L’adolescenza è l’età più a rischio in una società integralmente costruita intorno alla logica del mercato
La scuola superiore è la scuola frequentata dagli adolescenti. L’adolescenza è l’età della ridefinizione identitaria, dei problemi relazionali, dell’ansia esistenziale, dei bisogni ideali. Ed è, quindi, l’età più a rischio in una società integralmente costruita intorno alla logica del mercato e alle prescrizioni della tecnica: una società che sottomette identità, relazioni, elaborazioni e progetti a stili di vita decisi dalle convenienze aziendali e appiattiti sul consumo.
La storia è la disciplina adatta a costituire l’asse culturale di una scuola superiore
Per ritrovarsi e dirsi chi è e cosa vuole, l’adolescente deve riannodare mentalmente i contenuti della propria esistenza a un contesto globale che contiene le loro ragioni generative, cioè ad una storia. Senza una storia di riferimento, tutto è dato senza significato alcuno. La storia è trattenuta dalla memoria, per cui la sua appropriazione mentale è la ricostituzione di una memoria delle radici oggi di vitale importanza, perché minacciata di estinzione da un mondo fatto del solo presente delle cose da consumare e manipolare.
La storia dovrebbe costituire dunque l’asse culturale di una scuola superiore che sia veramente tale, in tutti gli indirizzi in cui la si voglia ripartire. Ciò significa che tutte le discipline di studio superiore, dalla letteratura alla filosofia, dalla fisica all’arte, dall’informatica alle scienze, dovrebbero essere insegnate in modo tale da poter essere collocate nella storia e comprese sotto l’aspetto storico. Senza il tessuto connettivo concettuale costituito dalla storia, l’isolamento settoriale e specialistico in cui sono costituite le discipline odierne le rende dispersive e dogmatiche.
Alcuni esempi
Se nell’insegnare la geometria euclidea, si spiegasse come il suo artefice, Euclide, ne abbia derivato il metodo deduttivo dall’Accademia platonica, basandolo sulla priorità di assiomi che per Platone erano teoremi derivabili dall’idea assiologica, con questa contestualizzazione storica si collegherebbero matematica e filosofia, e si problematizzerebbe il discorso scientifico aprendolo a nuovi possibili significati.
Se si parlasse del computer in modo storico e non soltanto tecnico, lo studente non sarebbe addestrato a un uso puramente meccanico e criticamente ottuso del computer, ma nella sua mente si connetterebbero, attorno al computer, economia, tecnologia, guerra e politica: gli andrebbe infatti spiegata una storia di scoperte tecnologiche dal transistor, al microprocessore, al modem, una storia delle lotte di mercato da cui sono nati i personal computer ed i software, una storia di Internet dalle sue origini militari ed universitarie ai suoi usi commerciali e di speculazione finanziaria. E via dicendo. La formazione di una memoria storica è oggi l’unico luogo possibile di apertura al senso critico, di un rapporto mentale non passivo con la società e con la vita.
Del resto l’abbandono del punto di vista storico nell’insegnamento della filosofia e della letteratura italiana non ha dato buoni frutti, com’era logico aspettarsi; le stesse discipline scientifiche dovrebbero essere in certa misura storicizzate. La storia come disciplina scientifica, articolata in storia etico-politica e socio-economica, sarebbe il primo antidoto contro la perdita della memoria nazionale e sociale.
Anche nella scuola superiore deve essere riservato uno spazio significativo allo sport, portando a compimento il lavoro impostato nei cicli precedenti, mantenendo quindi i caratteri non agonisti, ma funzionali all’assimilazione di un sano stile di vita e al piacere dell’interazione con gli altri attraverso i giochi di squadra. Palestre, piscine, spogliatoi, docce, attrezzi… e quant’altro devono diventare la norma e non l’eccezione. Il tutto gestito da personale qualificato e ben remunerato.
Questo documento è stato redatto da Massimo Bontempelli e da Fabio Bentivoglio, docenti di storia e filosofia a Pisa e fatto proprio dal “Gruppo Scuola e Università” di Alternativa come base della propria proposta per una rivitalizzazione della scuola pubblica statale italiana.
[Sul tema della scuola si segnalano due saggi dei due autori, particolarmente significativi perché pubblicati nel 2000, cioè nell’anno in cui è entrata in vigore la riforma di Berlinguer che ha aperto la strada a tutti i successivi interventi distruttivi del sistema dell’istruzione pubblica statale nazionale:
Massimo Bontempelli, L’agonia della scuola italiana, Editrice C.R.T., Pistoia, 2000
Fabio Bentivoglio, Il disagio dell’inciviltà, Editrice C.R.T., Pistoia, 2000]