Agitpapa, 29 febbraio 2016
Mentre i prezzi del petrolio e le spese di guerra dei sauditi vanno in direzioni opposte, ci sono molti esperti che predicono l’imminente scomparsa dell’Arabia Saudita come vi sono coloro che ne scherniscono il solo pensiero. Ancora, il quadro appare piuttosto spaventoso, così come la cifra 2,4%, quantità di riserve forex saudite ricevute dal Paese a gennaio. Il FMI ha dato allo Stato tribale 5 anni per consumarle, ma a tale ritmo, i restanti 594 miliardi di dollari saranno scomparsi ad agosto 2020. Tuttavia i sauditi ebbero assai meno denaro per molto tempo riuscendo ad aver il PIL pro capite più alto grazie ai benefici della bolla petrolifera post-Iraq finora. Furono anche profondamente indebitati, invece che carichi di liquidità, dal crollo del prezzo del petrolio del 1980, che li travolse. Allora perché dovrebbero preoccuparsene ora solo perché il loro mucchio di contanti si riduce un poco? Otterranno prestiti fin quando i prezzi del petrolio si rialzeranno, giusto? Voglio dire chi non presterebbe denaro all’oca dalle uova d’oro? In qualche modo, gli investitori non la vedono così. C’è una cosa che si chiama Credit Default Swap (CDS), fondamentalmente una polizza di assicurazione contro il default del debito. E’ un indicatore molto più affidabile del valore d’investimento che l’agenzia di rating del credito, dato che le agenzie di rating raccolgono i dati da coloro che valutano: non è una grande cosa, come la recente esperienza sui subprime dei mutui dal rating AAA ha rivelato. L’Arabia Saudita è appena stata declassata da Standard&Poors di due livelli interi, da A+ (Giappone) a A- (Malesia), appena quattro mesi dopo la degradazione da AA- ad A+. Ancora 3 gradi sopra la spazzatura, quindi non male, vero? Tranne quando si guarda a dove si trovano i tassi CDS dei sauditi, se si scegliesse di prendere prestiti sul mercato internazionale, vedendo tizi che in realtà prestano soldi invece d’investirli per aumentare di grado, se si pensa che il valore d’investimento è pari a quello del Portogallo, cioè spazzatura. Se il rating delle agenzie valesse qualcosa, l’Arabia Saudita sarebbe classificata BB, 3 punti al di sotto in cui dov’è ora.

Il rischio del debito saudita è pari ai titoli spazzatura del Portogallo mentre il petrolio scivola. Bloomberg
Non è solo l’economia, è la stupidità
Ciò che rende la posizione saudita senza speranza, e peso le parole, è la tempesta perfetta che i suoi governanti primitivi si sono creati con la presuntuosa e miope convinzione di poter gettar via soldi dalla montagna appena accumulata di denaro contante, sconfiggendo tutti i nemici in un colpo solo. Prima di entrare nei diversi meccanismi meteo che si sono combinati per creare la tempesta perfetta che spazzerà via i Saud, dovremmo ricordare le sole cause che hanno creato tale maltempo: la stupidità infinita, l’ignoranza, il fanatismo e l’arroganza di questi beduini capi tribali seduti in cima alle più preziose riserve di petrolio del mondo, e grazie solo all’impero inglese che ce li ha messi e all’impero degli Stati Uniti che ha ritenuto conveniente lasciarceli. Se si pensa che sia un’iperbole si legga il misero pastore Abdulaziz che non si faceva illusioni alcuna su chi fosse il vero “sultano” saudita: “Il sultano del Najd, Abdalaziz al-Saud chinò la testa davanti all’Alto commissario inglese in Iraq Percy Cox. La sua voce tremò, e poi iniziò a chiedere l’elemosina con umiltà: “Vostra grazia è mio padre e Voi mia madre. Non potrò mai dimenticare il debito che vi devo. Mi avete salvato tendendomi la mano, mi elevate e io mi sollevò. Sono pronto, al vostro cenno, a rinunciare per voi a metà del mio regno… no, per Allah, darò tutto il mio regno, se comanda Vostra grazia!” Il servo dell’impero inglese: la fondazione del regno di Ibn Saud
Il picco del prezzo del petrolio iniziò con l’invasione degli Stati Uniti dell’Iraq, un’invasione che i dirigenti delle compagnie petrolifere nella Casa Bianca promisero avrebbe riportato il petrolio a 10 dollari, aprendo un decennio di prezzi artificialmente alti del petrolio scollegati da domanda e offerta. La bolla del prezzo del petrolio fu creata da banche, hedge fund e compagnie petrolifere, anche se non vi era alcuna scarsità di petrolio, e difatti, tutto il contrario. Non solo gli investitori fecero enormi profitti sui contratti future sul petrolio, ma le multinazionali petrolifere statunitensi spremettero la Cina, la cui produzione economica era più la più affamata di energia al mondo. Nel frattempo, i prezzi elevati del petrolio rese economicamente realizzabile lo sfruttamento negli Stati Uniti del petrolio di scisto e delle riserve di petrolio sul fondo del mare, date le enormi spese d’investimento ed esercizio. Le banche in realtà accumularono il petrolio nei depositi e nelle petroliere, mettendolo fuori mercato. I giganti del petrolio ridussero raffinazione e trasporto creando una penuria artificiale.
L’Arabia Saudita guardava perplessa i prezzi che superavano i 150 dollari nonostante il rallentare delle vendite. Raccolsero profitti eccezionali e accumularono l’enorme cassa di guerra che Salman e il figlio idiota Muhamad esauriscono in questi giorni; sospettarono a cosa la bolla portasse, vale a dire sovrapproduzione statunitense accoppiata a ristagno della domanda per via del costo elevato dell’energia per l’economia globale. Proprio come nel 1980, i prezzi elevati del petrolio, imposti questa volta dagli speculatori finanziari occidentali e non dai tagli della produzione dell’OPEC, contribuirono a rallentare la crescita economica globale fin quasi ad arrestarla il giorno stesso in cui la prima petroliera carica di greggio da esportare salpava dagli Stati Uniti, il prezzo del greggio crollò a 30 dollari.

Abdullah (1) volle essere un riformatore, anche se tutto ciò che combinò nei suoi ultimi giorni fu dare alle donne il diritto di voto alle elezioni comunali (2), ma almeno si liberò del disgustoso e molto pericoloso Nayaf (3), ma non poté sostituire Salman (4) con Muqrin (5).
Il crollo del petrolio incontra la stupidità dei Sudayri
Il crollo del prezzo del petrolio si verificò nel momento in cui l’Arabia Saudita passava dalla leadership relativamente prudente di Abdullah bin Abulaziz, figlio della moglie dell’orbo Abdulaziz, Fahda, della grande tribù Shamar, diffusa tra Riyad e Siria passando per l’Iraq. Durante il suo regno, si appoggiò ai sette Sudayri, i fratelli di Hasa, la moglie bigotta di Abdulaziz, del Najd, luogo di nascita dell’oscurantismo wahhabita, da cui Maometto profetizzò che il “corno di satana” sarebbe sceso nel mondo. Abdullah guidò l’Arabia Saudita per 20 anni relativamente stabili, i primi cinque come reggente dell’infermo Fahd, altro Sudayri che negli anni di lucidità fece proliferare il male wahhabita, dalla jihad in Afghanistan alla jihad di Hama del 1982 al sostegno di Sadam contro l’Iran e alla Cecenia. Abdullah cercò di sbarazzarsi dei sette Sudayri, uccidendo il peggiore, il ministro degli Interni Nayaf, fallendo, e dal suo letto di morte rimosse Salman dalla posizione di principe ereditario, prima che Salman potesse ucciderlo. Così come i prezzi del petrolio raggiunsero il picco, un altro squilibrato Sudayri divenne capo della tribù saudita. Il nuovo capo tribù saudita, Salman, pensava che un uso migliore delle nuove scorte di cassa fosse invadere il povero vicino Yemen. Ignoranza e incompetenza che pervadono il suo Paese trasformarono gli elicotteri Apache e i carri armati Abrams degli Stati Uniti, pagati una fortuna, nel tiro al bersaglio degli yemeniti. Certo, Abdullah s’immischiò negli scontri in Siria, non per fanatismo, ma per la minaccia strategica rappresentata dalla consegna statunitense dell’Iraq agli sciiti filo-iraniani, creando una continua “mezzaluna sciita” filo-iraniana su quattro Paesi, così come un possibile oleodotto al Mediterraneo dall’Iran. La ragione per cui insisto sulla differenza tra Abdullah e i Sudayri non è che Abdullah fosse una brava persona, ma che i Sudayri sono incommensurabilmente peggiori, in particolare nel caso dell’idiota.
Il crollo del petrolio nel 1980 fu opera del Sudayri Fahd e del suo cretino ministro del Petrolio Yamani, discendente di qadi e muftì. Abdullah riuscì a salvare l’Arabia Saudita negli anni di magra che seguirono, quando il PIL scese del 20%. Ma un cervello del genere non è disponibile oggi. Invece, l’attuale banda di deficienti Sudayri arruola eserciti dagli angoli più sperduti dell’Africa e dell’Asia per combattere una guerra persa nello Yemen, dopo aver già speso miliardi cercando, invano, di rovesciare Assad in Siria. L’unica distinzione dubbia che si sono guadagnati finora è fare dell’Arabia Saudita il maggiore importatore di armi al mondo, da 6° nel 2004-8 a 4° nel 2009-13. Per essere onesti, l’Arabia Saudita vinse quel podio durante l’era di Abdullah. Fu lui a firmare tutti i cosiddetti “affari del secolo” nei contratti per armamenti, solo che non lo fece per impantanarsi nello Yemen ma per infognare la Siria: comprò cumuli di spazzatura militare francese, inglese e statunitense non per iniziare una nuova guerra, ma per comprarsi il sostegno di quei Paesi per farsi tirar fuori dal pantano. Intanto la Francia passava da 5° esportatore di armi mondiale a 2°, la Turchia da Paese islamofobico anti-hijab diveniva un Paese jihadista islamofobico (vedasi il mio Allons enfants du Djihad)), e Londra diveniva Londonistan. Non si tratta, tuttavia, di come la Turchia di Erdogan sia passata da poliziotto buono islamista pro-democratico e amico delle minoranze a poliziotto cattivo islamico totalitario, settario e jihadista. Come ho spiegato nella seconda parte del mio post Long War, l’accordo tra Tayyip e l’Arabia Saudita riguarda massicci acquisti di proprietà turche. Tali generose distribuzioni di bakhshish permisero ad Abdullah di comprarsi a prezzi assai alti degli alleati per il suo odioso regime parassitario, quando si rese conto che non poteva rovesciare Assad e che Assad sarebbe presto venuto da lui. Quando Abdullah fu costretto a sfrattare gli Stati Uniti dalla base aerea Principe Sultan nel 2005, l’Arabia Saudita rimase praticamente nuda e indifesa. L’accordo da 60 miliardi di dollari in armamenti nel 2010 fu il suo tentativo di assicurarsi una propria difesa, piuttosto che affidarsi agli Stati Uniti.
Sono sicuro che avrete notato che l’Arabia Saudita non ha mai fatto parte di una qualsiasi alleanza per la sicurezza internazionale. Alcun suo “amico” in occidente è così sciocco da impegnarsi a difendere la barbara allucinazione pre-medievale dei wahhabiti con le loro guerre tribali e settarie. Nonostante l’assenza di alleati formali, nel 2003 Abdullah non ebbe altra scelta che spararsi a un piede chiedendo agli Stati Uniti di far partire il 363.mo Stormo dalla base aerea Principe Sultan, un evento pubblicizzato nel 2005 come “le forze statunitensi lasciano l’Arabia Saudita”, anche se ancora rimaneva più di mezza dozzina di altre basi nel Paese. Non solo l’Arabia Saudita perse un potente deterrente, ma permise all’odiato sceiccato rivale del Qatar di segnare una grande vittoria ospitando la più grande base d’oltremare degli Stati Uniti, al-Udayd, dove gli aerei partiti dalla base Principe Sultan si posarono.
Abdullah dovette compiere tale mossa autodistruttiva perché dopo l’11 settembre i Sudayri, capitalizzarono sugli eroi del posto, i 15 jihadisti sauditi che si schiantarono a New York e Washington, accusando Abdullah di lasciare che i qufari statunitensi occupassero le terre sante, facendo eco al cruccio di bin Ladin contro il regime, durante la guerra del Golfo. Usama chiarì l’accusa facendo esplodere i piloti statunitensi nella base aerea Re Abdulaziz, la prima base aerea degli Stati Uniti in Arabia Saudita, e con gli attentati del 1996 alle Khobar Towers, per cui Arabia Saudita e Stati Uniti giudicarono comodo accusare l’Iran e gli sciiti. Il ministro degli Interni e padrino di al-Qaida, Nayaf, apparentemente represse le dimostrazioni di piazza contro Abdullah, ma in realtà le provocò, in particolare incendiando una scuola femminile (una delle riforme di Abdullah) e con la sua polizia religiosa che ricacciava tra le fiamme le ragazze fuggite dall’incendio perché non si erano messe l’abaya. Ciò scioccò perfino i sauditi che, geniali per quanto sono, protestarono contro Abdullah per questo. Il risultato fu che Abdullah non poté mai sapere cosa questi pervertiti wahhabiti avrebbero combinato la prossima volta per farlo cadere, così cercò di placarli chiudendo la più grande base statunitense. La perdita di questo deterrente sembrava relativamente poco importante avendo gli Stati Uniti invaso l’Iraq,sbarazzandosi del pericolo immediato di un Sadam che arrivava a Jidah per vendicarsi. Tuttavia, quando gli Stati Uniti si dimostrarono incapaci di schiacciare i sunniti baathisti in Iraq, lasciando il lavoro alla Brigata Badr, un campanello d’allarme scattò a Jidah. La Brigata Badr era un’unità del Corpo della Guardia Rivoluzionaria iraniana composta da traditori sciiti iracheni. Gli Stati Uniti permisero alla forza filo-iraniana di entrare in Iraq, apparentemente per sorvegliare le province sciite meridionali di Basra, Maysan, Qarbala, ecc., non avendo gli Stati Uniti la forza per farlo. Per i sauditi, tuttavia, fu come se gli statunitensi li vendessero sul fiume facendo arrivare l’esercito iraniano dritto al loro confine. Peggio. Gli Stati Uniti gettarono la spugna e, invece di occupare l’Iraq o d’installarvi una versione più docile di Sadam, diedero le chiavi di Baghdad agli sciiti dicendo che se ne andavano. Allora Abdullah disse a Cheney che se gli Stati Uniti tentavano di tagliare la corda, avrebbe sostenuto i ribelli sunniti in Iraq e non importa quanti soldati degli Stati Uniti avrebbero ucciso. Fece di più creando al-Qaida in Iraq, precursore dello SIIL. Dopo di che, sunniti e sciiti iniziarono a massacrarsi con gusto e ancora non hanno smesso.Il conflitto in Siria
Nel 2007, sofisticati IED di fabbricazione iraniana apparvero in Iraq e nel marzo 2009, un video sul web mostrava Qasim Sulaymani, famoso comandante della Forza Quds iraniana, nelle montagne dell’Iraq vicino al confine iraniano. Abdullah sapeva che per quanti carri armati e aerei avesse, finché erano a guidarli i suoi grassi, indolenti e viziati connazionali, non avrebbe potuto competere con le forze di Sulaymani, e neanche gli statunitensi poterono affrontare gli avanzati IED di Sulaymani. Aveva bisogno di fare qualcosa subito per colpire l’Iran, così avviò la jihad in Siria. Ben presto, Sulaymani e la Brigata Badr si attivarono per salvare Assad e poi salvare l’Iraq dallo SIIL. Non avevano più tempo per destabilizzare l’Arabia Saudita. Lo stratagemma di Abdullah funzionò, passando da difensiva a offensiva. La Siria avrebbe mantenuto il nemico Iran occupato per almeno un decennio.
Ragioni: sebbene con mezzi ripugnanti, Abdullah guidò la nave saudita attraverso acque piuttosto tempestose portando in porto il pieno di petrodollari, preparandosi come mai prima a difendersi contro i nemici. Pagò il debito enorme creato dal suo predecessore Sudayri, facendo piovere centinaia di miliardi ogni giorno, usandone alcuni per la guerra dei prezzi scacciando la produzione di petrolio da scisto degli Stati Uniti dal mercato e chiudendo i 2/3 delle piattaforme petrolifere degli Stati Uniti, una decisa vittoria saudita che contrasta nettamente con le politiche petrolifere disastrose del predecessore Fahd negli anni ’70. Ora, cosa i Sudayri, che si sono finalmente liberati di Abdullah, se ne fanno di tale eredità?Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora