Partiti con buone premesse, Alexis Tsipras e il suo movimento Syriza si sono ben presto arenati e sottomessi allo strapotere delle istituzioni finanziarie europee ed internazionali.
Quando nel gennaio del 2015 Alexis Tsipras assunse la carica di Primo Ministro della Repubblica Ellenica, un vento di attesa e di speranza spirò per tutta l’Europa. Le sue critiche serrate alla tecnocrazia di Bruxelles e le predicate ricette economiche anti-austerità, apparivano così radicali da impaurire le Cancellerie europee a guida teutonica.
Il Referendum del 5 luglio dello stesso anno contro le imposizioni economiche della Troika dava l’idea concreta che il governo a guida Syriza non avesse intenzione alcuna di chinare il capo. Eppure, nonostante il trionfo del Referendum (più del 61% disse “NO” ad un nuovo memorandum lacrime e sangue) Tsipras capitolò: nei successivi tavoli di negoziazione, la posizione delle istituzioni europee e del Fondo Monetario Internazionale fu secca e perentoria: accettare un nuovo piano di salvataggi (tagli alla spesa e privatizzazioni), quello che il popolo greco aveva rifiutato, o uscire dall’euro. La storia di come sia andata a finire, la consociamo tutti.
Con la genuflessione ai voleri degli eurocrati, e l’approvazione del nuovo memorandum da parte del Parlamento, la situazione socio-economica della Grecia è sprofondata nell’abisso della recessione e della disoccupazione, col debito pubblico schizzato al 180% del Pil.
Privatizzazioni delle compagnie pubbliche dell’acqua e del gas che finiranno nel “Fondo” creato e controllato dai creditori internazionali per ben 99 anni, liberalizzazione del mercato elettrico, tagli alle pensioni, aumento dell’IVA dal 23 al 24% su benzina, caffè, trasporto pubblico e molto altro; tagli indiscriminati alla spesa pubblica che hanno duramente colpito settori vitali come sanità e istruzione portando sindacati e lavoratori in piazza. Ma tutto ciò non sembra ancora abbastanza per accontentare le “istituzioni europee e finanziarie”.
Il rimpasto di governo effettuato da Tsipras pochi giorni fa appare in linea con le nuove “ricette” della Troika che per bocca del Presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, chiederà ad Atene nuovi impegni sui licenziamenti nel settore pubblico (portandoli fino al 10% del totale), l’eliminazione degli aumenti salariali automatici ogni 3 anni, la contrattazione aziendale e non più collettiva, e la riforma della legge sui sindacati.
La sostituzione del ministro Panus Skourletis, titolare del Dicastero dell’Energia e combattivo oppositore delle privatizzazioni in campo energetico, con George Stathakis, e la nomina di Dimitris Liakos come ministro responsabile per l’attuazione del programma di salvataggio (svendita del patrimonio pubblico) sono un regalo che Tsipras ha concesso all’UE in vista dei futuri tavoli istituzionali.
Quello che la Grecia sta subendo da anni, è l’apoteosi del (neo)liberismo che ha trovato nell’Unione Europea un fido esecutore. Tsipras e Syriza hanno peccato di superbia presentandosi al governo del Paese senza una concreta alternativa, sperando che la critica all’austerità e i primi tiepidi tentavi di disobbedienza potessero indurre l’UE, e soprattutto la Germania, ad allentare la presa sulla rinegoziazione del debito. Pura illusione.
L’errore commesso dalla sinistra greca è lo stesso che accomuna le sinistre europee, mediterranee in primis, di porsi in contrasto al progetto d’impoverimento liberista senza criticare l’attuale concezione dell’euro. L’euro, così come concepito, è un sistema di governo, un progetto politico utile alla politica neo-mercantilistica tedesca fatta di svalutazione interna del lavoro, che porta all’impoverimento progressivo delle economie del sud.
Lo stesso Varoufakis, l’ex ministro di Tsipras che si oppose al piano di salvataggio post-referendum, è impregnato della stessa narrazione europeista che esclude a priori qualsiasi ipotesi di uscita dalla zona euro o anche solo una rinegoziazione, vedendo nella costruzione degli “Stati Uniti d’Europa” la manna dal cielo per risolvere gli squilibri all’interno dell’Unione. Ma se una moneta senza Stato è condannata a sopperire, uno Stato senza popolo è destinato a gravi sciagure.
La capitolazione di Tsipras ha reso quasi impossibile qualsiasi tentativo di poter riformare l’Unione Europea dall’interno, ma ciò sembra non interessare la sinistra europea che imperterrita continua con la solita retorica europeista del “più Europa”. Se le forze progressiste europee non riusciranno ad elaborare un serio e concreto “piano B” ridando sovranità agli Stati nazionali che sono l’unico terreno dove si esercita la democrazia, e in cui i popoli riconoscono la propria cultura e identità, a farlo saranno le forze xenofobe e di estrema destra.
Antonello Tinelli per L’Opinione pubblica
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