«Così i fondi pubblici per la ricerca torneranno in mano a baroni universitari e burocrati ministeriali». Il senatore Pd Ignazio Marino – medico chirurgo e uno dei principali esperti italiani di trapianti d’organo – lancia l’allarme. Il governo Monti contro la meritocrazia e i giovani ricercatori italiani? «Con la decisione del ministro Profumo i finanziamenti saranno decisi in base al cognome, non ai progetti di ricerca».
Nel 2008, grazie all’impegno del senatore Pd Ignazio Marino e del premio Nobel Rita Levi Montalcini, l’Italia adottava per la prima volta il peer review. Un meccanismo meritocratico che destinava il 10 per cento dei fondi per la ricerca scientifica a giovani under 40. Un sistema virtuoso che aggirando le decisioni prese nei ministeri e nelle università, assegnava parte dei finanziamenti attraverso concorsi pubblici. Con comitati di valutazione formati da giovani scienziati, composti al 50 per cento da ricercatori operanti all’estero. Da qualche giorno non è più così. Il governo Monti ha detto basta. Il decreto Semplificazioni ha abrogato la norma. «Adesso – racconta Marino – i fondi pubblici torneranno ad essere gestiti da baroni universitari e burocrati ministeriali».
In segno di protesta contro il governo, ieri si è rifiutato di votare la fiducia in Senato.
Quando nel 2006 sono stato eletto per la prima volta a Palazzo Madama era questo l’impegno principale che avevo assunto. Introdurre il criterio del merito per l’attribuzione dei fondi per la ricerca.
Ora la regola cambia. Il ministro dell’Università e della Ricerca Francesco Profumo sostiene che quel sistema non è pratico. Ci sono problemi “tecnici”.
Non voglio fare il sarcastico. Ma se ci sediamo attorno a un tavolo e finanziamo i ricercatori solo leggendo il cognome, senza nemmeno guardare i progetti, è chiaro che il meccanismo diventa molto meno macchinoso.
A scanso di equivoci, il decreto Semplificazioni ha abolito del tutto il sistema del peer review.
Siamo tornati alla situazione di partenza. D’altronde il decreto si chiamava proprio così: Semplificazioni. Profumo ha voluto semplificare le procedure. Ora a gestire i fondi per la ricerca saranno di nuovo baroni e ministeriali.
Oggi il ministro Profumo ha spiegato che «il sistema messo in atto purtroppo non funzionava, c’è stata una difficoltà nel trovare ricercatori giovani che potessero essere i giudici dei loro coetanei».
Ma il ministro ha idea di quanti giovani ricercatori under 40 ci sono nel mondo? Potrei suggerirgli, ma è solo un esempio, di fare una ricerca su google scholar. Gli basterebbe navigare pochi minuti su internet.
Il ministro Profumo insiste. Due giorni fa al Senato ha sostenuto che nel 2008 il comitato di valutazione che ha assegnato i fondi non era affatto composto da giovani. Ma da ricercatori over 40.
Ma il sito del ministero della Salute dice il contrario. È facile controllare, c’è ancora la lista dei membri di quel comitato. Il presidente aveva 37 anni, il più anziano 39. Quello che il ministro ha detto in Aula è molto grave. Ora mi aspetto che ammetta la verità.
Non ha mai chiesto le dimissioni del ministro?
Quanto meno mi aspetto che Profumo chieda scusa.
Il sistema dei finanziamenti ai giovani ricercatori potrebbe cambiare ancora. Il ministro dell’Università ha assicurato che entro trenta giorni presenterà un disegno di legge in materia.
Io non ci credo. In un mese non entrerà mai in funzione un meccanismo meritocratico e trasparente simile a quello pensato da me e dal premio nobel Rita Levi Montalcini.
Nemmeno un po’ di fiducia nel governo?
C’è una vicenda che racconta perfettamente la poca volontà del ministro Profumo. Poco tempo fa ero riuscito a convincere l’ex titolare dell’Istruzione Gelmini a inserire nella sua legge sull’Università (la 240, ndr) un articolo. Una norma che scrissi personalmente, insieme agli uffici del ministro. Si stabiliva di assegnare con meccanismo di peer review, quindi in base al merito, non solo il 10 per cento, ma tutti i fondi della ricerca. Le valutazioni sarebbero state fatte da commissioni con almeno il 30 per cento di membri stranieri.
Il decreto attuativo di quella norma però non è mai arrivato.
Esatto. Il 6 dicembre scorso ho scritto a Profumo per chiedere conto di questo ritardo. Pochi giorni dopo il ministro mi ha risposto, dicendo che al dicastero era in corso “un’interlocuzione”. Bene, oggi quell’interlocuzione non è ancora terminata. Ormai sono passati quasi cinque mesi dalla nomina di Profumo al governo. Se in questo tempo non è riuscito a presentare un decreto attuativo lei crede che in trenta giorni sarà in grado di presentare questo disegno di legge?
Quindi non crede alle buone intenzioni del ministro.
Non c’è bisogno di essere un esperto per capire che la norma non arriverà. Se il ministro Profumo era convinto di conoscere un metodo meritocratico migliore del peer review, poteva congelare i circa 100 milioni di euro destinati ai giovani ricercatori. Senza attribuirli fino a quando non sarebbero entrate in funzione le nuove regole. Mi pare che questo non sia stato fatto… Le conseguenze sono semplici: i finanziamenti torneranno ad essere gestiti da baroni universitari e burocrati ministeriali.
Nel Pd però nessuno sembra aver appoggiato la sua battaglia contro il governo. Le sono giunti attestati di stima solo da Verdi e Sel.
In Aula il Pd ha votato a favore del decreto Semplificazioni per senso di responsabilità. Ma quando si affronta il tema della ricerca c’è bisogno di rigore e serietà. Se i membri del governo o i parlamentari venissero interrogati fuori dai palazzi della politica sull’importanza o meno della ricerca è chiaro a tutti cosa risponderebbero. Ma perché quando devono votare in Aula fanno l’opposto?
Quindi ai suoi colleghi del Pd manca rigore e serietà.
Manca a tutte le forze politiche. Se a livello continentale il nostro Paese destina al settore meno dell’1 per cento del Pil – contro il 4,2 della Svezia, il 4 della Finlandia, ma anche il 2,5 di Inghilterra, Francia e Germania – significa che in Italia c’è una classe dirigente che non crede nella ricerca scientifica.